12 artisti da presentare in un anno con 12 lavori. Sul segno degli artisti 21 ha come protagonista la fotografia di Taylor con un ciclo realizzato nel 2000 sul bacino del Fiume Giallo.
Dodici artisti da presentare nell'arco di un anno con 12 lavori ciascuno. Alla fine dell'anno sarà pubblicato un catalogo edito dalla Salarchi Immagini, nel segno degli (astri) artisti prescelti, con 144 opere: esso costituirà ciclicamente per dodici anni il corpo ideale di una sinestesia simbolica da deporre nella collana editoriale “Sul segno degli artisti” in dodici volumi, per un ammontare cabalistico di 1728 opere d'arte esposte, prodotte da 144 artisti.
Domenica 15 settembre 2013, alle ore 19, organizzata da Archinet e dalla Fondazione degli Archi, in collaborazione con Film Work di Carlo e Luca Del Bosco,presso la Sala Mostre della Fondazione Gesualdo Bufalino, per il ciclo degli autori del Toro, è la volta dell'artista Christopher Taylor. Il ventunesimo appuntamento della rassegna “Sul segno degli artisti” è dedicato al fotografo inglese residente nel sud della Francia, del quale saranno esposte dodici immagini scattate nel bacino del Fiume Giallo, culla della civilizzazione cinese, negli anni 2000-2003. La mostra a cura di Monica Dematté, una delle maggiori esperte internazionali di arte cinese contemporanea, che ha conosciuto Taylor in Cina e con lui condivide la passione per le culture antiche e per la natura, costituisce il sunto di una più ampia ricerca dell'artista, che si è dedicata molto anche all'India e all'Islanda.
Dal testo di Monica Dematté:
Il silenzio è spazio (R. Adams)
La fotografia di Christopher Taylor
Amo le immagini scattate da Christopher Taylor e se qualcuno, a cui le mostro con entusiasmo, mi chiede perché, provo un’incompatibilità che non si risolve con discorsi o spiegazioni. Mi limito ad alzare le spalle, delusa: un certo tipo di sensibilità non si apprende né si insegna.
Amo molto anche gli scritti di Robert Adams, e sono quasi sicura che piacciano anche a Christopher. Innamorati entrambi della natura, si concedono il tempo per seguirla e scrutarla, perché “quei salici in riva al fiume, che in primavera erano splendidi, […] in settembre potrebbero essere anche più belli.”
Eppure il tempo nelle immagini di Christopher non è ‘stagionale’, men che meno ‘fuggevole’: lui non immortala l’attimo con lo scatto della macchina fotografica, piuttosto coglie e testimonia l’aspetto meno mortale, più duraturo della ‘realtà’. La sensazione che mi ha colpita e conquistata fin dalla prima volta è quella di sovra-temporalità. Sono luoghi, sono sguardi non sottoposti al mutare degli umori, al chiasso scomposto dei passanti, alle sinergie transitorie di incontri, ma piuttosto il distillato di una riflessione che agisce sottraendo. Il senso della storia, del passato, che tanto interessa a Christopher, forse dovuto alla nostalgia per una semplicità ‘originaria’ che è andata sempre più complicandosi e imbastardendosi, lui lo esprime individuando e scegliendo alcuni simboli duraturi, “emblemi che una volta visti non si possono dimenticare né confondere”.
Pur avendo come riferimento la ‘realtà’, le immagini di Christopher non sono documentarie né narrative. Il silenzio, lo spazio che ci offrono non hanno bisogno di altro che della loro nuda e bella esistenza per essere significativi, per essere in grado di suscitare emozioni. Si tratta, anche per il fruitore, di sapersi liberare dalle superfetazioni dell’effimero, e di andare un po’ sotto, al ‘nucleo pulsante’ dell’esistenza.
Taylor, nella sua ricerca dei simboli di civiltà del passato, si è dedicato fra l’altro al retaggio della civiltà cinese classica nel bacino dello Huang he (fiume Giallo) e alle vestigia del colonialismo britannico in India. Mentre il paesaggio naturale lo cattura con la sua bellezza e potenza immane, con il suo mistero e la sua apparente irrazionalità, la sua condizione di uomo, soggetta a un tempo che trascorre e lascia tracce, lo fa ricercare l’eterno nelle vestigia del genere umano sulla terra.
Il fotografo ama però sentirsi ‘fuori’, straniero, distaccato dalle culture che fotografa, forse perché solo così riesce ad andare più a fondo, a lasciarsi dietro sentimenti di attaccamento, in positivo o in negativo, che inficerebbero la visione mirata a ‘scarnificare’ la realtà, evidenziandone le ossa biancheggianti.
So che Christopher, pur avendo ricevuto un’educazione scientifica, è attratto dall’indicibile, dal mistero, più che dalle classificazioni e dall’esattezza di calcoli e previsioni. Ama ‘perdersi’ nella natura con ancor maggior abbandono e piacere che nelle città.
Trovo che nei luoghi immortalati nelle serie di immagini Stèles, dedicata alla Cina del bacino del Fiume Giallo, Christopher si trovi a suo agio, che la sua anima vi risuoni in perfetta armonia.
I motivi per cui si approda in un luogo o in un altro sono difficili da capire del tutto. Escludendoil caso, che a mio parere è una spiegazione facile e inutile, sembra che ci sia una ‘necessità’ che ci porta dove dobbiamo andare per darci il mezzo di fare determinate esperienze.
Christopher si è recato in Cina alla fine degli anni Ottanta, per la prima volta, e poi ci è tornato varie volte riconoscendovi un luogo che aveva bisogno – e ne valeva la pena – di tempo per essere conosciuto e compreso in profondità. La lettura delle poesie di Segalen, scrittore e viaggiatore francese del secolo scorso, ha indirizzato il suo sguardo al di là dell’esotismo facile (eppure Segalen aveva scritto un saggio proprio sull’esotismo). Paesaggi immoti di biblica grandezza e particolari di vita quotidiana, nella loro ‘insipida’ apparenza (nel senso utilizzato dal teorico francese François Jullien nel suo Eloge de la fadeur) si alternano in modo da evidenziare un approccio che, pur essendo rarefatto, non è a-temporale. Il tempo c’è; solo, non è quello dell’attualità, ma quello lento e vissuto dell’accumulo di strati di polvere sollevata dal deserto o dalle auto, su una stele di calligrafie incise o su una poltrona di finta pelle screpolata. È come se Taylor esprimesse in termini visivi la capacità buddista del ‘vedere tutto il mondo in un grano di senape’: il grande e il piccolo, il passato e il presente, il movimento e la quiete sono presenti in ogni aspetto della ‘realtà’, se uno li sa cogliere; o meglio, se si possiedono dentro di sé.
Il paesaggio cinese è fortemente umanizzato, come nel significato originario del temine italiano paesaggio e francese paysage, che, “entrambi derivanti dalla radice indo-europea pak che indica l’atto del seppellire e quindi del coltivare, definiscono la terra plasmata e trasfigurata dalla presenza dell’uomo”. Gli strati della civilizzazione vi sono penetrati talmente in profondità che le colline sono antiche tombe, e Taylor ne è consapevole pur senza averne la prova concreta. Egli rispetta e ammira, pur senza capirne il significato, la sintesi e l'eleganza presenti nella calligrafia cinese, assimilati dai letterati allo spirito che anima ogni elemento vivente.
Gli oggetti e i paesaggi individuati da Christopher acquistano peso perché nel ‘silenzio’ risuonano e ci parlano.
A noi starli a sentire.
Monica Dematté
Vigolo Vattaro, 2010/2013
Inaugurazione 15 settembre ore 19
Fondazione Gesualdo Bufalino
piazza delle erbe, 13 - Comiso (RG)
mart-dom ore 17-20 o su appuntamento