Collettiva fotografica a cura di Aifan, un'associazione di fotografi che condividono la passione per il processo fotografico tradizionale.
L'ATTO FOTOGRAFICO Qual è la peculiarità della fotografia? Cos’è che ci tiene legati a questo processo? Fotografare è solo elevare, studiare, ricordare, diffondere, specchiare, scoprire, raccontare; cose che si possono d’altronde fare per altre vie? Se l’originaria ambizione che ci ha trascinati alla sua rincorsa era di riprodurre il reale più che col disegno, strumento che già ci per- metteva di conservare il mutevole e di trasportare l’immobile, una volta compreso che questo risultato poteva essere solo lambito in quanto miraggio e quindi rassegnandosi a riportare l’apparente, l’immagine fotografica ha comunque continuato a esercitare sull’umanità un’inedita fascinazione, tanto che si fatica a immaginare qualcosa che in futuro la possa far dimenticare (dobbiamo forse attendere un registratore di sogni, ricordi e pensieri?).
Questo perché è più potente un segno che un disegno, in quanto più ancorato alla sua realtà generatrice; è più carica di spirito l’impronta di una mano in una grotta che un ritratto a olio di un principe: l’ombra è più “vera” di una rappresentazione. E la fotografia è sia rappresentazione che traccia. La fotografia digitale è ancora traccia? Lo è, ma meno ancora di quanto la fotografia chimica lo fosse già rispetto a un’immagine proiettata su un vetro smerigliato. Se prima la mediazione era costituita dalla scelta dei chimici per riprodurre i chiari e gli scuri, i colori, dalla carta, ora lo è dal codice binario, dai software delle fotocamere, dagli schermi retroilluminati. La cruciale differenza però c’è e risiede nella scomparsa del negativo, di quell’impronta fisica forgiata sincronicamente dalla luce. Sia l’immagine disegnata che quella fotografata nascono dall’impressione permanente di un ombra: se l’una è svolta dia- cronicamente nel tempo dalla punta di uno stelo sulla carta (ogni singolo punto di una linea prova che lì è passata la matrice, che vi ha proiettato ombra per contatto), l’altra avviene sincronicamente provocata dai raggi di luce sull’acetato (là dove è scura quella pelli- cola è stata accarezzata da quella luce proiettata da quel soggetto in quel momento, con tutti i dettagli fissati contemporaneamente in un unico attimo, anche quando l’esposizione dura a lungo).
È la sincronia dell’impressione dell’immagine che all’interno dell’intero processo di rappresentazione limita in maniera decisiva l’intervento umano. E nella fotografia digitale questa sincronia si perde assieme al negativo. L’immagine latente viene dispersa una volta codificata, una volta compressa. Quel che resta, la fonte delle future riproduzioni, è scritta, è già codificata. Non ci si illuda che tale passaggio sia meccanico, fisico: è programmato, ragionato. Compilato informazione dopo informazione. Aggiustato l’errore fotografico. L’impronta della mano ritorna il ritratto. C’è un film di Antonioni, Zabriskie Point: le immagini finali avrebbero la stesso significato riprodotte in computer graphic? Il prodotto digitale è privo dell’incidente (che incide) fornito dall’esperienza della realtà. Il digitale non è un atto, è un pensiero. Il digitale non è abbastanza, è molto più illusorio di quanto si possa sospettare. Il modo digitale non è autentico e il concetto di autenticità ha un peso considerevole nel campo fotografico. La fotografia digitale è nella sua origine replica, mentre il negativo conserva addirittura l’aura di oggetto unico. Il negativo è un reperto: tenere in mano una diapositiva è guardare una porzione di realtà, guardare una foto allo schermo è vedere qualcuno che te la racconta; l’una è teatro, l’altra è televisione. La fotografia digitale ha immense potenzialità che ancora accenna a sfruttare appieno, tuttora legata com’è ai parametri della foto- grafia chimica al punto da arrivare talvolta a simularne grossolanamente le maniere, esattamente come faceva quest’ultima ai suoi esordi nei confronti della pittura. La nuova tecnologia fotografica c’è: ora deve crescere il lessico di un discorso che probabilmente la allontanerà dalle sue origini, magari sbilanciandola ancora di più dalla “foto” verso la “grafia”. E deve trovare un modo per affrancarsi dalla sua maledizione, dall’essere una costola del potente mercato globale dell’informatica che non fa che amplificare esponenzialmente l’omogeneità del prodotto e della pratica fotografica. Paradossalmente, rispetto al passato siamo di fronte a una restrizione del ventaglio tecnico a disposizione. Gli strumenti fanno tutti le stesse cose, e durano tutti una sola stagione. Col digitale si è assistito a una significativa massificazione dell’uso della fotografia.
La fotografia digitale è tecnicamente più facile, più comoda ma soprattutto più economica. C’è da chiedersi se sia effettivamente anche più ecologica. Per sua struttura invita al ritocco, all’autoscatto. L’avvento di Internet, sia nella sua primigenia veste domestica, ma soprattutto con la sua espansione tramite dispositivi mobili, spesso tutt’uno con le fotocamere, ha accresciuto incredibilmente il fenomeno, alimentandone la diffusione e la condivisione. La storia della fotografia è una storia di continui cambiamenti, dovuti principalmente dal mercato, quindi perché ostinarsi a fotogra- fare con una tecnologia più scomoda e farraginosa? Sarebbe come rifiutare l’uso del cellulare per assaporare la “magia” del telefono fisso a impulsi che non ci concede di sapere chi sta chiamando o chi e se qualcuno ha chiamato. Si tratta quindi solo di questo? Di una piccola follia? Di nostalgia? Di feticismo? Volendo cercarli, la macchina fotografica meccanica dispone pure di innegabili vantaggi: può funzionare senza ausilio di batteria alcuna (ciò consente una calma e un pensiero durante gli scatti che non è altrimenti possibile), è solida, robusta, meno delicata (non teme gli urti, la pioggia o condizioni climatiche estreme come le nuove macchine), c’è maggiore speranza e facilità di recuperare modelli danneggiati e anche le fotocamere compatte di fascia me- dio bassa permettono di entrare nell’inquadratura grazie al mirino ottico (lo schermo LCD non è che un francobollo all’interno del nostro campo visivo e al sole è inutilizzabile).
Inoltre l’oggetto che esce dal lavoro in camera oscura recupera un’ulteriore autenticità e le possibilità che offrono le emulsioni vanno ben al di là della carta fotografica o della macchina fotografica prodotta industrialmente. La fotografia analogica ha ancora molto da dare, a sé medesima e all’esperienza del fotografo, soprattutto nel campo artistico e speri- mentale, mentre un grosso contributo alla riflessione sulla fotografia stessa (anche analogica) è fornito proprio dalla nascita della fotografica digitale: essa ci offre una sponda da cui guardare alla fotografia tradizionale, che, se prima era l’unico modo possibile, ora è una scelta. Fotografia analogica e fotografia digitale sono due sorelle distinte, sono imparentate dalla branca scientifica dell’ottica ma lasciano dietro sé segni diversi, di grana diversa, di colori e pesi diversi, con significanti differenti. La chiave per affrontare la scelta tra una o l’altra non va quindi cercata sull’ipotetico piano del meglio o del peggio, quanto piuttosto sull’importanza che si attribuisce personalmente alla meta o al viaggio.
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