Quod Sumus Hoc Eritis. Due artisti a confronto sul tema del memento mori. Opere pittoriche che rappresentano simbologie antiche realizzate con nastri adesivi colorati e logori manifesti elettorali.
Due artisti a confronto sul tema dell'ultimo momento che accomuna tutti gli uomini e li mette di fronte al giudizio delle proprie azioni terrene.
La Danza Macabra, tema iconografico legato al memento mori ed alla rappresentazione della morte come livella che accomuna ogni uomo di ogni ceto sociale, e il termine della vita dell'uomo inteso come momento di giudizio, di assunzione di responsabilità delle nostre azioni terrene, sono i cardini del lavoro di Guido Airoldi e di Lorenzo Manenti espresso in questa mostra.
Le realizzazioni dei due artisti sono legate dall'uso e dalla rappresentazione di simboli e simbologie antiche. Gli scheletri danzanti di Guido, leggeri come la carta di vecchi manifesti abbandonati con cui sono realizzati ma pesanti come pietre per l'ineluttabilità di ciò che rappresentano si affiancano alla bellezza dei motivi decorativi e delle geometrie islamiche fatte di nastri adesivi colorati di Lorenzo, esempi di armonia e di ricerca di perfezione geometrica ma anche rappresentazione e ricordo di chi ci dovrà giudicare per la cultura islamica.
E' un memento mori teatrale, medievale e insieme attuale quello di Airoldi, perché è la società moderna, contemporanea, la società dei consumi e del profitto ad ogni costo che viene analizzata attraverso la metafora della danza macabra. Lo fa, l'artista, attraverso l'uso di vecchi e logori manifesti elettorali recuperati agli angoli delle strade, reliquie di un passato più o meno recente e che, forieri di promesse sembrano invece ricordarci che nulla è cambiato, che, come dice Qoelet, “ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c'è niente di nuovo sotto il sole”. Così l'uomo, in nome della libertà continua a ripetere gli stessi errori e le guerre e le prevaricazioni verso i più deboli non sembrano cessare. La primavera araba e la recente crisi siriana ce lo ricordano. In occidente mentre spesso una parte sempre più grande della popolazione fatica ad arrivare a fine mese contemporaneamente la borsa, le banche e i grandi investitori festeggiano per le occasioni di speculazione offerte loro da una crisi o da una guerra. Non è forse anche questa una danza macabra? Tutto torna e tutto si ripete e l'artista si domanda: a che tanta superbia? “Vanità delle vanità, tutto è vanità” sempre Qoelet. Ma per Guido la realtà trascende da sé stessa, e parafrasando Papa Francesco, noi siamo in cammino dalla morte alla vita. C'è di che sperare.
Il lavoro di Manenti si innesta invece su un percorso già avviato riguardo alla Primavera Araba e prima ancora inerente il rapporto tra Occidente ed Oriente alla luce di eventi epocali come le guerre in Iraq e Afghanistan. Eventi questi dove in realtà e sempre più da entrambi i fronti si sono commessi e si commettono atti criminali contro l'umanità. Da questa considerazione è nata l'esigenza per l'artista di realizzare un lavoro dedicato alla responsabilità delle proprie azioni. L'opera più significativa è una tavola che riprende la decorazione di un reperto antico conservato al Museo Topkapi di Istanbul. E' realizzato con nastri adesivi bianchi e neri di misure differenti e sovrapposti in modo da dare tridimensionalità alla tavola e rappresentante il nome di Alì ripetuto quattro volte in lingua cufica, l'arabo monumentale. Per l'artista la fine di ogni percorso ci porta inesorabilmente a fare i conti con noi stessi rispetto a cosa e come abbiamo vissuto. La superficie non è tutta bianca o tutta nera, è bianca e nera in quanto non è espressione di un giudizio, si arresta poco prima, al solo atto della verifica, perché la sentenza è una cosa privata, personale, ed è già oltre.
Quod Sumus Hoc Eritis, ciò che siamo, voi sarete. Ecco allora che il monito di quello che ci aspetta, il momento della morte, diventa anche momento di assunzione di responsabilità nei confronti di se stessi ma soprattutto nei confronti del prossimo.
Il senso del lavoro dei due artisti unito per questa mostra è ben espresso da questo frammento di conversazione: “Ricordate che in qualunque modo siate mosso o da chi la vostra anima appartiene unicamente a voi. Anche se coloro che presumono di muovervi sono Re o uomini di potere quando sarete innanzi a Dio non potrete dire 'ma mi hanno detto gli altri di farlo' o 'non conveniva la virtù in quel momento', non sarà sufficiente..." (Re Baldovino IV il lebbroso e Baliano di Ibelin, Le Crociate, R.Scott, 2005)
Inaugurazione sabato 30 novembre dalle 18 alle 22
Galleria Triangoloarte
via Palma il Vecchio 18/E Bergamo
Ingresso libero