Magnifica Illusione. Lavori ispirati alla rivisitazione delle opere di Ray, Modotti, Muybridge che hanno fatto la storia della fotografia.
Una enorme luna appare alle spalle di una vecchina che cammina tranquilla nelle strade del suo paese ignorando quella presenza che pure a noi sembra, chissà perché, vagamente minacciosa. Una bella ragazza completamente nuda attraversa un muro pedalando in bicicletta e la cosa ci appare, invece, del tutto plausibile e perfino rassicurante. Succede, quando ci si trova di fronte alle opere di Giancarlo Maiocchi che già nel nome d’arte Occhiomagico con cui si firma fin dal 1971 suggerisce all’osservatore di guardare al mondo con felice disincanto perché la realtà non è quella che appare e d’altra parte ciò che appare può esser molto diverso dalla realtà. Troppo difficile? Eppure basta dare un’occhiata al pianerottolo di casa attraverso lo spioncino della porta di ingresso per trovarsi di fronte a uno spazio dove le linee che dovrebbero essere parallele sono invece curve e le persone che lì stazionano hanno un’enorme testa e piedi piccolissimi. Quello spioncino, in effetti, si chiama occhiomagico, un oggetto d’uso comune trasformato da Maiocchi, in perfetto stile dadaista, in nome dotato di una sua intrinseca capacità interpretativa.
Alchimista della realtà, maestro di visioni altre, inventore di mondi paralleli, provocatore visivo ma anche erede dichiarato della lezione delle Avanguardie Storiche con cui a lungo civetta cogliendone alcuni aspetti pur senza sposarne totalmente tutti gli assunti, Giancarlo Maiocchi/Occhiomagico sfugge a una definizione troppo stringente perché per sua natura abbatte i limiti al cui interno lo si vorrebbe confinare. Lo fa usando come “arma” un’ironia lieve come quando, in un autoritratto dove esibisce un lungo naso finto, sembra chiederci se davvero pensiamo che la fotografia racconti la verità. E come pensarlo di fronte a una graziosa donna con le mani tenute in tasca, cosa che sarebbe perfino banale se non fosse che la signorina è completamente nuda? Attenzione, però, alle date perché Occhiomagico queste elaborazioni le ha fatte ben prima che i programmi di postproduzione digitale li rendessero possibili a tanti (troppi?) fotografi. “Ogni volta che mi sono allontanato dalla pratica ortodossa era solo perché il soggetto richiedeva un nuovo approccio” diceva Man Ray e questo principio può bene attribuirsi a ogni grande ricercatore e a Maiocchi in particolare: per quanto sorprendenti possano apparire i suoi lavori, non sono mai frutto di un’estrosità fine a se stessa ma esito di un progetto immaginato, organizzato e realizzato con una grandissima consapevolezza estetica e culturale.
Lo dimostrano assai chiaramente i lavori ispirati alla rivisitazione delle opere che hanno fatto la storia della fotografia: senza timori reverenziali, in “Cover’s” si è confrontato, creando degli splendidi dittici, con Diane Arbus e André Kertész, E.J.Bellocq e Tina Modotti, Edward Muybridge e, inevitabilmente, Man Ray. Qui il bello è stato nella capacità di Occhiomagico di cogliere così bene lo spirito di questi autori da personificarne, aggiornandolo, lo spirito così da essere di volta in volta muybridgiano e bellocquista, ketertesziano e modottista, arbusiano e manraysta (si dirà così?). In altri casi la sua ricerca si è fatta particolarmente profonda come nel caso di “She’s leaving room” che, nel graduale avvicinamento all’immagine di un occhio sempre maggiormente ingrandito fino alla sgranatura della stampa, si pone nel solco di quelle “Verifiche” del linguaggio fotografico codificate da Ugo Mulas e Franco Vaccari.
Il gusto per lo spiazzamento dello spettatore serve a indicargli strade sempre diverse come quando, nel 1978 a Milano, invece di allestire una classica mostra con le fotografie alle pareti della galleria il diaframma, lasciò lo spazio completamente vuoto attorno a un monolite di cristallo contenente un solo negativo e due stampe una a colori e una in bianconero, definendo questa operazione “La porta di Niépce” in un evidente omaggio a uno degli inventori del processo fotografico. Troppo concettuale, troppo esclusivo, troppo élitario? Occhiomagico smentisce, accosta alto e basso secondo una pratica culturale questa sì raffinata, scompare dalle gallerie d’arte e ricompare nelle copertine dei dischi dei Matia Bazar e in quelle della rivista “Domus” esaltandosi in una serie di magnifici esercizi di stile sul tema del postmoderno. Autore indipendente come lo sono sempre i ricercatori più radicali ma anche capace di collaborare con interlocutori di alto profilo come sono stati per lui Ambrogio Beretta, Alessandro Guerriero e Alessandro Mendini, ha sempre lavorato per temi nella convinzione che all’originalità di una singola immagine sia preferibile l’intensità di un più ampio progetto al cui interno questa trasferisse la sua forza espressiva. Così sono nati “Falso Movimento”, caratterizzato da una grande fantasia che conduce a spiazzamenti seducenti, “Mi Vida”, dove i light box aiutano la fotografia a oltrepassare la soglia dei confini del bidimensionale inserendo il corpo femminile in una luce dorata, “Talking about” dominato da atmosfere enigmatiche, “L’ora sospesa” dove tempo e spazio si confrontano in uno slittamento visivo di rara suggestione. Alla fine di questo discorso risulta evidente che tutto questo non è affatto un viaggio nel mondo reale o immaginario che sia, ma un personalissimo percorso interiore realizzato con quel gusto per una ricerca incessante che da sempre distingue il metodo di Giancarlo Maiocchi, con quel rigore teorico che da sempre caratterizza la poetica di Occhiomagico.
Roberto Mutti
Inaugurazione Domenica 9 febbraio 2014 h.10.30
Sala Espositiva Virgilio Carbonari Palazzo Comunale
piazza Angiolo Alebardi, 1 - Seriate (BG)
Aperto dal martedì al sabato dalle 16.00 alle 19.00 domenica dalle 10.30-12.00 16.00- 19.00
Ingresso libero