Serata di chiusura della mostra 'Pas de bourree'.
Liliana Maniero Vi invita
alla serata di chiusura
della mostra "Pas de bourrée" di
Alessandra Di Francesco
il 22 ottobre alle ore 18,00
Pas de bourrée, pas de philosophie
Oggi quando sentiamo parlare di 'immagine' il pensiero corre subito a
qualcosa che sta fra l'inerte e il manipolabile, ad un'entità formata ma
non definitiva che può essere virata, sgranata, moltiplicata, stampata,
distorta e -perché no?- anche rimossa con un semplice 'click'; onomatopea
che un tempo ricordava solo lo scatto dell'obiettivo fotografico e ora si
è invece arricchita di connotazioni elettroniche via via più familiari e
sofisticate.
Dell'immagine in questo senso si occupa una parte cospicua dell'arte che ci
sta intorno, riuscendo ancora, sia pure con qualche stanchezza, ad attirare
la nostra attenzione e a porci problemi che sentiamo più attuali che
urgenti.
Se un tale tipo d'immagine abbia ancora senso chiamarla 'mediatica' in un
mondo disertato dalla realtà non saprei dirlo, di certo però si tratta di
un'immagine 'di superficie' il che non vuol dire naturalmente
'superficiale'.
Alessandra Di Francesco da tutto ciò mi sembra sorprendentemente lontana, e
per questo è riuscita a sorprendermi e a riportarmi lontano. Lontano non
tanto negli anni quanto nel registro dei miei interessi. In un'interland
appena sbozzato nel quale ho amato a suo tempo inseguire la filosofia che
inseguiva la scienza, la teoresi che faceva i conti con la psicologia e la
fisiologia.
In quest'ottica quello che più mi ha incuriosito è il fatto che la nostra
pittrice si sia posta, in un certo qual modo, uno dei problemi che Denis
Diderot dovette affrontare allorché cercò, con il 'Sogno di D'Alembert', di
offrire ai suoi contemporanei un modello di materialismo integrale capace di
superare non solo la distinzione Cartesiana fra 'res cogitans' e 'res
extensa' ma anche quella Lockiana tra oggetto dell'esperienza e riflessione
sullo stesso.
Intendo il problema di rappresentarsi il progressivo attecchire di un
contenuto nella nostra coscienza, il suo entrare a far parte del nostro
patrimonio di conoscenze fino a diventare elemento di quel tutto organico
in cui può essere risolta la personalità di ciascuno.
Certamente Alessandra di Francesco va indagando ambiti assai più specifici
e non così capitali come quelli che mossero il grande pensatore illuminista
a comporre il suo saggio, ella per di più ha dalla sua come nozioni comuni
un certo numero di verità scientifiche che Diderot poté solo intuire ed
anticipare, ciò non toglie tuttavia interesse al fatto che invece di
avvalersi, secondo un trend recente e consolidato, di un qualche schema
astratto da far campeggiare nel vuoto l'artista d'oggi abbia preferito
rivolgersi, come il suo illustre predecessore, ad una sorta di 'tutto pieno'
nel quale l'immaginazione costruendo i suoi percorsi incontra
sostanzialmente se stessa.
Come le corde del clavicembalo citato dal celebre filosophe le impronte
delle scarpe da lavoro di Alessandra, distribuite a terra a illustrare il
'pas de bourrée'1, mettono in risonanza tanto l'immagine didascalica delle
diverse sezioni del D.N.A. quanto quella ingrandita delle proteine che
sembrano presiedere al fenomeno della 'resilienza'2 e queste a loro volta
richiamano la rete neuronale che consente al nostro cervello di funzionare
in maniera creativa. La rete neuronale, dal canto suo, si ricollega invece
sia ai tessuti del corpo umano sia all'imbastitura di stringhe cromatiche
che i restauratori usano per provare i colori con cui ricostruire le parti
mancanti di un quadro. Con l'oggetto quadro siamo infine alla possibilità di
evocare immagini d'arte ( due da Millais, una da Lorenzo Lotto e due dal
film 'Il pianista' di Polansky) che insistono tutte puntualmente per un
verso o per l'altro sull'idea di nutrimento collegata a quella opposta di
consunzione e ritorno all'humus originario; ancora due processi utilizzati,
non a caso, da Diderot per dimostrare come un passaggio fluido e senza
soluzioni di continuità fra organico e inorganico sia perfettamente
ipotizzabile.
Paolo Balmas
1) Passo di danza derivante dalla tradizione popolare che viene usato sia
come invito che come connettivo. La sua principale caratteristica è quella
di ottenere l'avanzamento attraverso un succedersi alternato di
arretramenti.
2) Processo di ripresa dell'evoluzione di un individuo nonostante un
malessere, un digiuno affettivo, una profonda lacerazione.
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