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Tracce / Astrattismi Paralleli
dal 11/12/2012 al 22/12/2012
mer-dom 15-19 lun e mart chiuso

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Galleria Zamenhof




 
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11/12/2012

Tracce / Astrattismi Paralleli

Galleria Zamenhof, Milano

Premio Il Segno 2012 / Premio Man Ray Il Segno 2011. In "Tracce" 25 artisti, tra astrattisti e informali, espongono i loro lavori, mentre in "Astrattismi paralleli" sono esposte le fotografie di D'orta e Susi.


comunicato stampa

A cura di Rossana Nuzzo e Virgilio Patarini

In mostra quadri, fotografie e sculture di: Salvatore Alessi, Alessandro Baito, Marina Berra, Fiorenza Bertelli, Ivano Boselli, Anna Cesi, Paolo Cervino, Amos Crivellari, Pasqualino Festa, Roberto Fruggeri, Michelle Hold, Claudia Margadonna, Maeva Marrone, Lorenzo Massobrio, Maria Luisa Montanari (Malù), Anna Serafina Olianas, Gino Pigolotti, Elisabetta Piu, Maria Luisa Ritorno, Alessandro Rossi, Catherine Schmid, Maria Spinelli, Luciano Valensin, Yarmilla Vesovic, Tea Volk

La parola *traccia*, in generale, indica un segno lasciato su una superficie da un corpo, un attrezzo, un oggetto; sotto altre sfumature di significato, *traccia* è sinonimo della parola *segno* che indotto dall’esterno si imprime nella sensibilità e nelle emozioni di un uomo; * traccia* può essere lo schema, la bozza, l’idea o il concetto stesso.

La mostra “Tracce” vede la partecipazione di 25 artisti selezionati tra quelli che hanno esposto al Premio Il Segno 2012, svoltosi a Palazzo Zenobio, Venezia. Venticinque artisti figli di un’arte astratta e informale ereditata dal passato.

La tematica della mostra include *tracce* per l’appunto, di stili diversificati, di contaminazioni, e di “gesti autobiografici” che convivono insieme in stretto dialogo.

La filosofia dell’arte informale si fonda sull’atto del tracciare il segno, stendere il colore, dell’incidere, del graffiare, del togliere o bucare la materia. Tale gestualità spinta dall’energia creativa dell’artista si traduce in un senso di materialità del fare e dell’essere. L’opera informale supera l’estetica della mimesi e - senza la mediazione di alcun contenuto figurativo - cancella il rapporto convenzionale con la realtà, soltanto per affermarne un altro, nuovo con le radici più profonde dell’io.

Il percorso espositivo presenta oltre 75 opere tra pittura, scultura e fotografia: dalla pittura materica di *Lorenzo Massobrio* e *Marina Berra*agli accostamenti eterogenei di *Alessandro Rossi*, dagli impasti di cartapesta di *Anna Cesi* agli assemblaggi di *Gino Pigolotti*; per poi svilupparsi nella pittura d’azione: i grovigli di *Paolo Cervino*, i tocchi rapidi di *Fiorenza Bertelli*, il gesto fluido di *Claudia Margadonna*, le colature e chiazze di colore di *Malù *e *Maria Spinelli*, le ampie campiture di *Michelle Hold *, il “raggismo” (Larionov) e dinamismo futurista di *Pasqualino Festa*.

E poi la pittura segnica su materiali leggeri e evanescenti di *Elisabetta Piu * e i dedali di alfabeti visivi di *Roberto Fruggeri *e* Tea Volk*; e un’eco di Spazialismo rintracciabile nelle opere di *Anna Serafina Olianas*. Altri artisti si sono ispirati a un astrattismo geometrico, come i coni e i tagli di luce di *Salvatore Alessi*, le forme rigorose delle sculture di *Marialuisa Ritorno*, in contrasto ad altre dalle linee più morbide.

La mostra presenta, infine le “estrazioni” (Arthur Dove) di *Luciano Valensin*, le visioni soprannaturali* *di* Maeva Marrone,* la serialità di moduli ripetuti in bianco e nero di *Catherine Schmid*, le campiture rarefatte di *Yarmilla Vesovic*, le intense vibrazioni delle foto di *Amos Crivellari, *i simboli tracciati dalla luce di *Alessandro Baito*, e i mutevoli riflessi di *Ivano Boselli.*

--- Astrattismi Paralleli*

*A cura di Virgilio Patarini*

Fotografie di Carlo D’Orta e Danilo Susi.

L’Astrattismo Parallelo "ritorna" a Milano dopo l'esposizione all'Oberdan dello scorso anno curata da Valerio Dehò.

“Per l’artista l’arte è una scoperta continua e progressiva, il vero punto di partenza è lo stupore del mondo.

Nello stesso tempo si definisce anche il suo rapporto con il paesaggio che non è mai semplice memoria o traccia visiva di un’emozione vitale. Come in altre situazioni, Carlo D’Orta pone in essere una propria visionarietà dello sguardo che è un elemento di sintesi non solo di esperienze personali, ma anche artistiche. Si fonde ancora di più e ancora meglio l’ intreccio tra memoria dell’arte e memoria della vita.

Così il risultato non è mai appiattito su di un’unica dimensione, ma assume contorni sempre diversi.

E’ il nostro Io che si specchia nella realtà: l’immagine che ritorna indietro si modifica in questo rapporto e sancisce l’unione definitiva tra quello che abbiamo dentro e ciò che amiamo fuori di noi. In questi lavori scompare completamente la linea d’orizzonte, che darebbe allo spettatore un senso di riferimento e invece si tramuta quasi in una perdita della distanza.

Sembra di capire che l’artista prediliga rappresentare il senso di uno sguardo che si annulla nello spazio colorato di una Natura/Architettura vasta e sconfinata, sempre nuova perché mutevole.

Spesso in D’Orta la fotografia ha un andamento avvolgente, come se ci fosse un movimento che cerca di far entrare nel quadro chi lo guarda. Anche in questo caso si tratta di paesaggi pieni di colori e di forme in movimento, si tratta di orizzonti mediterranei suggeriti dai soggiorni italiani o spagnoli, ma non hanno nessuna riconoscibilità precisa: non vogliono essere delle cartoline, degli strumenti della memoria, ausili di mnemotecnica, ma note di viaggio tra l’uomo la natura.”

“L’artista rivela e si rivela progressivamente attraverso il ruolo della fotografia; la sua capacità non solo di rappresentare l’armonia e la serenità dell’esistente, ma anche di cogliere la Bellezza nel semplice e nell’abituale, lo colloca tra i ricercatori dei costituenti dell’arte.

Questi certamente rappresentano al meglio non soltanto la Vita ma anche la capacità della Natura di essere Poesia e di diffondere colori e sentimenti. L’artista è un testimone interessato, anzi si può dire che sia il catalizzatore di un processo, senza di lui non ci sarebbero testimoni di quel determinato accadimento, della normalità che si sublima e diventa altro.

Questo tema del particolare che si fa totalità, della sineddoche, ha costituito se non un genere pittorico nella storia dell’arte, sicuramente un aspetto creativo imprescindibile. Danilo Susi con la fotografia lo ha trattato in vari modi e sempre diversi, anche se estremamente coerenti. Dalla pura rappresentazione ha saputo astrarre un processo quintessenziale, che cercava di cogliere le sfumature di colore più intime alla realtà, evitando forzature e stravolgimenti.”

Inaugurazione: mercoledì 12 dicembre, ore 18,30

Galleria Zamenhof
via Zamenhof, 11, Milano
Orari: Dal mercoledì alla domenica, ore 15 - 19. Lun. e mart. chiuso.
Ingresso libero

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