Istituto Polacco di Roma
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Ana Rewakowicz
dal 5/11/2013 al 16/1/2014
lun-gio 10-17, ven su appuntamento

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Istituto Polacco di Roma



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Ana Rewakowicz



 
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5/11/2013

Ana Rewakowicz

Istituto Polacco di Roma, Roma

Ponte rotto. Un'installazione, due film, e una serie di foto-disegni per riflettere sul legame tra Roma e il suo contesto. L'intero lavoro fa riferimento alla ricostruzione del Pons Aemilius o Ponte Emilio, pianificata da tempo, tramite il completamento temporaneo degli archi mancanti.


comunicato stampa

"Nel preparare un intervento su Ponte Rotto a Roma, Ana Rewakowicz coglie l’occasione di riflettere sul passato culturale della città e sul suo presente. Da dodici anni a questa parte l’artista lavora su oggetti gonfiabili e sulla loro relazione con l’architettura, il corpo e l’ambiente, producendo strutture temporanee che incoraggiano gli spettatori a interagire l’uno con l’altro e con ciò che li circonda. La mostra dell’artista all’Istituto Polacco induce – grazie a un’installazione, due film, e una serie di foto-disegni - a una riflessione sul legame tra Roma e il suo contesto. L’intero lavoro fa riferimento alla ricostruzione di Ponte Rotto, pianificata da tempo, tramite il completamento temporaneo degli archi mancanti. Analogamente al lavoro di Ana Rewakowicz intitolato Green Line Project (2006) - una ‘linea’ di 350 metri di materiale biodegradabile che si stendeva dall’isola di Lauttasaari fino ad Helsinki - il progetto di Ponte Rotto mira a un semplice intervento contemporaneo inserito in un paesaggio senza tempo. Nella Città Eterna un simile metodo operativo incontra un contesto particolare poiché ciò che è provvisorio si misura con l’antico.

Roma è una città in qualche modo sospesa nel tempo. L’indole rilassata dei suoi abitanti li porta a guardare indietro e allo stesso tempo a resistere ai cambiamenti, scontrandosi con una società totalmente assorbita dalle tecnologie della comunicazione del XXI secolo e dalle nuove mode. Ma questo scollamento è cruciale per il particolare equilibrio di Roma: una città antica vista attraverso le lenti di una contemporaneità avanzata e modernista, incapace di rinunciare sia al suo passato che al suo potenziale futuro nell’incessante rivendicazione di essere aperta alla cultura contemporanea. È forse questo ciò che significa essere una Città Eterna.

Si potrebbe definire questo scollamento come un allontanamento dalla realtà, in quanto la bella vita – che si avvale di una sorta di differimento del futuro mentre il presente rimane legato a un passato sognato – non è la bellezza come semplicità, o l’ignoranza come beatitudine. È piuttosto un elaborato e complesso modo di essere che include un misto di delusione, muto consenso a un risultato imperfetto nel caso in cui le cose non vadano per il verso giusto, e una sorta di vincolante congiura del silenzio. La bella vita, un concetto con cui spesso l’Italia viene identificata, è raramente menzionata nella stessa Italia, forse in parte perché la stessa bellezza è qualcosa che, una volta identificata, perde la sua capacità di mistificare.

L’edificio senza tempo della bellezza crolla nel momento in cui viene mostrato il suo legame con la temporalità. La stessa ricerca della bellezza ci mostra che la bellezza è fondamentalmente imperfetta, in quanto ciò che è eterno non può essere cercato come se fosse eternamente presente. Inoltre la bellezza deve essere elaborata e richiede un approccio molto specifico a un tema, un edificio, una persona: alla vita stessa. Richiede una sorta di totale sospensione della concentrazione che tenga a distanza le forze modellanti del passato e del futuro allo scopo di aprire il presente come l’unica realtà temporale.

Il momento della bellezza, o il momento in cui – come scriveva Kant nella Critica del Giudizio – le facoltà dell’intelletto sono tenute in sospeso, incapaci di discernere quanto hanno visto o udito, richiede un tipo particolare di costruzione dell’ambiente. Richiede di prestare attenzione alla follia, o di apprezzare un certo genere di insensatezza in natura o in architettura, dal momento che dare un qualche senso significherebbe razionalizzare.

Roma abbonda di queste follie. Anzi, è un tratto caratteristico della bella vita, e di come questa debba essere necessariamente vissuta con naturalezza, che la follia sia un simbolo della vita romana, cosa che si può riscontrare nell’adorazione che i locali hanno per il Torso del Belvedere, il Pasquino – una statua ellenistica del III secolo rinvenuta a Roma nel XV secolo - e Ponte Rotto. È precisamente la natura spoglia di questi oggetti (dal momento che ciò che è in rovina non può essere definito elaborato) che si accorda con la definizione di bellezza come valore indefinibile.

La questione è come poter dedicare attenzione alla bellezza e alla sua abbondanza senza costringerla in una forma e con ciò distruggerla. Ciò che è indispensabile al pensiero o alla pratica artistica è una forma che non snaturi l’oggetto. Ponte Rotto è uno fra i più anonimi monumenti di Roma. Non ha alcuna funzione e non rappresenta nulla. Non è segnalato da nessuna indicazione turistica e viene ignorato dalla maggior parte dei turisti; nonostante sia un’icona per molti abitanti, molti altri gli passano accanto con indifferenza. Questo contesto dà a Rewakowicz la possibilità di esplorare la dimensione umana del “paesaggio”: un genere definito dal suo contatto con gli esseri umani. In uno dei due film in mostra all’Istituto Polacco l’artista racconta la storia di persone la cui vita è legata al ponte, nonostante il ponte per loro non assolva il suo scopo originario.

Ponte Rotto, conosciuto anche come Pons Aemilius o Ponte Emilio – nella sua forma latina e italiana – è il più antico ponte in pietra di Roma inaugurato nel 174 d.C., sebbene un ponte ligneo fosse esistito sullo stesso sito fin dal 179 a.C. Oggetto di continue distruzioni e ricostruzioni, la sua metà orientale fu distrutta da un’inondazione nel 1598. Fu rimpiazzato dall’adiacente Ponte Palatino nel 1886.

In una città che esibisce la propria storia, con una struttura stratificata di pietra, il rimanente arco di Ponte Rotto resterebbe largamente ignorato se non fosse posizionato come è, nella parte meridionale dell’Isola Tiberina, una delle due isole del fiume Tevere. Così collocato, Ponte Rotto permette di riflettere sulla sua forma sia dall’isola che dal Ponte Palatino. Grazie alla sua particolare ubicazione, è possibile per il passante contemplare la rapida mutevolezza delle correnti del Tevere che sembrano fluire sull’arco restante come se l’acqua e la pietra fossero colte in un perpetuo abbraccio di commiato, dandosi vicendevolmente un respiro e una forma che è costantemente fugace.

La proposta di Ana Rewakowicz, di completare temporaneamente il ponte utilizzando materiale interamente riciclabile, induce a riflettere sulla convergenza di presente, passato e futuro in una cancellazione della distinzione tra “adesso”, “allora” e ciò che verrà. Questo allo scopo di creare un contesto che sottolinei la distruzione del ponte non quindi per mostrare la bellezza, ma per guidare lo spettatore verso ciò che è importante: cioè l’“adesso”, che non deve essere cercato in un’incessante sete di novità, ma può essere trovato nell’apertura a un contatto con un ambiente più vasto. Il temporaneo intervento di Rewakowicz sottolinea precisamente l’imperfezione del ponte e della città, che trova la sua contemporaneità nella quotidiana apertura al passato, rinnovato giornalmente attraverso la percezione dei suoi abitanti. Il progetto di Ponte Rotto è un intervento temporaneo che indaga su dove Roma possa posizionarsi in un mondo in rapida mutazione e in un contesto artistico globale."

Mike Watson

Ana Rewakowicz è un’artista interdisciplinare, nata in Polonia, che vive e lavora a Montreal, Canada. Ha il titolo di Bachelor of Fine Arts dell’Ontario College of Art and Design di Toronto e il Master of Fine Arts della Concordia University di Montreal. Si occupa di oggetti gonfiabili e studia le relazioni tra l’architettura temporanea, portatile, il corpo e l’ambiente. In contrasto con la massa stabile delle sculture e degli edifici, i suoi costumi e le sue strutture sono riempiti d’aria, sono mobili e connessi ai luoghi e alle persone che li animano. Mettendo insieme nuovi materiali e tecnologie, Ana costruisce dispositivi che creano un’esperienza intima e allo stesso tempo, paradossalmente, pubblica. I suoi lavori utilizzano varie discipline che includono il design, l’architettura e la performace, e sono stati presentati sia in patria che all’estero. Tra le sue recenti mostre vi sono: Stiftelsen 3,14, Bergen, Norway (2013), Anchorage Museum, Alaska, US (2012), Accademia di Romania, Roma, Italia (2012), Joyce Yahouda Gallery, Montréal, Canada (2011), CSW Łaznia, Gdańsk, Polonia (2010); Pori Art Museum, Finlandia (2010); La Maison Europénne de la Photographie, Parigi, Francia (2009); FREEZE, Anchorage, Alaska, US (2009); EMPAC Rensselaer, Troy, NY, USA (2009); Liverpool Biennial, UK (2008); Festival ACT, Oslo, Norvegia (2008); Manif d'art 4 Biennal, Québec, Canada (2008); Wäinö Aaltosen Museo, Turku, Finlandia (2007); Kunstverein Wolfsburg, Germania (2006); Musée d'art contemporain de Montréal (2005) e ISEA 2004 Tallinn, Estonia.

Con sostegno di:
Canada Council for the Arts
Conseil des arts et des lettres du Québec
Apinex

L’artista ringrazia per l’aiuto in realizzazione della mostra:
Pierre Jutras, Claudia Rampelli, Claudio Locardi, Jean-Marc Chomez, Antonella Perin, Lida Pribisova, Mario D’Angelo, Penelope Filacchione, David Renka i Adriano Salaroli, , Lusia, Galdo

Immagine: Ponte Rotto, Ana Rewakowicz, 2013, dettaglio

Inaugurazione mercoledì 6 novembre ore 19.00

Palazzo Blumenstihl
Istituto Polacco di Roma
via Vittoria Colonna 1, Roma
Orario di apertura: lunedì-giovedì 10.00-17.00 / venerdì su appuntamento
ingresso libero

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