Rosa Barba
Yona Friedman
Jean Baptiste Decavele
Chiara Parisi
Chiara Rusconi
Paola Manfrin
Lo spazio museale della cantina diviene il fulcro di una mostra incentrata sulla ricerca delle forme dell'esistenza e richiama alla mente il mito della caverna di Platone. Opere di Rosa Barba, Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavele.
a cura di Chiara Parisi
Project manager Chiara Rusconi
Responsabile dell’immagine Paola Manfrin
La Cantina dei Marchesi Antinori nel Chianti Classico è un luogo dove il concetto di tempo si fa labile
e si confonde, dove antico e contemporaneo si susseguono senza soluzione di continuità per
testimoniare il legame profondo, già dal 1385, alle arti: pittura, scultura, architettura, ma anche l’arte,
non meno difficile e misteriosa, di saper trasformare i frutti della terra in grandi vini.
Spazio sospeso nel tempo, dove l’avanguardia dialoga con la tradizione, le opere degli artisti
contemporanei con quelle della collezione storica, nella traccia del secolare mecenatismo fiorentino.
Con questo evento, la famiglia Antinori rinnova l’attitudine alla creatività, all’innovazione e all’ideazione
che ne ha fatto una dinastia del vino conosciuta in tutto il mondo.
Lo spazio museale della cantina diviene il fulcro di una mostra incentrata sulla ricerca delle forme
dell’esistenza e richiama alla mente il mito della caverna di Platone, che insegna come l’amore per la
conoscenza, per la cura dell’arte e della vite, possano portare l’uomo a liberarsi dalle gabbie
dell’esperienza comune, necessariamente parziale, per raggiungere una comprensione più piena e
consapevole del mondo.
Il Palazzo Antinori è stato concepito in pieno Rinascimento da Giuliano da Maiano nel 1461 e
terminato da Baccio d’Agnolo nel 1543. Da questo periodo storico straordinario e fortemente
caratterizzato dalla filosofia neoplatonica inizia il percorso espositivo che propone una serie continua
di andate e ritorno dalla storia alla contemporaneità.
Un viaggio nel tempo lungo il quale ci accompagnano tre artisti di fama internazionale: Yona
Friedman, Rosa Barba e Jean-Baptiste Decavèle.
Grazie a queste guide eccezionali siamo condotti a misurarci con lo spazio reale e quello immaginario,
con il mito di cui il paesaggio toscano è intriso, lungo un percorso in cui la storia e la tradizione
rappresentano un valore imprescindibile per la comprensione del bello ideale, di quella entità
superiore e ineffabile che i neoplatonici chiamavano la Nuda Veritas.
Lo straordinario progetto della scuola di Leonardo da Vinci per il torchio, la selezione di documenti e
ritratti della famiglia, lo stemma di famiglia di Giovanni della Robbia sono state collezionate nel corso
delle generazioni. Queste opere, con la serie di paesaggi del Novecento, che rappresentano un
momento chiave per la storia dell’arte moderna, sono diventati altrettanti spunti per la riflessione degli
artisti invitati, che hanno trasformato la cantina in un’idea ontologica di paesaggio, abitato da
dispositivi multipli, da congegni che mettono alla prova la percezione del visitatore e ne attivano la
memoria, portando al centro del dibattito la rappresentazione artistica e il suo potere rigenerante.
Alle monumentali Iconostasi di Yona Friedman, che alludono al continuo mutare dell’architettura e al
suo forte potenziale di esperienza, si collega il film di Jean-Baptiste Decavèle, che crea una
narrazione pittorica attraverso le immagini e gli oggetti conservati nelle stanze di Palazzo Antinori a
Firenze. Si arriva così all’intervento di Rosa Barba, che trasforma uno dei cortili della cantina in una
camera ottica per restituirla come un orologio mistico.
Le opere realizzate dagli artisti per la Cantina del Chianti Classico sono cariche di simboli e vogliono
restituire al visitatore il mistero di un luogo ipogeo e archetipico, uno spazio nella cui oscurità si
genera la vita, come nella fase della Nigredo o Opera al Nero, in cui la materia si dissolve per dare
origine all’opus alchemicum: la pietra filosofale.
I progetti e gli artisti
Rosa Barba è una delle più affermate artiste italiane dell’ultima generazione. Il suo lavoro
attraversa il cinema, il suono e la scrittura e indaga il linguaggio e l’immaginario del reale che
le permettono di creare nuovi percorsi, osservare e commentare la storia dal suo interno.
Il lavoro dell’artista prende in considerazione il cinema, in ogni suo aspetto, dalle
caratteristiche fisiche della celluloide, fino alla luce, al proiettore, al suono, passando per le
strutture della narrativa, con i suoi personaggi spesso improbabili, i luoghi, le storie.
Rosa Barba si avvicina al film in modo scultoreo, spesso considerando separatamente gli
elementi cinematografici per creare nuovi oggetti espressivi oppure orientando la cinepresa
verso oggetti e paesaggi, con una particolare attenzione alla forma.
Per l’architettura della cantina, Rosa Barba realizza un intervento monumentale in uno dei tre
vertiginosi cortili, trasformandolo in una macchina ottica, dove il tempo esterno, quello delle
colline del Chianti, entra attraverso un meccanismo allestito attorno alla fessura circolare nel
tetto. La volta viene trasformata in una lente che filtra la luce del sole e permette all’esterno
di depositare il passare del tempo, fissato attraverso delle scritte sul pavimento.
Il protagonista è il tempo che, grazie alla luce del sole, scrive la realtà al posto dell’uomo.
Tramite un disegno preciso e ricercato, l’artista tenta di trasformare lo spazio architettonico in
un orologio che misura se stesso e che pulsa di vita propria; un congegno quasi magico che
produce vita, memoria e storia proprio come se fosse il fulcro di una temporalità fluida, che
confonde passato, presente e futuro per mostrarsi come motore attivo. Una macchina
dell’immaginario, un deposito della memoria dello spazio e del tempo, fonte di nuove
narrazioni e nuove illusioni.
Yona Friedman, architetto teorico dell’urbanismo è riconosciuto a livello internazionale per
le sue “utopie realizzabili” e per il modo di definire il ruolo dell’architetto come consulente
incaricato di seguire l’elaborazione degli edifici costruiti dagli abitanti.
Yona Friedman è una figura emblematica che ben rappresenta il pensiero che ha
caratterizzato la seconda metà del XX secolo per le sue posizioni filosofiche, per le sue
teorie, per l’aspetto pedagogico legato al suo lavoro, per la ricerca verso una nuova libertà
formale, emancipata da dogmi e ideologie.
Ha segnato profondamente la creazione architettonica del XX secolo. Concentrando le sue
ricerche sull’“architettura mobile” intesa nel senso di “mobilità dell’abitare”. Negli anni
Cinquanta, Yona Friedman è stato il primo a proporre un’architettura capace di essere creata
e ricreata secondo l’esigenza degli abitanti e dei residenti.
In risposta al progetto architettonico della nuova cantina, l’architetto ripensa alla funzione
dello spazio museale proponendo un modulo tridimensionale che diviene una struttura
spaziale in cui si possono esporre interventi artistici e pedagogici. Ricollegandosi ai principi
della sua Ville spatiale (1959), che insegue il concetto di architettura mobile, modificabile,
l’idea dell’architetto è di creare un’Iconostasi, in due tempi, per la cantina: una soluzione
strutturale interattiva che cambia come un’architettura viva, che può essere spostata,
rimossa e riconfigurata a piacimento.
La necessità sembra essere quella di pensare lo spazio architettonico e museale in termini
completamente nuovi, slegati dalla fissità e rigidità strutturale di un’architettura permanente.
Il principio di mobilità, in questo progetto, si fonde con il concetto mistico, quello
dell’iconostasi, che per l’appunto non si basa sulla rappresentazione prospettica fissa ma, al
contrario, si manifesta come una composizione visiva mutevole e perennemente agitata
dall’interazione con l’ambiente, con gli oggetti e con le persone che l’attraversano. Si tratta di un’architettura che non si fonda su una griglia preesistente, ma funge da prolungamento
flessibile del museo, dove gli spettatori diventano essi stessi architetti e attivi fautori del
percorso museale. L’Iconostasi diventa lo spazio della circolazione, della creazione del
pubblico e il luogo dove il Museo Antinori, così come propone il film di Jean-Baptiste
Decavèle, costruisce un mondo rivolto al presente.
Jean-Baptiste Decavèle, fotografo e regista, propone al visitatore una raffinata narrazione
visiva che si costruisce a partire dagli oggetti presenti a Palazzo Antinori. La fluidità e la
leggerezza dei fotogrammi del video sono l’alleato per carpire i sei secoli della dinastia. È un
film che sembra disegnato con l’inchiostro da una mano che guida lo sguardo, in un percorso
di andata e ritorno nei meandri delle stanze di un palazzo fiorentino dal temperamento forte,
movimentato da secoli di incontri e vicende di cui noi oggi, attraverso il video di Jean-
Baptiste Decavèle, entriamo a far parte.
Il risultato è un ritratto emblematico della famiglia e della sua storia, ritmato da
riavvicinamenti attenti, che si posano sulle opere, sui dettagli e sugli oggetti per rivelarne
l’essenza. Seguendo un movimento filmico e cronologico fluido, l’intenzione dell’artista
sembra essere quella di rivelare lo spirito della collezione, il suo tratto singolare e la
relazione che la famiglia Antinori mantiene con il proprio presente. Lo sguardo di Jean-
Baptiste Decavèle diventa allora rivelatore di una sintesi visiva dall’andamento melodico, di
una sublimazione di gesti, di opere e di immagini della dinastia che si incontrano per la prima
volta in uno spazio filmico.
Immagine: Yona Friedman, Iconostase, 2012. Adattazione spaziale di Jean-Baptiste Decavèle cerchi in cortex
Inaugurazione 25 maggio alle ore 11
Antinori nel Chianti Classico
via Cassia per Siena, 133 San Casciano Val di Pesa (FI)
Ingresso libero