Bubbles, personale dell'artista, e' un'opera aperta permeabile allo scambio degli sguardi. Disegni che fanno parte del proprio vissuto e figure prelevate dai quadri di altri artisti costituiscono le opere in esposizione.
Lei le chiama semplicemente Bubbles, bolle, un modo affettivo, familiare, che sta a indicare qualcosa che è parte intima del nostro vissuto, come fanno i nomignoli e che certo anche allude alla bolla in cui Rebecca Forster racchiude ciascun disegno come se fosse in una nicchia, il che lo fa anche assomigliare alle monadi leibniziane perché come quelle sono finestre, occhi, in cui si rispecchia il mondo. E anche perché ciascuna è autoriferita a se stessa e, contemporaneamente, è in riferimento o collegabile con tutte le altre. Le Bubbles sono un’opera aperta permeabile allo scambio degli sguardi.
Sono disegni, o meglio segni, forme che veicolano senso, che contengono mappe di città, di edifici di luoghi che fanno parte del proprio vissuto e della propria storia, luoghi incontrati, amati, che vivono nei ricordi e nella mente. Sono anche figure prelevate dai quadri e disegni di altri artisti, modificati e semplificati nelle forme, prelievi che cambiano di statuto. E soprattutto sono disegni di oggetti per lo più della vita quotidiana: forbici, matite, occhiali… che costituiscono una sorta di diario quotidiano. E a cui ora lei dà una nuova e diversa vita nel mondo delle immagini.
E del resto gli oggetti non sono mai solo oggetti: sono la “carne” del mondo, ciò di cui è fatta la nostra vita, la modalità in cui il mondo si offre al nostro sguardo e l’orizzonte in cui ci iscriviamo: così che sono essi che gli donano senso e insieme strutturano la nostra identità e le nostre appartenenze: ci dicono e ci raccontano, e veicolano infinite storie e narrazioni e percorsi possibili. Sono memoria e i nostri rappresentanti e schemi di azione, che fanno e fanno fare e fanno essere. È negli oggetti umili del resto che si ordinano tutti i pensieri più segreti e solitari. È in essi che brilla il sole.
E, dunque, ritornando ai disegni delle cose nelle incantate e oniriche Bubbles di Rebecca Forster, che si offrono al nostro sguardo, essi sono anzitutto forme, immagini, simulacri di presenza. Sono icone, che hanno a che fare con la vita delle forme e le loro fascinazioni, immagini ricorrenti, archetipi della vita di tutti noi. Sono memoria, mappe della mente e della propria vicenda che non è mai solo nostra. E, anzi, sono una mappatura delle mappe, una configurazione nomadica delle narrazioni o dei percorsi possibili o solo immaginati, che si presenta come struttura aperta e provvisoria. Sono la messa in atto di schematizzazioni e di stilizzazioni che non riproducono ma evocano, mutano e deformano come lei fa con i prelievi dalle immagini esistenti e da quelle di altri artisti per dar loro nuovi significati. Prelievi che sono essi stessi indicatori di senso, e in particolare vedono la presenza di Dürer, il grande maestro di Norimberga, le cui opere più belle sono appunto le incisioni e i mirabili disegni a penna, che ne fanno il padre, insieme a Mantegna, dell’incisione moderna. Citazione e presenza tanto più significativa dal momento che per Dürer l’arte è in stretta relazione con la natura così, pur appartenendo all’Umanesimo e Rinascimento, non in essi si riconosce ma mantiene nell’apparente “realismo” la forza arcaica dei primitivi, come nella Malinconia, icona della personalità saturnina del pensatore e dell’artista stesso. E del resto la pratica del prelievo è dei surrealisti con i loro acquisti nei mercati delle pulci fatti passare per autentici oggetti dell’inconscio. Certo di altra natura è il prelievo di Rebecca Forster che ha piuttosto a che fare con la costituzione di archivi, di atlanti, mappe delle immagini, di riappropriazioni, riutilizzi, rivitalizzazioni e nuovi sguardi, che mostrano il volto segreto e nascosto delle cose, l’enigma che esse rappresentano. Cosicché è come se le vedessimo per la prima volta e vedessimo il loro sguardo. Gli oggetti ci pensano, come dice Baudrillard, li possiamo vedere solo se ci guardano, solo se essi ci hanno già visto o almeno è questo il nostro desiderio.
Inevitabile allora interrogarsi sullo statuto delle immagini. Le Bubbles si apparentano a quelli che Leroi-Gourhan ha chiamato “mitogrammi” che non si strutturano linearmente, ma in modo irraggiante. Le Bubbles vengono, infatti, contestualizzate in relazioni secondo una struttura a rete, metafora di un più ampio spazio di fluttuazione dove i fili si intrecciano in trame di relazioni multidirezionali, che generano una serie di reazioni a catena tra gli oggetti, che non sono solo esistenti a se stanti ma vivono anche come punti di energia in grado di suscitare percorsi random di contesti che si richiamano e si suggeriscono l’un l’altro o si organizzano per richiami tematici.
Lo spazio bianco in cui i disegni vivono all’interno delle bolle è uno spazio nello spazio o meglio veicola l’annullamento dello spazio fisico per uno spazio sospeso nella propria assolutezza. Così le Bubbles vivono nello spazio della mente e della memoria, uno spazio che lascia aperto il percorso della lettura, suggerendo possibili traiettorie, ma anche modi di esperienze su spazi dislocati leggibili da qualsiasi punto. Non c’è un inizio o una fine, un ingresso o un’uscita, ma una libera fluttuazione.
Per questo anche il loro strutturarsi in serie a seconda del colore, il bianco e nero, il blu, il turchese, il rosso, l’ocra, l’arancione, l’assunzione quindi di una natura monocromatica ha a che fare con la mitografia: il colore è il senso stesso delle cose, la loro anima. Ma ha anche a che fare con la scultura e con il modo in cui Rebecca Forster la intende e pratica, disegnando sulla pelle delle forme materiche che mette in atto, come fossero stendardi o strutture territoriali. Nella scultura l’artista ha a che fare con il colore della materia, con il colore e le superfici riflettenti dell’acciaio, il nero del ferro, il rosso del rame, il bianco dello zinco e il giallo dorato dell’ottone. La scelta dei pigmenti secchi sulla carta e il modo stesso in cui vengono stesi con i tamponi, richiama il colore e la polvere di metallo e l’impronta: da qui la percezioni che abbiamo di una dimensione antica e onirica in cui ciascuna Bubble vive.
Mi sembra allora utile ricordare altre bolle, quelle che in Oriente e in Occidente avvolgono in un’aureola paesaggi e oggetti in una bolla di cristallo o di vetro e diventano frequenti a partire dal Quattrocento. Aureole che sempre più sono globi cosmici. E’ in una limpida sfera che Hieronymus Bosch pone l’immagine della Creazione, e sempre in una sfera, collocata sopra una pianta come l’achenio di un soffione, racchiude e avvolge gli amanti nel Trittico delle Delizie. Bolle che sono universi sferici, che non sono solo emanazione di Dio, ma soggiorno degli uomini. Come sempre più avviene nel mondo-bolla di Brueghel, un mondo-ambiente umano, un mondo-oggetto della fragilità umana e delle cose, e nell’arte fiamminga.
Viene da qui una fascinazione che, al di là dei significati religiosi e narrativi originari, continua nelle Bubbles di Rebecca Forster, nelle loro forme come nella loro struttura narrativa, fluida e sempre riconfigurabile, che apre a molteplici possibilità di percorsi, come in un modello ipertestuale esplorabile, come avviene negli spazi virtuali della rete.
E ciò fa sì che le Bubbles proliferino e si espandano in ogni direzione nello spazio della galleria. Avviene così che, entrando, ci sentiamo avvolti nel loro alone e iscritti nel loro orizzonte, come se Rebecca Forster ci avesse donato il suo sguardo, facendoci vedere il mondo e le cose con i suoi occhi. E potessimo riconoscere in essi anche i nostri.
Eleonora Fiorani
Inaugurazione mercoledì 30 Ottobre 2013 ore 18.30 - 21
Dieci.due!
Via Volvinio 30, Milano
Aperto da martedì a venerdì ore 15.30 - 19 e su appuntamento
Ingresso libero