Stefania Artusi
Romina Bassu
Gianni Cipriano
Giulia Giannola
Paolo Polloniato
Angela Zurlo
Manrica Rotili
6 giovani artisti presentano lavori che appartengono a diversi territori artistici: scultura, fotografia, pittura, video e installazione. A cura di Manrica Rotili.
a cura di Manrica Rotili
‘Paradise Now’ è stato uno degli spettacoli più dirompenti del Living Theatre che, alla fine degli anni Sessanta, portò la compagnia teatrale al proprio apice rivoluzionario. La scelta di dare un titolo tanto evocativo alla collettiva di sei giovani artisti italiani che varcano per la prima volta la soglia di extraspazio è molteplice. Proviene in parte dall’idea di considerare la dimensione espositiva come un palcoscenico in cui le diverse poetiche portate avanti dai sei protagonisti si mettono in gioco generando una contaminazione di linguaggi visivi che ne esalta la convivenza e l’incontro. Si tratta di linguaggi espressivi ibridi, apparentemente incongruenti, volutamente eterogenei, in alcuni casi ancora sperimentali, che mostrano uno spaccato della forza creativa made in Italy. Gli artisti coinvolti, Stefania Artusi (Palermo 1990), Romina Bassu (Roma 1982), Gianni Cipriano (Palermo 1983), Giulia Giannola (Napoli 1985), Paolo Polloniato (Nove 1979), Angela Zurlo (Foggia 1982), provengono da territori artistici estremamente differenti e rappresentano cinque diverse categorie artistiche: scultura, fotografia, pittura, video e installazione.
In linea con l’antesignano teatrale, anche il Paradise Now di extraspazio vuole essere caotico e sperimentale, vuole accorciare il divario tra scena espositiva, realtà e fruizione, prediligendo un allestimento privo di cornici, di vetri, teche, schermi e di ogni altro elemento che sia esterno ed estraneo all’opera. Tutto in funzione di un’immediatezza che riporti ad un’esperienza estetica impulsiva, spontanea e che avvicini Paradise Now a ‘un'esplosione di felicità e di ottimismo rivoluzionario’ in un periodo storico in cui la ricerca del paradiso (terreno, ideale, mentale, artistico) appare come una sorta di utopia collettiva a cui molti hanno rinunciato.
Molti, ma non tutti. I circa 53.000 subsahariani nordafricani che nel 2011 riescono a varcare la cosiddetta ‘Porta d'Europa’ di Lampedusa stanno cercando il paradiso. Le tende che costruiscono con bastoni di metallo, sacchetti di carta, vestiti e materassi, e che Gianni Cipriano ci propone nella serie fotografica Hill of Shame (2011), rappresentano per loro un prezioso momento di precaria stabilità. La scelta del fotografo è netta: le sue immagini non immortalano la disperazione e lo smarrimento di quegli uomini, ma il loro gesto di speranza, la costruzione di qualcosa di proprio in una terra non propria. Le tende come architetture spontanee diventano quindi rifugio di serenità e rendono la permanenze sulla collina un limbo più sopportabile. Diventano il simbolo di un caos calmo e metafora di un’esistenza in cui niente è pianificato, tutto è strettamente legato e ogni elemento è essenziale a sostenere l’altro.
La fugace e intensa conquista di un paradiso carnale, di un’estasi fisica, viene ritratta da Stefania Artusi nell’opera Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (2013, inchiostro calcografico su carta da parati). Il corpo è il protagonista assoluto della poetica della Artusi e quindi anche degli altri due lavori in mostra: Boy with grass leaves on his hand (2013) e Untitled (2013), entrambi olio e carboncino su cartone vegetale. Corpi che vanno oltre il concetto di “corpo-oggetto” o “corpo-rappresentazione”, ponendosi in antitesi sia rispetto al tradizionale principio platonico del corpo come prigione dell’anima, sia alla distinzione cartesiana del corpo come res extensa distinta dalla res cogitans. I corpi della Artusi sono corpi vivi, corpi vissuti, i corpi dell’«ontologia della carne» per dirla con Husserl. Non Körper quindi, ma Leib: è l’esperienza del corpo proprio che la giovane artista palermitana riporta nei suoi lavori. Carni vive che seducono lo sguardo, ritratte attraverso un gesto pittorico istintivo, fluido, attraverso una pittura performativa, come la stessa Artusi ama definirla.
Le sculture di Paolo Polloniato sono una sorta di paradisi di forme perdute. L’artista proviene da una famiglia legata da due secoli alla produzione della ceramica di Nove (uno dei centri più importanti in Italia) ed eredita quindi una varietà di stampi e forme appartenenti ad un'altra epoca che diventano il punto di partenza del suo lavoro. Tra le opere che espone a Paradise Now vi è Memamorfosi (2011), una trasformazione e metamorfosi formale di una forma ricavata da un modello originale del 1800 della Manifattura Barettoni, già Antonibon, di Nove, in terra bianca sotto smalto bianco, cotta a 980°.
Quello di Polloniato è una sorta di editing delle narrative storiche e ideologiche del passato che gli permette di ri-programmare opere già esistite conferendogli una forma contemporanea. Dunque, attraverso l’indagine e la manipolazione di stampi delle varie manifatture storiche del suo luogo di origine, Polloniato crea sculture e installazioni concettuali in cui la tradizione, rapportandosi con il presente, genera nuovi scenari. È così che l’artista inaugura un modo inedito di abitare stili e forme storicizzate.
Anche Romina Bassu attinge da un archivio del passato, un archivio fotografico. Memoria lineare (2013, acquarello su carta Fabriano) fa parte del progetto ‘Archivo anonimo’ che contempla la raccolta di fotografie del passato (più o meno recente) e la loro riproduzione in chiave pittorica. Quella di Bassu è una riflessione sui nessi tra memoria individuale e memoria collettiva. Il suo intento è di proporre una sorta di archeologia del ricordo: osservando i protagonisti di Memoria lineare ci si ritrova in relazione con il proprio passato pur avendo di fronte ritratti e persone sconosciute. Come se quei volti senza nome avessero il potere di attivare i ricordi privati di ognuno. Un repertorio anonimo che restituisce e cerca quindi di comprendere il continuum tra storia universale e storia individuale.
Individuo e società, azione individuale e azione collettiva sono alcuni dei temi attorno a cui ruota il lavoro di Giulia Giannola. L’artista presenta un video, Tinker Tailor Soldier Sailor (2012), che prende il titolo da una filastrocca inglese databile tra il 1475 e il 1695, cantata dai bambini in un gioco che attraverso la conta di bottoni, petali di fiori, noccioli di ciliegia, sassi e altri oggetti, avrebbe ‘determinato’ il futuro lavoro: l’ambulante, il soldato, il marinaio, il ladro o magari il riccone e cosi via a seconda della coincidenza tra l’ultimo oggetto contato e il nome del mestiere nella sequenza della filastrocca. Giannola converte il gioco in un lavoro operaio, mettendo in scena una catena umana intenta ad estrarre semi da cocomeri. Ogni individuo ha il suo ruolo, meccanico, ripetitivo, scandito dai ritmi della filastrocca intonata dall’ultimo anello della catena impegnato nel conteggio dei semi. Una riflessione sulla condizione del lavoro in fabbrica prima della rivoluzione industriale, in cui i lavoratori agiscono come meccanismi di un motore immobile. La scelta di ogni inquadratura, l’equilibrio formale, la cura estetica, la ripetività del ritmo, esaltano il lavoro di Giannola che riesce a trasformare la scena in un theatrum mundi in cui ognuno può riconoscersi.
Il tema del paradiso torna nelle opere di Angela Zurlo, esso viene infatti evocato dal titolo o dal significato delle opere stesse. In Angeli Mai (2010) l’artista traccia con fili di lana il profilo di due angeli su una carta da parati di fattura inglese montata su tela, come se volesse trattenere con il ricamo il passaggio evanescente dei due corpi celesti sulla carta, da conservare come reliquia. Annozero (2010/2011) è una serie di 70 bustine di cereali monodose su cui la Zurlo ha cucito a mano la sagoma di un bambino, sempre lo stesso, utilizzando fili di cotone di 70 diverse sfumature di colore. La poetica dell’artista ruota attorno alla riscoperta dell’arte della tessitura tradizionale attraverso la creazione di opere e installazioni che riattualizzano in chiave contemporanea l’arte del ricamo. I lavori esposti veicolano messaggi profondi, pungenti, amari, forti, legati al tema della perdita e dell’abbandono, e lo fanno attraverso forme delicate, poetiche e leggere, che trasudano bellezza e malinconia.
Paradise Now segna il passaggio tra la prima e la seconda stagione espositiva di e x t r a s p a z i o con l’intento di operare una ricognizione di figure emergenti e significative dell’attuale contesto artistico italiano.
Immagine: Gianni Cipriano, Hill of Shame, 2011, stampa digitale. Courtesy of extraspazio
inaugurazione giovedi' 4 luglio 2013, ore 18:00
e x t r a s p a z i o
via San Francesco di Sales, 16/a Roma
dal lunedi' al venerdi' dalle 15:30 alle 19:30 e su appuntamento
ingresso libero