La parete. Nell'installazione presentata a Verona, il tema del muro e' al centro. Appena entrati nella galleria, un muro appositamente costruito divide lo spazio trasversalmente in due parti. La parete in questione si trasforma poi, lungo l'asse verso sinistra, in un muro di carta sottile e fragile come un velo. Si tratta di una grandissima carta - montata come se fosse 'portante' come una vera parete -, interamente intagliata di preziosi e fitti disegni.
LA PARETE
a cura di Chiara Bertola
testi in catalogo di Chiara Bertola e Francesca Pasini
Il Muro di luce
Negli ultimi lavori Elisabetta Di Maggio ha tagliato, asportato, tolto, pulito e rarefatto ancora di piu' il suo fare. Ha scavato e inciso con il bisturi la dura pasta dell'intonaco sui muri di gallerie, musei e case private, poi ha tagliato la carta, seguendo le volute dei merletti, e continuando in altro modo, a tracciare e certificare il passaggio della sua esistenza.
E' un lavoro che si nutre di tempo. Tutto il tempo necessario a quell'accurato, estenuante e preciso fare che porta alla realizzazione della sua forma. Quel tempo - sempre importante per lei e per il suo lavoro, e' diventato oggi, la materia principale entro cui cresce e si dipana la sua fragile e preziosa opera. Non piu' il tempo che disfa la forma, come in Pianto (1999), in cui il ghiaccio necessitava tempo per sciogliersi e trasformarsi in musica e in altra forma; o come in Stupro (2000), in cui del sapone avrebbe voluto lavare nel tempo, il dolore della violenza iscritta nelle parole incise sulle saponette. Qui il tempo era utilizzato come un elemento quasi 'alchemico', necessario per trasformare materie e forme in altro, per distruggere e non lasciare traccia di niente.
In questi ultimi lavori, invece, il tempo e' qualcosa di diverso nell'economia del farsi dell'opera: e' piu' semplicemente quello dell'esistenza, piu' simile a quello naturale entro cui le piante crescono e germinano i semi nella terra. Siamo di fronte ad un lavoro che ha a che fare con quella bellezza che ci sorprende sempre quando incontriamo un oggetto naturale, come per esempio, un fiore che cresce. Il lavoro di quest'artista e' una ricerca complessa, cresciuta nello studio, nella lentezza e nel rigore di una pratica che costruisce sui dettagli, controllando ogni particolare e ogni passaggio. Solo silenzio e disciplina quotidiana scandiscono i ritmi del fare che conducono alla sua opera, dove il tempo quotidiano e quello del lavoro fanno parte di un medesimo progetto esistenziale.
Tagliare la carta dentro un disegno indefinito, dare corpo e profondità ad un materiale fragile fino a scorgere dentro il disegno dei tagli, la possibilita' di uno spazio. La materia che noi tocchiamo e' fatta di spazi vuoti e di luce, tagliando il tempo si crea lo spazio.
Nel lavoro precedente, sulla parete della galleria, aveva tagliato col bisturi l'intonaco del muro in forma di fiori. Tagliando venivano fuori gli strati del colore sottostante di altri interventi, andava a mettere le mani nel tempo trascorso sopra quel muro, come se fosse terra. Scostava il passato, lasciando che si affacciasse al presente e viceversa. Il tempo presente e il confronto con il passato e' qualcosa che appartiene alla sua ricerca.
Betta lavora sull'essenza, sulla sospensione. Non esiste accumulo o quella confusione che molto spesso serve a depistare rendendo misteriose cose che non lo sono. C'é una sorta di determinazione e ostinazione al lavoro. Soltanto questo é il 'fare dell'artista': fatica e tempo. Asciugare, eliminare rarefacendo, rimanere in bilico su un pezzo di carta che può lacerarsi al minimo sbaglio.
Nella sua ultima installazione presentata a Verona, il tema del muro e' al centro. Appena entrati nella galleria, un muro appositamente costruito divide lo spazio trasversalmente in due parti. La parete in questione si trasforma poi, lungo l'asse verso sinistra, in un muro di carta sottile e fragile come un velo. Si tratta di una grandissima carta - montata come se fosse 'portante' come una vera parete -, interamente intagliata di preziosi e fitti disegni. Non c'é un disegno ma piuttosto l'unione di frammenti di disegni tagliati che alla fine formano un grande arazzo in negativo. Disegni tagliati, irriconoscibili se non come una massa fluttuante e germinante su di una superficie. Direi piuttosto un terreno in movimento, un disegno che sembra trasmigrare da una forma all'altra in modo instabile. Sono motivi tratti da vecchi merletti - dal cinquecento ad oggi -, i quali già mischiavano alla tradizione occidentale motivi arrivati dall'oriente: l'arabesco. L'artista sa che utilizzando quei motivi trovera' la possibilità di lavorare su di un terreno che si muove nel tempo. Insistere e approfondire questa ricerca, ha significato per lei dei motivi che trasmigrano da una cultura all'altra, che attraversano il tempo e lo spazio ancora con una vitalità inaspettata.
Dal disegno di un ricamo del passato, Elisabetta Di Maggio ha 'tessuto' un altro ricamo, quello del tempo trascorsovi dentro nel lavorarlo. Come un racconto la cui narrazione ha costruito alla fine uno spazio negoziato con il reale, lo spazio-casa della parete. '... la materia che mi passa tra le mani é il tempo, che attraverso il tempo diventa spazio. Questa é l'opera'.
Dentro e su quel rettangolo di carta l'artista ha trascorso mesi e mesi della sua esistenza - questo è il tempo impiegato per tagliare e asportare via con il bisturi affilato la carta, il pieno, il 'positivo' che riempiva il disegno, e non è difficile scorgervi tessuto in quelle decorazioni il tempo stesso della propria vita.
Su quel muro sapientemente 'bucato', il tempo ha tessuto dunque una materia che sembra fatta di niente, di spazio vuoto, ma che invece lascia filtrare la luce che arriva dall'altra parte. Dietro il muro di carta, attraverso i buchi dei ricami, s'intravede l'altra parte dello spazio diviso: uno spazio inondato di luce. Al di la', lungo il perimetro a pavimento, ci sono dei neon che riflettono la luce sulle pareti colorate di verde chiaro. La luce verdastra e forte irradiata da quella parte infonde un senso di sospensione per quello spazio che non vuole definirsi. Sospendere significa tenere insieme e il vicino e il lontano e non trovare una soluzione. Il verde per l'artista é sentito del resto, come un colore gravido di qualcosa che ancora deve nascere e svelare i suoi frutti.
Un muro che divide uno spazio subito evoca muri che sono caduti e purtroppo anche quelli che si stanno costruendo oggi per separare e proteggere dalle differenze. Ma questo e' troppo fragile e troppo prezioso, e basta un gesto per lacerarlo e passare oltre. Di fatto quella fragile membrana che separa i due spazi ci riconduce al nostro spazio interiore e alle difficolta' che abbiamo verso i cambiamenti e i passaggi di crescita. Questa parete di Elisabetta Di Maggio é un'enorme finestra attraverso la quale si riesce solo a intravedere quello che sta dall'altra parte. Una sorta di ragnatela, di membrana che respira tra qualcosa che é il conosciuto e il completamente ignoto che sta dall'altra. Dunque non vediamo, non abbiamo una vista completa, mentre la sensazione che oltre ci sia qualcosa di nuovo e al di fuori di noi, e' forte. Come a dire che per andare al di la di noi stessi e del nostro limitato angolo visuale dovremmo attraversare il conosciuto e superarlo infrangendolo. Come a dire che per passare dall'altra parte non resterebbe che lacerare quel 'velo' prezioso e protettivo. Infrangere schemi e luoghi comuni, spingersi oltre, volere qualcosa di più nella coscienza. La parete é monumentale, é ingombrante é simbolo di una tradizione che ti hanno trasmesso e che ti porti dietro per questo é così lavorato e così prezioso. Fai fatica a perderla e a lasciarla. É come rinunciare al lusso.
Le forme che si disegnano con i tagli, i merletti uniti e trasformati in qualcosa d'altro, formano un giardino nel giardino, volute astratte di fiori e di vegetazione che si completano e continuano a germinare nella nostra immaginazione. Vedere attraverso queste forme astratte e fiorite puo' diventare ancora un'esperienza ulteriore. É un racconto sospeso, l'incipit di uno sguardo che puo' continuare a vedere altro in quello spazio illuminato e sospeso. Oltre quel muro di carta c'é tutto lo spazio perché ciascuno vi legga una propria storia di luce.
Chiara Bertola
Venezia 2004
(Le citazioni in corsivo nel testo sono dell'artista tratte da una conversazione con Chiara Bertola in gennaio 2004.)
Inaugurazione Sabato 7 febbraio ore 18
Orari: dal martedì al sabato 15:30 - 19:30
La mostra proseguirà fino al 10 aprile 2004
francesco girondini arte contemporanea
VIA DE NICOLIS, 1 (traversa di Via Emilei 22)
37121 VERONA
TEL. 045 8030775