Villa Vidua
Conzano (AL)
via Don Francesco Oddone, 5
0142 925132 FAX 0142 925734
WEB
Patrizia Deambrogio
dal 5/9/2014 al 27/9/2014
sab-dom 10-12 e 15-19
340 9050571

Segnalato da

Maria Giulia Alemanno



approfondimenti

Patrizia Deambrogio



 
calendario eventi  :: 




5/9/2014

Patrizia Deambrogio

Villa Vidua, Conzano (AL)

Pita. La sintesi del percorso di un'artista che ha saputo raccontare la fragilita' dei nostri tempi, filtrandoli attraverso la lettura disincantata delle proprie inquietudini e dei propri sogni.


comunicato stampa

A Conzano (Al) le sale settecentesche di Villa Vidua accolgono dal 7 al 28 settembre 2014 una mostra antologica di Patrizia Deambrogio, per tutti Pita. E PITA non poteva che essere il titolo dell’esposizione, la sintesi del percorso, breve ma intenso, di un’artista che ha saputo raccontare con le tecniche più disparate la fragilità dei nostri tempi, filtrandoli attraverso la lettura disincantata delle proprie inquietudini e dei propri sogni.

La mostra patrocinata dal Comune di Conzano con il supporto di Magico Teatro, Associazione Culturale onlus Elegguà e Il Labirinto, è a cura di Maria Giulia Alemanno, Francesco Cusanno, Angioletta Deambrogio e Massimo Olivetti.Le riproduzioni fotografiche e il progetto grafico del catalogo sono di Chiara Catellani.

Nata a Varallo Sesia nel 1952, Patrizia Deambrogio trascorre la giovinezza a Casale Monferrato e frequenta nella seconda metà degli anni ‘60 lo storico Liceo Artistico di Via Accademia Albertina a Torino in un clima di grande fermento sociale e culturale che coinvolge studenti e professori. Due insegnanti in particolare, Mauro Chessa e Francesco Casorati, lasciano in lei un segno indelebile.

Trasferitasi a Milano si laurea in Architettura e si dedica all’insegnamento. Entra in contatto con il movimento femminista ed inizia ad interpretare, attraverso il disegno, la complessa realtà del momento. Le sue strisce essenziali e fulminanti sul mondo femminile, che non ha mai smesso di esplorare, le valgono nel 1987 il 1° premio disegnatrici umoristiche “Leggere donna” a Ferrara.

Nei primi anni 80 è a Pienza dove inizia a sperimentare nuove forme espressive nella bottega di ceramica aperta dal marito, Dino Cusanno. La Toscana l’incanta ma al contempo sente il peso della perfezione che la circonda. Inizia a parlarne in forma di racconto e in quadri di dilatata solitudine. Nel 1987 torna a Casale ed è quello il momento più prolifico. Lavora assiduamente con il Magico Teatro, si dedica ai laboratori per ragazzi, allestisce mostre, progetta installazioni. Il suo buen retiro è la vecchia casa di famiglia di Frassinello, irrinunciabile crogiuolo di affetti e creatività. Tutto finisce nel 2004.
Questo scarno riassunto di una vita si rende necessario per inquadrare i vari periodi della sua ricerca, ognuno strettamente legato ad un luogo. Torino, Milano, Pienza, Casale Monferrato sono state per Pita tappe fondamentali, snodi d’esistenza. Ed è seguendo questo stesso percorso che si articola la mostra di Villa Vidua, un viaggio a ritroso compiuto con lei e grazie a lei, tra segni e colori, carte trasparenti e sovrapposte, tele grezze, materiali di recupero utilizzati con estrema levità ed eleganza. Pita riusciva a dare dignità ad una tessera di mosaico, ad uno spartito strappato, ad un chiodo arrugginito. Non collezionava, raccoglieva. E lo faceva in modo sistematico, privilegiando ciò che gli altri avrebbero scartato. Come dal cilindro del prestigiatore estraeva da scatole e cassetti pochi elementi, li assemblava e ne faceva un’opera, spesso accompagnata da brevi pensieri mai descrittivi, sempre integranti.

Scrive il critico d’arte Massimo Olivetti nella presentazione in catalogo: “La parola che più sento vicina a definirla è poetessa, una poetessa che cercava di dipanare i fili del proprio essere dentro una trama pluridimensionale. Guardava la Luna dentro il pozzo e si stupiva che pur così vicina fosse irraggiungibile. Così si può capire come non fosse possibile per lei sottostare ad una sola forma espressiva, ad un’unica tecnica, ad un solo linguaggio.”

I molteplici linguaggi di Pita riproposti a Villa Vidua comprendono – e non è che un elenco sommario - i fogli che indagano ora con ironia, ora con amarezza, il rapporto uomo – donna, le tavole della “Settima Luna” ispirate alla canzone di Lucio Dalla, la tenera favola del Porcospino, le scatole che ospitano storie surreali sospese su tele quasi astratte, le sirene dalla coda bifida, simbolo di un femminile diviso tra istinto e ragione, i quadri dei tavoli e delle teiere volanti, le tele verticali, così essenziali da escludere persino il telaio. E ancora ceramiche e piatti dipinti, un teatrino istoriato per il Magico Teatro, la riproposta di un’installazione ed “il Pendolo del Non Tempo” che scandisce soltanto le ore dell’ispirazione e della pittura.
La mostra è integrata da una sezione multimediale, in cui verranno proiettati il primo lavoro video di ricerca di Patrizia e due libri illustrati sfogliati virtualmente altrimenti di difficile consultazione per il pubblico.
Per meglio conoscere Pita si consiglia di entrare nel blog, ideato da Francesco Cusanno, autore del testo “Mia mamma era un’artista”.

pitadiario.tumblr.com

Si tratta non solo di un viaggio attraverso la mostra ma di un’avventura destinata a continuare.

PATRIZIA DE AMBROGIO: dentro la poesia.
di Massimo Olivetti

“Tu lo sai cosa hai fatto Mario… una metafora”
“ No! Ma veramente… A beh però non vale perché non la volevo fare ”.
“ Volere non è importante perché le immagini nascono casuali”
Lavorando ad allestire la mostra di Patrizia, per tutti noi la Pita, mi torna ossessivamente in mente il dialogo tra Mario – Massimo Troisi il postino, e Neruda – Philippe Noiret. Il mondo, come dice Mario è una metafora e la Pita è stata una metafora dentro un’altra metafora universale. Chi la conosceva lo sapeva, sapeva che ogni sua espressione, pensiero, parola, scritto, pittura, ceramica, aveva sottotesti, echi e rimandi, padiglioni di specchi, che riflettevano l’apparente semplicità dell’espressione nella complessità del vissuto. Non riusciva a distaccarsi da un mondo interiore che tracimava nel quotidiano. Definirla, definire i suoi lavori è impresa impossibile. Le categorie dell’estetica che assumiamo, spesso per comodità, non potevano comprenderla. Dipingeva, scriveva, assemblava, costruiva, sempre seguendo percorsi privati, a volte segreti e solitari, ma non per questo individuali. Dietro spuntava sempre una metafora universale gettata, quasi casualmente, a squarciare il privato e coinvolgere il pubblico. La parola che più sento vicina a definirla è poetessa, una poetessa che cercava di dipanare i fili del proprio essere dentro una trama pluridimensionale. Guardava la Luna dentro il pozzo e si stupiva che pur così vicina fosse irraggiungibile. Così si può capire come non fosse possibile per lei sottostare ad una sola forma espressiva, ad un’unica tecnica, ad un solo linguaggio. Questa mostra non è perciò solo un affettuoso ricordo per dire che ci continua a mancare, è soprattutto una chiave per aprire la porta di Patrizia. I suoi lavori, o per meglio dire le sue materiali espressioni, non possono e non devono essere letti isolatamente. Come i frammenti di un caleidoscopio sono universi solamente quando li riunisci, li agiti, li ricomponi. Allora diventano canzone, melodia che suggestiona e trascina ad emozioni profonde ed intense. Ricordi e suggestioni si confondono e s’intrecciano. Un Piccolo Principe al femminile, una contadina di Chagall in volo notturno. Lei era surreale convinta di non esserlo. Non fermatevi a classificarla, ripeto. Patrizia non faceva arte povera solo perché utilizzava quello che trovava a portata di mano. Niente era più lontano da lei che soggiacere a criteri ideologici anche nell’espressione. Un pezzo di stoffa strappato, un coccio di ceramica recuperato, una scatola di scarpe, erano quello che in quel preciso istante serviva per l’urgenza della sensazione e dell’espressione. I suoi stendardi sono un discorso continuo, organico solo a posteriori, nell’immediato dipingevano dubbi, troncamenti, singhiozzi, salti d’umore, tristezze e felicità contingenti, cioè un’enciclopedia della umana inadeguatezza a rompere le barriere lessicali e corporee per lasciar fluire la poesia che cresce dentro di noi.
“Tambiém se muere el mar” cantava Garcia Lorca in morte di un torero. Pita anche tu sei stata torero.

Inaugurazione sabato 6 settembre, ore 18.30

Villa Vidua
via Don Francesco Oddone, 5 Conzano (AL)
sab-dom 10-12 e 15-19
ingresso libero

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