Opera al nero. Attraverso 30 lavori realizzati fra il 1972 e il 1992 la mostra offre uno sguardo sugli esiti espressivi che connotano il linguaggio dell'artista dopo gli anni '50. Nerezza come luogo dove alberga il "mistero oltre l'apparenza", come disse Guido Ballo nel 1988 riferendosi al ciclo "Annottarsi 2", in parte rappresentato in questa esposizione.
a cura di Bruno Corà
Dal 15 dicembre 2012 è in programma, alla Galleria dello Scudo a
Verona, una mostra incentrata su un aspetto particolare dell’impegno
artistico di Alberto Burri: la declinazione del nero nei Cellotex.
Il titolo Opera al nero è volutamente ripreso dal capolavoro letterario di
Marguerite Yourcenar, in cui esplicito è il riferimento agli antichi trattati
alchemici, in cui si illustra il procedimento di separazione e dissoluzione
della materia nelle sue varie componenti formative.
Il concetto di
“nigredo” o “nerezza”, non disgiunta da rimandi alla Melancholia I di
Dürer, allude alla scomposizione di un corpo attraverso l’azione
disgregante del fuoco, e al successivo processo di riaggregazione. “Opera
al nero”, quindi, tanto più in Burri, diviene simbolo della creazione, luogo
segreto del fare, dove alberga il “mistero oltre l’apparenza” come disse
Guido Ballo nel 1988 riferendosi al ciclo Annottarsi 2 esposto alla XLIII
Biennale di Venezia, ora in parte rappresentato in questa mostra
veronese.
Il cellotex, che l’artista in precedenza ha impiegato come supporto per altre
composizioni, diviene ora il protagonista assoluto, ovvero l’’“opera”. In un processo di
graduale denudamento del mezzo espressivo, Burri giunge all’elemento di base, al
materiale che da sempre è stato concepito al servizio di altro. Non diversamente da
quanto è avvenuto con le sue sperimentazioni più iconiche, come i Sacchi, i Legni o le
Plastiche combuste, la materia continua ad essere al centro del lavoro dell’artista, in
grado di stabilire essa stessa, al proprio interno, regole ed equilibri inediti.
Pur nel suo aspetto apparentemente disadorno, ma in realtà essenziale, ecco rivelarsi in
Burri l’uso insistito del monocromo: più che un nero è il “suo” nero, mai identico a se
stesso; cambia forma, dimensione, crea uno spazio all’interno del quadro. Anche quando
appare inalterabile nella sua fissità, l’immagine è tuttavia suscettibile di varianti,
imperniate su differenze minime, in modo tale da porsi, di volta in volta, come un evento
unico e irripetibile.
Con i Cellotex Burri giunge a una suprema misura “classica”,
riscoprendo un rigore strutturale mai pervenuto prima a esiti di così elevata raffinatezza.
Attraverso una selezione di 30 opere realizzate nell’arco di un ventennio, fra il 1972 e il
1992, suddivise in sei sezioni, la mostra offre uno sguardo sugli esiti espressivi che
connotano il linguaggio dell’artista dopo gli anni ’50 e ’60, quando ormai si è imposto
all’attenzione della critica internazionale.
Apre la rassegna Nero del 1972 circa, ancora scarno nella
strutturazione dello spazio, con la linea dell’orizzonte alta, ondulata, a
introdurre un elemento di levità entro una struttura che non si
irrigidisce mai in forme rigorosamente geometriche.
Insieme ad altri
tre lavori, databili tra il 1974 e il 1982, scandisce la prima sezione dal
titolo significativo La notte della pittura, in cui si manifesta il tema di
fondo della mostra: “nessun’altra opera della modernità è così
profondamente coniugata al ‘nero’ quanto quella di Burri”, come
afferma Bruno Corà in catalogo.
Seguono quattro dei sedici elementi
che formano la serie Monotex del 1986, esposta per la prima volta
l’anno dopo nella grande mostra all’Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”. Di formato quadrato e imperniati sul medesimo modulo
compositivo, documentano la metamorfosi dall’ocra su ocra del
cellotex naturale al nero su nero ottenuto con una sapiente ma al
tempo stesso singolare stesura dell’acrilico.
Il nero torna quindi a dominare in due grandi Cellotex della serie Annottarsi 2 del 1987. I sedici quadri dell’intero ciclo, dopo
l’esordio nella sala personale alla XLIII Biennale di Venezia nel 1988, vengono trasferiti, tra novembre e dicembre 1988, alla
Murray and Isabella Rayburn Foundation di New York, imponendosi all’attenzione del pubblico americano proprio per la ripresa
del nero come cifra peculiare del linguaggio dell’artista. Come in molti altri casi, la dimensione tende ora al monumentale, a
dimostrare come Burri voglia uscire dai confini pittorici per interagire prepotentemente con lo spazio, stabilendo un ordine più o
meno cadenzato nell’alternanza dei soggetti e dei diversi formati.
La serie Assegai è qui rappresentata da Nero A n. 1 e Nero A n. 4 del 1987 circa, presentati nella personale alla Galleria Eva
Menzio a Torino tra il 1988 e il 1989. Pervenuta alla sintesi estrema, la pittura azzera la varietà e la cura del dettaglio, ma
diviene essa stessa assolutezza formale e cromatica. Assegai è un termine che rimanda all’Africa dove, ufficiale medico, Burri si
trova negli anni della guerra: “in assenza di specifiche informazioni a cui coniugarlo nell’intenzione poetica assegnatagli da
Burri”, scrive Bruno Corà, “reca quale unico riferimento quello dell’arma diffusa nel paleolitico, dal manico corto e la lama in
pietra, osso o corno, simile a una lancia ma di dimensioni ridotte.”
Si giunge alla quinta sezione, in cui sono riuniti quadri realizzati da Burri fra il 1987 e il 1992, durante i suoi soggiorni nella casa-
studio a Los Angeles. Le loro partiture formali appaiono analoghe a quelle dei primi lavori eseguiti fra il 1948 e il 1950, ricorrenti
anche in opere successive, dimostrando in tal modo come i Cellotex neri dell’ultimo periodo visualizzino andamenti spaziali
costanti nell’intero arco della sua ricerca.
Chiude il percorso l’intera serie dei Mixoblack del 1990, dieci lavori ottenuti mediante un particolare processo calcografico, la
mixografia, che permette la realizzazione di carte a rilievo grazie a matrici in polvere di sabbia e marmo su cellotex.
Per l’occasione viene pubblicato un ricco catalogo, edito da Skira, introdotto da una presentazione di Maurizio Calvesi, e
corredato da un saggio di Bruno Corà, curatore della mostra, autore inoltre dell’analisi critica delle opere esposte.
Seguono
l’indagine di Rita Olivieri sulla fortuna critica dei Cellotex, un testo di Vittorio Rubiu, una dettagliata biografia dell’artista a cura di
Aldo Iori, la ricostruzione dei rapporti di Burri con la Biennale di Venezia elaborata da Laura Lorenzoni, e un’intervista di Manuela
De Leonardis ad Aurelio Amendola, fotografo a cui Burri è stato legato da una lunga amicizia. La sezione a cura di Elena Dalla
Costa ricostruisce il repertorio delle mostre di Burri tra il 1977 e il 2007 in cui i Cellotex sono stati presenza esclusiva e
prevalente al fine di offrire uno strumento di documentazione e un dettagliato prospetto delle tappe in cui si articola la
concezione e presentazione al pubblico dei singoli cicli.
Immagine: Nero, 1972 circa acrilico e vinavil su cellotex, 126 x 101 cm
inaugurazione: sabato 15 dicembre 2012, ore 19.00
Galleria dello Scudo
via Scudo di Francia 2, Verona
orario: lunedì - sabato 10.00 - 13.00 / 15.30 - 19.30
Ingresso libero