Beyond belief. L'artista indaga temi di natura esistenziale, sacra e storico artistica. Oltre alle opere al Pomo da DaMo, ha studiato uno specifico percorso che si snoda tra il piano terreno e le collezioni di arte dei Musei Civici di Imola.
a cura di Angela Madesani
Si inaugura la nuova stagione espositiva al Pomo da DaMo con una mostra di Julia Krahn, un'artista tedesca, che da alcuni anni vive a Milano, curata dalla storica dell'arte Angela Madesani.
L'artista tedesca indaga temi di natura esistenziale, sacra, storico artistica con grande eleganza formale. La mostra oltre che al Pomo da DaMo, dove inaugura alle 18, avrà un'ampia sezione anche presso i Musei Civici di Imola, dove inaugura alle ore 19. Per questa seconda sede l'artista ha studiato uno specifico percorso che si snoda tra il piano terreno e le collezioni di arte dei Musei con cui i diversi lavori di Krahn entrano in un fitto dialogo di natura iconografica e simbolica. Si viene così a creare una sorta di ponte tra l'arte contemporanea e l'arte antica in cui lo spettatore è chiamato a partecipare attivamente. Riportiamo qui di seguito il testo della conversazione tra l'artista e la curatrice della mostra, testo che sarà pubblicato nel catalogo che accompagnerà la rassegna.
Conversazione fra Julia Krahn e Angela Madesani
In occasione della doppia mostra di Julia Krahn a Imola, ai Musei Civici e alla
Galleria Pomo da Damo abbiamo chiesto all’artista tedesca, che da oltre dieci
anni vive nel nostro paese, di parlare di alcune tematiche portanti della sua
ricerca.
I tuoi lavori nascono sempre da delle domande: quesiti di matrice
esistenziale, ma essi non vogliono offrire risposte. Semmai stimolano
ulteriori punti interrogativi.
Solo attraverso lo scambio dei diversi punti di vista, delle interpretazioni
personali è possibile costruire un percorso, che sempre e comunque
costituisce una forma di arricchimento.
Quanto ha pesato e quanto pesa la tua biografia sulla tua ricerca? Sei
spesso protagonista del tuo lavoro. È un’operazione performativa?
Moltissimo. Lavoro su me stessa. Ho fotografato mio padre, mia madre.
Sì. Quando scatto sono completamente sola, è come una performance in cui
però manca il pubblico. È una cosa molto intima e non potrebbe avvenire in
altro modo.
Vogliamo parlare di Mutter, madre del 2009. Come è nato questo lavoro
in cui tieni tra le braccia un telo bianco come per cullare un bambino,
che in realtà non c’è.
Questo lavoro nasce da un quesito sull’esistenza e sulla prosecuzione della
stessa. È una domanda sul futuro.
Ritornando a Mutter, non riuscivo a dare una forma al bambino che è in
braccio alla donna. Mi interessava cercarlo nelle pieghe del velo. Sentire il
peso del bambino che non esiste o forse, semplicemente, non si vede.
Sei colpita dalla figura della Madonna, che torna spesso nei tuoi lavori.
Mi pare che nella tua pittura ci sia una forte legame con la pittura antica,
rinascimentale.
Amo andare nei musei, studiare l’iconografia, la luce la postura dei dipinti dei
pittori che mi interessano. Ma nonostante tutto questo l’immagine della Mutter
deriva da quella di un dipinto di anonimo che è riproposta su un santino che
faceva parte della mia collezione personale di immagini di questo tipo.
Per esempio nella Mater Dolorosa del 2012, che hai esposto l’anno scorso alla Voice Gallery di Marrakech, in Marocco…
La vergine dolorosa è una figura commovente e riuscire a piangere è importante. La Madonna è la terra, è il bisogno dell’origine, la voglia di ritornare a farne parte. È il distacco, ma potrebbe essere anche un richiamo alla responsabilità. Per la mostra in Marocco, come base delle posture della Mater Dolorosa, ho creato una serie di immagini e un video. La Vergine cambia spesso le pose delle mani e attraverso il montaggio delle diverse pose si crea una sorta di movimento, che crea una sorta di applauso. Il sonoro è costituito dalla sovrapposizione di diverse frasi sul tema della Mater dolorosa, da me pronunciate. Un rimando alle preghiere dei monaci o a certe litanie musulmane. Curioso il fatto è che l’applauso più che una conferma potrebbe apparire come una denuncia…
Un altro protagonista assiduo del tuo lavoro è il piccione.
Il significato primigenio è quello di messaggero e poi di animale sacrificale. È il simbolo dello Spirito Santo. La prima volta che l’ho utilizzato è stato per L’ultima cena: nel 2011. Sulla tavola vuota era rimasto un solo piccione. La gente mi diceva che avevo commesso un errore, che sulla tavola dell’ultima cena c’era una colomba e non un piccione. Così ho tinto il piccione imbalsamato, che avevo utilizzato, prima di bianco e poi di rosso. In occasione della mostra a Imola lo stesso piccione verrà esposto, ma questa volta ricoperto di foglia d’oro, un riferimento a tutto ciò che di prezioso ci circonda.
Hai realizzato anche un lavoro video con il piccione…
Tutta la mostra che ho fatto recentemente a Berlino aveva per protagonista questo animale. Per l’opera video ho utilizzato come colonna sonora la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach. Ne ho scelti vari brani e ho fatto iniziare il video con questo in particolare, secondo la traduzione di Quirino Principe:
“Sul calar della sera, quando l’ora è più fresca,
la caduta di Adamo fu palese;di sera lo avvilisce il Salvatore.
Di sera la colomba ritornò
portando in bocca una foglia d’ulivo.
O bel momento! Ora della sera!
Ora è conclusa la pace con Dio:
Gesù ha già portato la Sua croce.
La Sua spoglia ha trovato ora la pace.
Ah! Tu supplica, prega, cara anima,
va’, chiedi, chiedi in dono Gesù morto,
oh, preziosa reliquia di salvezza!”.
i interessano le parti in cui la Madonna piange e quelle sul tradimento.
’uomo tradisce sempre del resto. L’idea di tradimento c’è anche nel Vitello d’oro, che è talmente bello da sembrare di marzapane, ma in realtà è morto, ucciso dalla violenza dell’uomo. Tornando alla mostra che ho fatto nella chiesa a Berlino: la musica veniva dall’alto da un’installazione audio. La gente si sentiva come in una bolla invisibile di musica fortissima.
Il piccione è un animale quasi sempre detestato nella nostra società. In realtà è molto intelligente.
Infatti è stato utilizzato anche come messaggero.
Non è casuale che tu abbia utilizzato un animale di questo tipo.
Nasce come animale sacrificale. È il simbolo dello Spirito Santo. A noi piace che sia bianco e non grigio, ma sono entrambi colombi, l’iconografia è quella.
La tua ultima cena è vuota. Perché hai tolto le presenze umane?
Si tratta di un’immagine che è a tal punto dentro di noi che non sorge neppure
il dubbio che le cose stiano proprio così. In realtà si sa poco di quello che si
crede di sapere. Cosa fare perché la gente capisca che si tratta di un’ultima
cena? Basta pochissimo: un tavolo lungo, coperto da una stoffa bianca a mo’
di tovaglia. A terra creo delle impronte: la traccia di una presenza attraverso
l’assenza. L’ultima cena è un’icona. È un’immagine di solitudine, di
abbandono. Cristo è stato abbandonato, tradito. Quanta umanità in questo
episodio! L’uomo tradisce sempre del resto. L’idea di tradimento è anche in
Vitello d’oro, che è talmente bello da sembrare di marzapane, ma in realtà è
morto. Quello che mi affascina è che spesso la bellezza sta proprio nel tradimento. L’uomo è affascinato da tutto ciò che è proibito, in tal senso tradisce, va contro i suoi ideali, procurandosi in molti casi sofferenza.
Quanto dolore c’è nella bellezza!
Nei lavori che porti a Imola c’è una nuova presenza, quella del serpente,
un animale fortemente simbolico sia in senso positivo, come immagine
di completezza, che negativo, così nella Bibbia. Adamo ed Eva vengono
tentati dal serpente e mangiano il frutto proibito. L’avere utilizzato
proprio il serpente da parte delle sacre scritture pare sia una polemica
contro i miti cananaici, per i quali il serpente rappresentava la divinità
suprema.
Ho utilizzato il serpente che è il simbolo del peccato originale in una chiave di
denuncia senza alcun significato negativo. Il peccato originale, infatti, ha tolto
spazio alla donna. La colpa per la quale la donna dovrebbe soffrire è in realtà
una forma di eroismo. Nelle religioni indiane rappresenta Kundalini che è
un’energia positiva, e in quasi tutte le culture il serpente è fonte di
forza. Una forza che si cerca di controllare e di sottomettere. In
questa serie di lavori vi è un risvolto ironico. Mi attorciglio addosso il serpente
che diviene una sorta di pene e di coda, volevo togliere la sensazione negativa per ritrovare una forma di completamento delle energie di donna e
serpente: come in una sorta di unione per fare pace con quanto è già stato. . Cosi é nata questa sorta di dea, eroe, folletto, una madre-terra- che si avvicina alla storia in modo leggero, per sdrammatizzare e allo stesso tempo per porci dei quesiti.
In un’altra opera Vanitas Maddalena del 2011 ti specchi accanto a un
teschio?
È una Vanitas classica, per la quale ho guardato a Caravaggio, per esempio.
La morte, il teschio, appare solo quando mi guardo nello specchio. Ancora
una riflessione esistenziale.
Vorrei chiudere questa conversazione parlando di un tuo lavoro che ha
suscitato un profondo scalpore, Reinheit Maddalena del 2009. Dove tu
sei seduta nuda all’angolo di una stanza. Solo sul tuo capo c’è un
drappo di un colore ocra dorato che si sviluppa nello spazio. Dalle tue
gambe, dalla tua vagina esce un rosario a grandi chicchi…
Indubbiamente è un’immagine molto forte. A prima vista può apparire
blasfema, pornografica. In realtà è il mio pensiero sulla spiritualità. Il titolo in
tedesco significa purezza. Potrebbe trattarsi di una donna che ha appena
concepito o partorito…e cosa c’è di più sacro di tutto questo?
inaugurazione: sabato 21 settembre
ore 18 Il Pomo da DaMo
ore 19 Museo di San Domenico
www.juliakrahn.com
Il Pomo da DaMo - Associazione Culturale
via XX Settembre, 27 - Imola
mercoledì - venerdì - sabato 17/19 e su appuntamento
www.ilpomodadamo.it
Museo di San Domenico
via Sacchi, 4 - Imola
martedì - venerdì 9/13 su appuntamento sabato 15 /19 - domenica 10 /13 e 15/19
museicivici.comune.imola.bo.it