Ufficio stampa Arthemisia Group
La mostra racconta, attraverso un percorso emblematico, l'attivita' della Nevelson, che prende avvio dagli anni Trenta, con disegni e terrecotte, consolidandosi poi attraverso le successive sculture: gli assemblage in legno dipinto degli anni '50, alcuni capolavori degli anni '60 e '70 e significative opere della maturita' degli anni '80.
a cura di Bruno Corà
Sarà aperta al pubblico dal 16 aprile al 21 luglio 2013 presso il Museo Fondazione Roma, nella sede di Palazzo
Sciarra, la mostra Louise Nevelson, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla Fondazione Roma-Arte-
Musei con Arthemisia Group. Lʼesposizione, realizzata con il patrocinio dellʼAmbasciata Americana e in
collaborazione con la Fondazione Marconi di Milano e la Nevelson Foundation di Philadelphia, annovera oltre 70
opere della scultrice americana di origine russa Louise Berliawsky Nevelson (Pereyaslav-Kiev, 1899; New York, 1988).
«Con la mostra dedicata a Louise Nevelson – dichiara il Presidente della Fondazione Roma, Prof. Avv. Emmanuele
F.M. Emanuele – il Museo Fondazione Roma conferma il proprio impegno per la diffusione della cultura internazionale,
offrendo la possibilità di avvicinarsi a realtà meno note al grande pubblico, ma non per questo meno importanti per lo
sviluppo dellʼarte del ventesimo secolo».
«Lʼomaggio alla scultrice americana – prosegue il Prof. Emanuele – costituisce lʼulteriore tappa di un viaggio al di là dei
confini artistici del nostro Paese, che rappresenta a pieno lʼidentità della Fondazione Roma, i suoi valori, la sua apertura
agli altri, lʼattenzione costante per la circolazione delle idee e il dialogo tra le culture».
«Questo progetto – conclude il Presidente della Fondazione Roma – rivolge unʼattenzione particolare al mondo
femminile, focalizzandosi sulla personalità e sul tratto figurativo di alcune donne che hanno apportato un contributo
significativo allʼarte contemporanea. Il percorso, infatti, è iniziato nel 2009 con lʼesposizione dedicata a Niki de Saint
Phalle ed è proseguito con la mostra che ha visto protagonista Georgia OʼKeeffe, nel 2011».
La retrospettiva, a cura di Bruno Corà, narra il contributo che lʼartista ha dato allo sviluppo della nozione plastica: nella
scultura del secolo scorso la sua opera occupa un posto di particolare rilievo, collocandosi tra quelle esperienze che,
dopo le avanguardie storiche del Futurismo e del Dada, hanno fatto uso assiduo del recupero dellʼoggetto e del
frammento con intenti compositivi. La pratica dellʼimpiego di materiali e oggetti nellʼopera dʼarte, portata a qualità
linguistica significante da Picasso, Duchamp, Schwitters e altri scultori, nonché lʼassemblage – spesso presente anche
nellʼelaborazione della scultura africana – esercitano una sensibile influenza sin dagli esordi dellʼattività della giovane
artista, che emigra con la famiglia negli U.S.A nel 1905, stabilendosi a Rockland nel Maine. La Nevelson, insieme a
Louise Bourgeois, ha segnato in maniera imprescindibile lʼarte americana del XX Secolo.
La mostra racconta, attraverso un percorso emblematico, lʼattività della Nevelson, che prende avvio dagli anni Trenta,
con disegni e terrecotte, consolidandosi poi attraverso le successive sculture: gli assemblage in legno dipinto degli anni
ʼ50, alcuni capolavori degli anni ʼ60 e ʼ70 e significative opere della maturità degli anni ʼ80. Le opere presenti in mostra
provengono da importanti collezioni nazionali e internazionali di istituzioni e musei, quali la Louise Nevelson
Foundation, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaekin in Danimarca, il Centre national des arts plastiques in
Francia, la Pace Gallery di New York e la Fondazione Marconi.
Nel 1986 la collettiva Quʼest-ce que la Sculpture Moderne?, presso il Centre Georges Pompidou a Parigi, consacra
Louise Nevelson tra i più grandi scultori della sua epoca. Lʼartista seguita a lavorare sino alla sua scomparsa,
sopravvenuta a New York il 17 aprile del 1988, mentre le sue opere vengono acquisite da noti musei e collezionisti
privati negli Stati Uniti e nel mondo.
Il catalogo, edito da Skira, accanto alle immagini delle opere, include il saggio critico del curatore Bruno Corà e alcuni
testi storico-critici di Thierry Dufrêne, Thomas Deecke, Aldo Iori, oltre ad un testo di Louise Nevelson del 1972 e uno di
Maria Nevelson – nipote della Nevelson – e una conversazione con Giorgio Marconi, Presidente della Fondazione
Marconi, che ha diffuso in Italia l'opera della Nevelson.
L'Artista
Leah Berliawsky nasce il 23 settembre del 1899 in Ucraina, a Pereyaslav, cittadina a sud-est di Kiev.
A causa della partenza del padre per gli Stati Uniti, a 5 anni smette di parlare per sei mesi e riprende quando, allʼinizio
del 1905, la famiglia si ricongiunge in America. Il suo nome viene cambiato in Louise. Durante lʼadolescenza coltiva
lʼinteresse per la cultura in generale grazie alla mentalità aperta del padre, che ritiene di dover dare a tutti i suoi figli,
indipendentemente dal sesso, unʼadeguata istruzione.
Determinata sin da giovane a non sposarsi per dedicarsi interamente allʼarte, a soli diciassette anni incontra Charles
Nevelson, che chiede la sua mano. Accetta di sposarsi perché il matrimonio può garantirle la cittadinanza americana,
stabilità economica e perché il fidanzato non si oppone al suo progetto di divenire unʼartista. Nel 1920 i coniugi
Nevelson si trasferiscono a New York. Nel 1922, da una gravidanza non voluta, nasce Myron Irvin Nevelson, poi detto
Mike.
Nel 1924 la coppia si trasferisce a Mount Vernon: la lontananza dallʼambiente newyorkese causa i primi dissidi di
coppia. In questo periodo Louise si dedica a studi metafisici e di spiritualismo. Nel 1928 i coniugi tornano a Manhattan e
Louise inizia a prendere lezioni da Hilla von Rebay, che le mostra le opere di Kandinsky e di Klee e la spinge a recarsi
in Europa.
Nellʼottobre 1931 visita Monaco, Vienna, Berlino, Salisburgo, Parigi, quindi lʼItalia, dove ammira i lavori di Giotto. A
Monaco e a Parigi vede quadri del periodo cubista, che rappresentano per lei una vera e propria rivelazione.
Nel 1933 conosce e lavora con Diego Rivera e diventa amica della moglie, Frida Kalho.
Nel 1935 insegna pittura murale e inizia a esporre in piccole gallerie del Greenwich Village. Dello stesso anno, la prima
importante prova pubblica nellʼesibizione annuale della Society of Indipendent Artists, organizzata dal Rockfeller
Center; la seconda è ancora una collettiva.
La critica inizia ad accorgersi della sua presenza, ma nonostante i primi riconoscimenti, vende pochissimo e ciò è fonte
di sconforto.
Donna intelligente e molto bella, ma anche volubile e anticonformista, tra alti e bassi di umore, Louise è incostante nelle
amicizie, non aderisce a nessun gruppo artistico ed è sempre concentrata su se stessa. La necessità di una vita libera
da legami, alcune avventure sentimentali e gli incoraggiamenti di maestri e amici a dedicarsi interamente allʼarte, la
distaccano dal marito da cui divorzierà nel 1941. La sua stravaganza e il suo carattere contribuiscono a determinare un
giudizio negativo sulla sua persona che si riflette sul suo lavoro, escluso da rassegne artistiche e non compreso.
Allʼinizio degli anni ʼ40 New York è piena di artisti in fuga dalla guerra europea e la Nevelson ne conosce molti, tra cui
Piet Mondrian. Ad agosto del 1941 decide di modificare lʼatteggiamento nei confronti del mondo dellʼarte e si reca nella
prestigiosa galleria di Karl Nierendorf per chiedere una personale, che il gallerista organizzerà, con un impatto
favorevole sulla critica.
Il figlio Mike parte per la guerra. Nel 1942 inaugura una seconda personale presso la stessa galleria Nierendorf: le sue
opere sono ora il risultato di assemblaggi che anticipano il lavoro degli anni seguenti e sempre più spesso compare il
nero come unico colore dominante.
Nel gennaio del 1943 partecipa alla mostra Thirty-One-Woman presso Art of This Century, la galleria di Peggy
Guggenheim.
Il suo equilibrio emotivo muta grazie al miglioramento del rapporto con il figlio e alla sua relazione con lʼartista Ralph
Rosenborg, durata più di cinque anni. Matura così in lei una nuova coscienza del lavoro e dellʼimportanza
dellʼesposizione delle proprie opere.
Ma il suo lavoro è letto ancora come una deriva surrealista. La critica sarà invece positiva nei suoi confronti nel 1946,
grazie allʼopera Young Bird, inclusa nellʼannuale esposizione del Whitney Museum of American Art di New York.
A partire dal 1947 Louise studia le nuove tecniche di stampa presso Atelier 17 di Stanley William Hayter.
Dopo la guerra molti artisti rientrano in Europa. Nevelson frequenta assiduamente i colleghi dellʼespressionismo
astratto, tra cui Rothko, ma è esclusa dalle loro mostre. Parte per il Messico dove ritrova Rivera e rimane affascinata
dallʼarte precolombiana.
Negli anni ʼ50, accettata come membro della Federation of Modern Painters and Sculptors, è oramai nota come Lady
Lou.
Giungono i primi riconoscimenti pubblici e nel 1952 è accolta alla National Association of Women Artists. Le sue opere
cominciano ad avere un mercato, sono anni di intenso lavoro, durante i quali la critica la sostiene, e nel 1958 Life le
dedica un servizio.
Nel 1959 il Museum of Modern Art di New York acquista una sua opera e altre entrano nelle collezioni del Whitney
Museum e del Brooklyn Museum di New York, dellʼAlabamaʼs Birmingham Museum, del Museum of Fine Arts di Huston
e del Fansworth Museum di Rockland.
Jean Arp vede lʼopera del MoMA e le dedica un poema.
Negli anni ʼ60 Nevelson meraviglia il mondo dellʼarte con grandi sculture monocrome bianche, nere e oro, esponendole
nella personale Royal Tide alla Martha Jackson Gallery e alla Biennale di Venezia del 1962. In seguito la sua arte
approda da Cordier a Parigi, alla Kunsthalle di Baden-Bden in Germania e al Whitney Museum. Si interessa a inedite
esperienze professionali e i suoi lavori raggiungono dimensioni sempre maggiori, in sintonia con le grandi opere
dell'Espressionismo Astratto.
In questi anni è più che mai attiva: amplia il suo studio e la presenza di assistenti le permette di lavorare molte ore al
giorno e di riprendere l'attività grafica, rispondendo alle richieste di un mercato ormai internazionale.
Numerose sue personali sono ospitate in musei pubblici e gallerie private. In Italia – dopo aver esposto nel 1970 alla
galleria Iolas-Galatea di Roma – inaugura nel 1973 una mostra di ottanta lavori eseguiti tra il 1955 e il 1972 presso lo
Studio Marconi di Milano, con cui inizia un felice e duraturo rapporto; nel 1976 partecipa nuovamente alla Biennale di
Venezia.
Anche la critica la osanna come la più grande scultrice vivente. Nevelson cura molto la sua immagine, dai toni sempre
eccessivi, tra il drammatico e il fatale, con foulard e ciglia finte e vestiti ricercati, quasi lei stessa fosse una creazione
artistica.
Negli ultimi anni della sua vita – ancora prolifica e attiva – le diagnosticano un cancro polmonare. Le cure la violentano
e la indeboliscono; nel febbraio 1988 smette di parlare e il 17 aprile muore nella sua casa newyorkese. Il mondo
dell'arte le tributa i massimi onori, mai prima riservati ad un'artista donna.
La Mostra
Strutturata in un percorso che riunisce nuclei di opere, la mostra permette di comprendere lʼevoluzione artistica della Nevelson cronologicamente e tematicamente. Nelle prime sale sono collocati manufatti di piccole dimensioni che documentano l'uso del colore nero fin dai primi anni Quaranta. Subito dopo alcuni lavori dei primi anni Cinquanta – come Moon Spikes n. 112 (1953) e Moon Spikes IV (1955) –, sono presenti opere del periodo più maturo dell'artista, tra la fine degli anni ʼ50 e lʼinizio degli anni ʼ60, come Night Sun I (1959), Royal Tide III (1960, Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Danimarca) e Ancient Secrets II (1964). Queste rivelano come la libertà compositiva, dovuta allʼassemblaggio di elementi geometrici non pienamente lavorati, muta nell'uso di frammenti di mobilio inseriti in strutture scatolari. Il colore nero omogeneo domina in tutte le opere.
In mostra sette disegni, datati dal 1930 al 1933: questi sono essenziali nella poetica della Nevelson, perché dal disegno
nasce lʼidea portante del suo lavoro. Il suo tratto mimetico diviene sicuro nella ricerca di nuove spazialità e la figura
femminile ritratta – come in Senza titolo (Nudo di donna, 1933) – appare emblematica di una libertà compositiva.
Evidenti anche le adesioni alle istanze delle avanguardie scoperte nei suoi viaggi in Europa (1931-1932), nelle scuole
d'arte che frequenta e attraverso contatti diretti con gli artisti europei a New York. In questi stessi anni, ceramiche come lʼopera Senza titolo – terracotta dipinta del 1935 – ribadiscono l'interesse per il Cubismo e il Surrealismo, e anche per soluzioni antropomorfe proprie delle culture precolombiane, trasmesse da Diego Rivera e da Frida Kalho, frequentati dallʼartista nel 1933 a New York.
Accanto ai disegni tre serigrafie realizzate a metà degli anni Settanta documentano l'interesse di Louise per la grafica,
che studia fin dal 1947 presso il famoso Atelier 17 di New York di Stanley W. Hayter. È un'esperienza importante per
lei, durante la quale elabora tecniche di stampa anticonvenzionali, con procedure personali e sperimentazione
compositiva. Nel 1963 lavora anche presso la Tamarind Lithography Workshop di Los Angeles, dove lʼartista è ospite dello studio. Qui sviluppa modalità esecutive per cui gli elementi materici – quali ritagli, trine, elementi traslucidi – vengono aggiunti a piani cromatici creando stampe sempre più preziose.
Sempre di questo periodo sono le opere orizzontali e verticali di legno nero, esempi di accumulazione su supporti
bidimensionali rettangolari, come Senza titolo del 1976-1978, in cui gli oggetti, elementi geometrici di mobilio, sono
accostati secondo una ricerca di equilibrio tra le masse. Accumulazioni verticali dei primi anni ottanta chiudono la prima parte del percorso. Più che in altri casi in cui l'artista ha utilizzato la forma verticale, queste sculture mostrano una spazialità nei volumi che accentua la tridimensionalità. Nella sala del museo che ospita queste sculture, una luce blu illumina le opere, creando una particolare visione della materia e accentuandone la valenza metafisica.
Nella quinta sala, al costante utilizzo da parte dellʼartista del nero, si contrappongono alcune opere completamente
bianche, colore che rende maggiormente evidenti i rapporti tra luce e ombra: la scultura intitolata Dawnʼs Host (1959),
un vistoso disco bianco, testimonia il passaggio a questo colore, avvenuto negli ultimi anni Cinquanta.
Le sue opere bianche vengono presentate per la prima volta al pubblico nel 1959 con lʼinsieme Dawn's Wedding Feast
presso il Museum of Modern Art di New York: una grande installazione dedicata al tema nuziale, composta da più
elementi. Le varie parti dellʼopera verranno nel tempo acquisite da più collezionisti, nonostante Nevelson le avesse
concepite come un unico lavoro. La mostra romana riunisce due pezzi dal titolo Columns Dawn's Wedding Feast del
1959, provenienti da The Menil Collection della città di Houston.
Il colore nero dà alle sculture un senso di monumentalità. Il bianco invece indica un punto di vista più sereno per
lʼartista, che afferma: «Quando mi sono innamorata del nero, per me conteneva tutti i colori. Non era una negazione, al
contrario, era un'accettazione [...] per me è il massimo», ma poi aggiunge: «Per me, il nero contiene la forma, l'essenza
dell'Universo. Ma il bianco esce fuori nello Spazio con più libertà».
Nella stessa sala la produzione degli anni settanta e ottanta – come lʼopera Sky-Zag IX (1974) – è messa a confronto
con le fotografie di grandi installazioni realizzate negli stessi anni all'aperto quali Dawn Shadows (1982), che si erge in
Madison Plaza a Chicago e Frozen Laces-Four (1976-80) in Madison Avenue a New York.
Nonostante l'avversione per l'assenza di manualità diretta, dovuta alla monumentalità di queste installazioni in metallo,
la Nevelson inizia comunque a produrre una serie di opere pubbliche – anche in omaggio alle vittime dell'Olocausto –
ancora oggi visibili in tutto il mondo.
Lʼambiente successivo accoglie il più grande lavoro di Louise Nevelson in mostra – Hommage to the Universe (1968) –
che, con i suoi nove metri di lunghezza, è il protagonista assoluto dello spazio. Il passaggio di scala operato dall'artista
in opere come queste è influenzato dalla realizzazione delle grandi installazioni pubbliche.
Esposti anche sei grandi collages di differenti dimensioni, come il Senza titolo del 1980 circa e il Senza titolo del 1985
circa, che rappresentano una particolare serie. La bidimensionalità, l'assenza di una colorazione uniforme, le forme
ritagliate, rivelano la particolare attenzione ai piani prospettici che si determinano nelle sovrapposizioni. Affiora la
lezione cubista per coniugarsi con l'esperienza pluridimensionale.
Nella sala seguente, la poeticità e il lirismo dei volumi e delle forme di opere come Tropical Landscape I (1975) sono
affiancati da una gigantografia di New York, città sempre amata dall'artista. La composizione geometrica e la semplicità
di questi lavori avvicina la Nevelson alle contemporanee esperienze della generazione minimalista statunitense.
Chiudono il percorso opere di colore oro quali The Golden Pearl (24 elementi, 1962), Royal Winds (1960) e Golden
Gate (1961-70) che risalgono ai primi anni sessanta. Lʼartista riconduce il suo interesse per questo colore
principalmente al detto degli emigranti russi, in base al quale le strade americane si pensava fossero lastricate dʼoro,
ma anche allʼalchimia e al lusso dellʼarte antica: «L'oro è un metallo che riflette il grande sole. [...] Di conseguenza
penso sia giunto naturalmente dopo il nero e il bianco. In realtà era per me un ritorno agli elementi naturali. Ombra,
luce, il sole, la luna».
Nella vita della Nevelson il nero, il bianco e lʼoro hanno un ruolo fondamentale: lei stessa mantiene separati
cromaticamente i suoi lavori, negli insiemi e nelle installazioni, oltre a dividere il suo studio secondo il colore delle
opere. Anche quando partecipa nel 1962 al Padiglione Statunitense della XXXI Esposizione Internazionale dʼArte della
Biennale di Venezia decide di creare tre spazi differenti, uno nero, uno bianco e uno oro, realizzando tre installazioni
disposte in base ai colori nellʼingresso e nelle due sale adiacenti. La sola luce naturale illumina lʼambiente, filtrando da
velari posti sul soffitto, creando una particolare atmosfera che stupisce ed entusiasma la critica.
Molte fotografie storiche originali accompagnano il percorso, come il famoso ritratto di Louise Nevelson realizzato da
Robert Mapplethorpe nel 1986, e gli scatti di Enrico Cattaneo eseguiti nel 1973 durante la mostra presso lo Studio
Marconi di Milano e di Pedro E. Guerrero nel 1979-80. Fruibile dal pubblico è anche un documentario-intervista che
mostra l'artista in azione nel suo studio e approfondisce alcuni aspetti interessanti dellʼaffascinante lavoro della
scultrice.
Catalogo Skira
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Preview Stampa della mostra Lunedì 15 aprile 2013 dalle ore 12.00 alle ore 14
Inaugurazione lunedì 15 aprile
Museo Fondazione Roma - Palazzo Sciarra
Via Marco Minghetti, 22 Roma
Orario apertura: tutti i giorni dalle 11.00 alle 20.00, lunedì chiuso (la biglietteria chiude un’ora prima)
Biglietti:intero € 10,00; ridotto € 8,00; ridotto gruppi € 8,00 (minimo 10 - massimo 25 persone, dal martedì al venerdì); scuole € 4,50; famiglia € 20,50
Diritto di Prenotazione(il diritto di prenotazione non sarà applicato ai gruppi accompagnati da guida interna). Scuole € 20,00; gruppi € 30,00; singoli € 1,50
Visite guidate per gruppi e scuole (tariffe biglietto escluso, prenotazione obbligatoria, max 25 persone) Gruppi € 130,00. Scuole € 90,00