Galleria fotografica Luigi Ghirri
Panta Rei / Incroci possibili. In "Panta rei" gli autori fotografano i cambiamenti che stanno trasformando, talvolta in modo drammatico, la societa' di oggi. "Incroci" come sovrapposizioni, come raddoppi, come direzioni diverse, come accoppiamenti nuovi.
Incroci possibili
FOTOGRAFIE: MICROCRISTALLI DI MUTAMENTO Non cambiare tu! Resta come sei e vedrai / che lasciando vivere il tuo tempo / puoi sentirti crescere da dentro / è difficile lo so / in un mondo che cambia come il vento / ma tu non sei vento non cambiare tu. / La stessa si! La stessa in quello che fai / l'anima, la mente, la tua idea. / La stessa si! La stessa anche quando vuoi / cambiare tutto, e tutto cambia te / non cambiare tu, non cambiare tu.
Biagio ANTONACCI, Non cambiare tu, 1998
La fece sedere nella poltrona del salotto - quella Voltaire, ora fissata così saldamente al pavimento dello studio - e la ritrasse. Apertura 5,6, un 25° di secondo. Fin dall’indomani, stampando il negativo su carta Kodakchrome, gli venne la grande ispirazione, quella che lo avrebbe reso celebre: in ginocchio davanti a lei, con le guance accese, le rivelò il suo ambizioso progetto.
Se avesse fatto ogni giorno il ritratto a Lucienne, se lei avesse assunto la stessa posa, davanti allo stesso sfondo perenne, in ragione di trecento-sessantacinque scatti all’anno per tutta la vita, fino all’ora della morte, lui, Kléber, filmando poi quelle migliaia di negativi, avrebbe ricavato il documento più sconvolgente del mondo, un film unico nel suo genere. Una pellicola che, con ventiquattro pose al secondo, avrebbe mostrato il passaggio graduale e continuo dalla giovinezza radiosa di una donna alla sua piena maturità. E in seguito, se l’esperimento si fosse protratto senza tregua, sarebbero apparse sul viso della modella le stigmate antesignane della vecchiaia. che emozione! Che strana sensazione, no? vedere in sintesi l’usura operata dal tempo! presagire il galoppo annunciatore della fine! Jean VAUTRIN, Il viaggio immobile (di Kléber Bourguignault), in Baby boom, 1985 In questo racconto geniale dello scrittore francese Jean VAUTRIN si traduce in visionaria follia il senso di una posa fotografica: salvacondotto verso l’eternità, trafugata in uno scatto, capace di fissare il tempo, documentandone al contempo lo scorrere e, inevitabile, il cambiamento ad esso legato. πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός Tutto scorre come un fiume Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va. ERACLITO di Efeso o CRATILO, V sec. a.C. Le immagini della collettiva della Galleria Fotografica Luigi GHIRRI sono attraversate da un filo invisibile che dai tempi più antichi è giunto fino a noi: la figura umana al centro della scena, ritratta in un ventaglio artistico che si articola dall’adolescenza alla vecchiaia, è ammantata dal senso latente della caducità del tempo, da un’inquietudine, a tratti da un dolore palese. Siamo protagonisti e spettatori di un’epoca ove il cambiamento è realtà vorticosa che ci involve, a tratti ci stritola. Viviamo il superamento quotidiano del nuovo che è già vecchio prima che sia del tutto compiuto, i parametri della civiltà europea si smarriscono in una nuova globalità incalzante. Si fatica a comprendere, talvolta, il senso di questo cambiamento, sempre più confusi in un frastuono assordante, ove spesso l’individuo ascolta il silenzio della propria solitudine.
Una mostra collettiva, per definizione, presuppone la condivisione di un “qualcosa” che si traduce in un progetto unico ma non certo univoco: qui ogni fotografo soppesa il suo sguardo e ogni sguardo attiva una sensibilità unica che traccia percorsi a volte contrastanti e apparentemente inconciliabili. Cambia lo sguardo e cambia la lettura di un presente sempre più complesso, un presente che si fa crocevia di visioni e progettualità. E ciascuno degli artisti firma questa collettiva, con la sua cifra, con la propria sensibilità e il suo personale linguaggio fotografico. Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno.
Italo CALVINO, Eremita a Parigi. Pagine autobiografiche, 1994 Più ampiamente l’arte, intesa come libera voce di individualità dotate di una sensibilità non a tutti comune, da sempre è in grado di cogliere ciò che vibra nell’epoca di cui essa è amplificazione: l’artista possiede sensori speciali, capta onde e percezioni capaci di oltrepassare la soglia della materiale quotidianità, per addentrarsi in nelle pieghe di ciò che l’apparenza non lascia cogliere. Per questo si può parlare di poetica dell’arte, intesa nella sua pluralità di voci ed espressioni. Lo scorrere del tempo, il mutare del tempo, la brevità di durata del tempo e ciò che del tempo rimane, che è il soffio della poesia inducono il poeta Giuseppe UNGARETTI a scrivere una raccolta di liriche dal titolo Sentimento del tempo. Così l’autore ne narra la genesi: Ci sono tre momenti nel “Sentimento del tempo” del mio modo di sentire successivamente il tempo. Nel primo mi provavo a sentire il tempo nel paesaggio come profondità storica; nel secondo, una civiltà minacciata di morte mi induceva a meditare sul destino dell’uomo e a sentire il tempo, l’effimero, in relazione con l’eterno; l’ultima parte del “Sentimento del tempo”, ha per titolo L’Amore, e in essa mi vado accorgendo dell’invecchiamento e del perire della mia carne stessa.
Giuseppe UNGARETTI, Ungaretti commenta Ungaretti, 1963 Con una fotografia attestiamo sui documenti la nostra identità, fotografie hanno scandito lo scorrere delle nostre vite, nascite, traguardi, eventi lieti; fino alla quasi aberrazione di questo nuovo secolo, in cui il più semplice telefono, trasformato in una camera alla portata di tutti, talvolta fa perdere il senso dell’esistere, sostituito da un passivo senso dell’assistere: ci si estrania dalla possibilità del vivere realistico, per fissare in una sequenza di scatti fotografici ciò che, fra un istante (peraltro non vissuto nella sua intima essenza), non sarà più. E tuttavia, dibattendoci nel timore di una caducità che ci incalza, la fotografia ci ha offerto la rivincita sulla vita che attimo dopo attimo si consuma e ci consuma, e sulla polvere che il tempo deposita sulla nostra memoria, offuscando i ricordi. Una delle tante date / Che non mi dicono più nulla. / Dove sono andata quel giorno, / che cosa ho fatto – non lo so. / Se lì vicino fosse stato commesso un delitto / - non avrei un alibi. / Il sole sfolgorò e si spense / Senza che ci facessi caso. / La terra ruotò / E non ne presi nota. / Mi sarebbe più lieve pensare / Di essere morta per poco, / piuttosto che ammettere di non ricordare nulla / benché sia vissuta senza interruzioni. / Non ero un fantasma, dopotutto, / respiravo, mangiavo, / si sentiva / il rumore dei miei passi, / e le impronte delle mie dita / dovevano restare sulle maniglie / Lo specchio rifletteva la mia immagine. / Indossavo qualcosa d’un qualche colore. / Certamente più d’uno mi vide, / Forse quel giorno / Trovai una cosa andata perduta. / Forse ne persi una trovata poi. / Ero colma di emozioni e impressioni. / Adesso tutto questo è come / Tanti puntini tra parentesi. / Dove mi ero rintanata, / dove mi ero cacciata – / niente male come scherzetto / perdermi di vista così. / Scuoto la mia memoria – / Forse tra i suoi rami qualcosa / Addormentato da anni / Si leverà con un frullo. / No. / Evidentemente chiedo troppo, / addirittura un intero secondo. Wislawa SZYMBORSKA, Il 16 maggio 1973, in La fine e l’inizio, 1993 Un intero secondo: lo spazio temporale di un click, lo scatto fotografico per imprigionare un frammento di immortalità.
Marina BENEDETTO Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
INCROCI POSSIBILI
“Incroci” come sovrapposizioni, come raddoppi, come direzioni diverse, come accoppiamenti nuovi. “Possibili” perché reali, sperimentati, vissuti, non ipotetici, non virtuali. Fotografici perché incontrati, esistenti come realtà davanti allo strumento fotografico; perche svelati proprio dal medesimo strumento e resi manifesti come documenti aggiunti, come nuovi incipit narrativi, come pretesti artistici. Alcuni valenti professionisti dello strumento fotografico, raccolgono, qui, l’ultradecennale esperienza della Galleria Fotografica Luigi GHIRRI di Caltagirone e, insieme, muovendo da differenti presupposti, sia estetici che filosofici, di visione e di vita, incontrano il lettore nuovo e interessato, pregandolo di creare con le loro opere un possibile incrocio dove fermarsi, per un attimo, e quell’attimo approfondire, comprendere, esemplificare. Per costruire insieme il rettangolo delle parole crociate e insieme ricomporre il senso delle definizioni sciogliendo il vincolo del concatenamento tra le verticali e le orizzontali. “L’incrocio possibile” apparirà allora il prezioso avanzo della dissoluzione del genere umano che da tanti parti si dichiara avvenuta? E testimonierà ancora della volontà di accordare all’immagine la fiducia di salvare i contorni della nostra esistenza?
In un momento in cui la parola “crisi” è sinonimo di crollo più che di turbamento, di mutazione più che di rivoluzione, i fotografi qui riuniti mettono in gioco la sicurezza del segno della loro visione e scavalcano i confini del documento e della mera narrazione abbandonandosi, e invitandovi ad abbandonarvi, ai contorni delle loro immagini, reali ed emotive, confidando che nel nuovo incontro si possa incrociare una nuova dimensione dello sguardo, possibilmente più immediata e penetrante. L’intensità del presente progetto è pari alla sincerità e alla genuinità con la quale ognuno vi ha contribuito: vi sono presenti esperienze politiche ed esistenziali, meditazioni sulla forma e sul risultato della visione. E riflessioni sula visibilità del sentimento si sono confrontate con i segni lasciati dalle lacrime e dalle emozioni all’incrocio delle nostre rughe e delle nostre denunce. L’incrocio possibile, allora, è anche un bisogno, una necessità: come quella avvertita dai giovani attorno a Socrate e Platone, dai discepoli attorno al Nazareno, dai cavalieri intorno ad Artù. Come ogni volta si condivide un bisogno e si cerca una via d’uscita intercettando un’altra possibile strada, un’altra dimensione.
Pippo PAPPALARDO per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
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Panta Rei
Fotografare il Cambiamento, o meglio, fotografare i cambiamenti che stanno trasformando, talvolta in modo drammatico, la società di oggi: questo il tema guida della VIII edizione di Fotografia Europea.
Facile a dirsi. Difficilissimo a farsi.
Come si può, infatti, fotografare – tanto per dirne una – il fondamentalismo tirannico dei mercati finanziari, la liquida virtualità di un Social Network o il petulante cinguettio di Twitter, testimonianze dirette delle trasformazioni sociali, antropologiche e culturali che stiamo vivendo? Confesso che se fossi un fotografo non saprei a che santo votarmi, probabilmente appenderei sconfortato l’apparecchio al proverbiale chiodo … Ecco, se proprio dovessi, per documentare l’idea del Cambiamento in atto, farei una fotografia alla mia macchina digitale. E nient’altro. Più Cambiamento di questo, infatti, non credo ci possa essere.
Accidenti alla macchina digitale e ai “fotofonini”, dunque: sei miliardi di apparecchi in grado di produrre immagini, di costruire / decostruire ogni giorno il Reale, un paio di miliardi di fotografie prodotte giornalmente … aiuto! Chi ci salverà da questa debordante, minacciosa ipertrofia visiva? Dove fuggire per non rimanere travolti dai nostri infiniti Doppi, dai molteplici duplicati del mondo, da questa invasione degli Ultracorpi che hanno già stabilmente colonizzato gli hard disk dei nostri computer?
Questo è il Grande Cambiamento.
È questo piccolo oggetto compatto che tengo nel palmo della mia mano, è questo piccolo aggeggio ad altissima tecnologia, protesi prediletta del computer, computer esso medesimo, che ha inaugurato una Nuova Era, quella della Post – Fotografia in cui ogni cosa del mondo è già stata replicata migliaia, milioni di volte, dove, anzi, l’immagine si piega “con duttile facilità alla manipolazione, alla trasformazione in pittura digitale, in invenzione fantastica” (M. Smargiassi), dove persino la parola “fotografia” “sembra forse destinata all’archiviazione a favore di neologismi ancora tutti da inventare”. E se un tempo la fotografia poteva essere interpretata come documentazione o registrazione del Reale( pur, se lecito nutrire alcuni dubbi al proposito), ora essa è diventata anche qualche cosa d’altro: è diventata creazione e simulazione, immagine sempre mutante per alchimisti virtuali che hanno i loro laboratori nelle App di Photoshop. E allora cosa può fare un fotografo che voglia resistere e combattere contro la (presunta) “inattualità” della fotografia, così come noi l’abbiamo conosciuta? Ovvero, cosa può inventarsi per documentare comunque un’idea di Cambiamento che non sia il fotografare la propria macchina digitale, magari in coppia con una vecchia camera analogica?
Lo soccorre, per fortuna, la filosofia greca, quella antica, che già nel VI secolo aveva formulato una ontologica teoria del Cambiamento. Dice infatti Eraclito che non si può discendere due volte lo stesso fiume e che non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato perché, a causa della velocità e dell’impetuosità del mutamento, essa si disperde e si raccoglie, e viene e va. E questo significa che il Cambiamento, in tutte le sue manifestazioni, lo porta sempre il Tempo poiché vivere significa cambiare di continuo e rapidamente; non sono io forse già cambiato rispetto ad un’ora fa, quando ho cominciato a scrivere queste note? Ecco allora ciò che hanno tentato di fare i fotografi del Circolo degli Artisti: hanno cercato di fotografare il Tempo fissando, in una sequenza di quattro scatti, i mutamenti di stato e di condizione che appunto il Tempo porta con sé; in un volto, in una espressione; in un fiammifero che s’accende e poi si spegne consumandosi in cenere; in un guizzo di luce intermittente di un’insegna che nel buio modifica la propria immagine; in una serie di oggetti che solo ieri erano testimoni della contemporaneità e che oggi documentano una storia affatto trascorsa, tramontata per sempre; in un cielo il cui stato muta dall’alba al tramonto; in’istallazione artistica in cui oggetti d’uso quotidiano cambiano condizione e identità; in paesaggi visionari o post human realizzati con Photoshop; in un frame di un film in 3D che si oppone ad un altro del cinema muto; in un fiore, prima bocciolo acerbo poi reclinante corolla; in tutto ciò, insomma, che il Tempo compone e scompone incessantemente, in un vorticoso magmatico Panta Rei che tutto travolge e modifica, compresi i cambiamenti che la Storia porta con sé.
Giuseppe BERTI
Inaugurazione 27 luglio
Galleria fotografica Luigi Ghirri
via Duomo, 11 - Caltagirone (CT)
Orari: lun - dom 9-12.30 e 16-19