HofV (History of violence). La morte messa in scena e fotografata assolve a una duplice funzione: da una parte e' memento mori, dall'altra si fa strategia personale per scendere a patti con il pensiero del morire.
A cura di Daniela Fargione
Rimane la morte come ultimo tabù della nostra società, “l’ultima pornografia della modernità” direbbe Jean Baudrillard, da guardare ancora con sospetto e non senza imbarazzo. È da questa premessa che nasce History of Violence, un’anomala raccolta di “ritratti”: corpi apparentemente morti, vittime – sembrerebbe – di una qualche violenza subìta nel proprio spazio domestico. La loro identità? Irrilevante. Lo suggerisce la scelta di non mostrarne mai il volto, pratica dalla quale si articola il graduale smantellamento delle convenzioni tradizionali del ritratto. Ma nemmeno la mano dispensatrice di morte, nemmeno l’arma del delitto costituiscono i punti focali della quest del fotografo. Protagonista di questi scatti è, piuttosto, la luce: affilata e tagliente come una lama, penetra subdola da un altrove lontano fino a squarciare il velo della paura. Non solo della morte in sé, piuttosto di quella detestabilissima indifferenza nei suoi confronti, risultato di una saturazione evidente dell’immagine della morte spettacolarizzata. Emerge allora il sospetto che la qualità seriale di questo lavoro sia sintomatica di un’indagine disciplinata: l’immersione della sonda nella certezza della finzione (si tratta sempre di una morte recitata) rifrange tutta l’ambiguità del reale, sicché la pervasiva cifra drammaturgica della narrativa solleva interrogativi sia sulla “fedeltà” della fotografia e del suo processo traduttivo, sia sull’immutabilità della morte in quanto atto.
La morte messa in scena da Cravero assolve così a una duplice funzione: da una parte è memento mori, dall’altra si fa tecnica, strategia personale per scendere a patti con il pensiero stesso del morire. Si tratta, insomma, di un apprendistato alla morte attraverso un processo traduttivo, infine di un esorcismo.
History of Violence offre infine una complessa riflessione critica sul rapporto che sussiste tra la storia individuale e la storia collettiva, in ultima analisi sugli elementi socio-culturali che attraversano storia e Storia, a partire dalla messa in scena performativa del corpo. Starà all’osservatore avanzare qualche ipotesi sul ruolo della violenza in quella complessa geometria spazio-temporale che chiamiamo vita.
Inaugurazione 22 marzo ore 18
Galleria Oblom
via Baretti, 28 - Torino
Apertura da martedì a venerdì ore 16-20; sabato su appuntamento
Ingresso libero