Castello Ducale
Aglie' (TO)
p.zza Castello, 1
0124 330102
WEB
Roberto Sacco
dal 19/9/2014 al 18/10/2014
tutti i giorni 9-19:30, lun chiuso

Segnalato da

Bruno Francisci



approfondimenti

Roberto Sacco



 
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19/9/2014

Roberto Sacco

Castello Ducale, Aglie' (TO)

Silenzio in scena. L'autore fissa l'aspetto esteriore delle cose senza disperdere il legame con l'intervento umano cui esse rinviano da lontano nella loro autonomia di oggetto.


comunicato stampa

Il monumentale complesso del Castello Ducale di Aglié ospita “Silenzio in scena”, una suggestiva personale del grande fotografo torinese Roberto Sacco, il cui obiettivo ci ha regalato preziosi e originalissimi reportage, ma anche scatti d’autore che lo hanno fatto divenire una memoria oramai storica della sua Torino, dal cuore sabaudo della città fino alle periferie ritratte negli aspetti più sorprendenti.

Lo stile di Sacco – che è anche apprezzato poeta e narratore – balza subito agli occhi di chi guarda le fotografie esposte in questa mostra, dove la narrazione delle immagini va di pari passo con la sensibilità poetica del fotografo.

“L’autore conosce il linguaggio segreto delle cose – scrive infatti nel catalogo della mostra Alba Andreini, docente ordinario di letteratura italiana all’Università di Torino – e sa esprimerne il volto fissandone alla perfezione l’aspetto esteriore senza però disperdere quel legame con l’intervento umano cui esse rinviano da lontano nella loro autonomia di oggetto. I suoi fermo-immagine che ritagliano nello scenario urbano i dehors vivono insomma di un’armonia di quadro studiato nei suoi equilibri intrinseci, attento al dettaglio e alla combinazione di profili di linee e colori, ma dietro tale ordine formale lasciano trapelare comunque la propria ricerca di quanto ha creato quei raccordi e quelle assonanze con il paesaggio: dunque, del palpito segreto che le cose mutuano dall’uomo che le genera e che esse ricordano come se fosse loro infuso un tocco di vita.”

E acutamente la presentatrice si sofferma a considerare i risvolti – quasi metafisici – delle immagini esposte: “Delle due prospettive dalle quali si può guardare al dehors, per considerarlo appartenente all’una o all’altra (all’ambiente esterno, quasi fosse una sua ‘stanza’, da un lato; a un ambiente interno di cui figuri invece quale intrinseca appendice, dall’altro), la rassegna di Roberto Sacco privilegia la prima, nonostante il significato corrente del termine presupponga piuttosto la seconda. ‘Dehors’, derivato dal latino ‘deforis’ e dal francese ‘dehors’ come ‘spazio esterno, cortile’, è comune nel dialetto dei secoli passati e compare nel vocabolario piemontese del Di Sant’Albino del 1859 nella forma ‘deor’, mentre viene registrato nei dizionari nazionali a partire dalla metà degli anni Novanta, sebbene la sua datazione risalga agli anni Cinquanta (1952 per il Dizionario Zingarelli, 1954 per il De Mauro). La parola sta a indicare un ‘fuori’ o l’estroflessione di uno spazio interno oltre i confini che lo delimitano: a ragione, nell’accezione dell’oggi, designa per lo più l’espansione esterna di un locale pubblico con il prolungamento dell’attività che in esso si svolge, ed è attualmente una presenza sempre più frequente nella Torino che ha cambiato volto e abitudini grazie ai mutamenti di clima nonché alle nuove regole sui divieti del fumo dentro ai locali. Le fotografie di Roberto Sacco documentano dunque, con la fioritura a Torino dei dehors, le trasformazione della città che l’hanno favorita.

Tale inedita realtà urbana è colta però dall’obbiettivo di Sacco nel momento del non-utilizzo delle strutture fotografate, sorprese nel loro stato di pausa. Tavoli ombrelloni e sedie, riposti racchiusi e talvolta incatenati, dimentichi dell’alacrità dei camerieri che corrono a servire ad essi i clienti nelle ore di punta, non soverchiati dall’animazione degli avventori alla quale sono adibiti, risaltano nella loro natura inorganica e si fondono, con la loro inerzia, al paesaggio, componendovi, attraverso l’evidenza che conferisce loro l’occhio dell’autore isolandoli nel punto massimo di visibilità, giochi di forme e accostamenti di colore, nuove simmetrie o contrasti con l’esistente.

Inserto inanimato nel fondale che li accoglie e incorpora, i dehors non cessano comunque di alludere alla vita di cui sono strumentale complemento e simbolo e, dismessa temporaneamente la propria funzione, rappresentano nella loro inoperosità anche un intermezzo dell’attività che con essi si esercita. Va così in scena, nella sequenza di scatti, il silenzio, la sosta, e con essi pure il riposo umano, l’intervallo rispetto alla frenesia del ritmo lavorativo e festaiolo: momento di sospensione della cangiante morfologia del quotidiano.

Proprio la condizione del dehors reintegrato nel paesaggio di cornice calza a pennello alle caratteristiche della fotografia di Roberto Sacco, che predilige quale suo soggetto appunto il paesaggio ed è straordinariamente abile sia a restituircene il contorno esteriore sia a trasmettercene l’‘anima’ nascosta. Dal suo sguardo, il dehors è ritratto, nel suo non-uso, come componente dello sfondo che lo ingloba, ma pare trattenere anche l’eco delle presenze e dell’attività alle quali lo si associa e alle quali rimanda. La fotografia di paesaggio di Sacco si presenta così, ancora una volta, rigorosa nello studio dei volumi e delle proporzioni e allo stesso tempo allusiva; geometrica e tuttavia tesa a trattenere segni di mistero: in una parola, poetica.“
L’aspetto squisitamente artistico delle immagini esposte viene messo in speciale evidenza anche dall’altro presentatore, Giovanni Cordero, scrittore e dirigente del Ministero per i Beni Culturali, il quale rileva come gli elementi semplici, quotidiani di che Roberto Sacco adopera per le sue composizioni vengono attraverso la creatività dell’artista sublimati e restituiti a esiti estetici tanto imprevedibili quanto stilisticamente magnifici. “Se la bellezza del mondo risiede negli occhi di chi guarda – annota Cordero – allora anche gli impoetici “de hors” cittadini, possono diventare non solo soggetti di una ricerca estetica, ma anche motivo di riflessione esistenziale. Elementi di arredo per “esterni”, singoli o aggregati, smontabili o facilmente rimontabili, posti temporaneamente, in modo funzionale, sul suolo pubblico, delimitano lo spazio per una pausa, per una sosta e per il ristoro all’aperto: qui sono i protagonisti di un’ambientazione scenografica per un’originale investigazione artistica.

Roberto Sacco esplora il paesaggio cittadino con una profondità di visione, un distanziamento ottico non di tipo prospettico, ma di esperienza interiore. Non intende indagare o descrivere le memorie architettoniche o le vestigia storiche di una piazza o di uno scorcio caratteristico torinese, il suo obiettivo è proporre, con una novità di sguardo, con una lettura originale, gli spazi aulici dove le dinamiche di vita sociale si esprimono con rituali quotidiani e dove il passato e il presente convivono senza elidersi a vicenda.
Sono fotografie che suggeriscono l’idea che ci possa essere un momento, nella realtà, dove il mistero si annida in un’atmosfera di attesa, di sospensione temporale, dove la luce nasconde molto di più dell’ombra. Registra, come congelati, quei pochi attimi prima che si manifesti un evento qualsiasi, prima che un refolo di vento restituisca movimento all’ ambiente o il passaggio di una persona invada il luogo con la sua presenza fisica e rompa il silenzio statico riportando quella solitudine apollinea alla dimensione dell’usuale, del consueto, del banale, del prevedibile e scontato disordine del brulichio umano.

L’occhio di Roberto Sacco trasforma gli oggetti di arredo urbano, mobili, seriali, sempre uguali nella tipologia stereotipata commerciale, difforme a volte solo nel colore, in totemiche rappresentazioni della scena cittadina: quasi attori di una recitazione che resta non conclusa, non definitiva, un palcoscenico senza attori in attesa di rivelazioni improvvise capaci di trasformare quel paesaggio ordinato, immobile, bloccato nella sua rigidità geometrica, in una narrazione che ci intrighi ancora la mente. La nostra sensibilità percepisce la scena al pari di un evento imminente da affrontare, ancorché ordinario e insignificante, in grado di generare però una strana inquietudine in bilico fra calma e agitazione.

Si ha la sensazione che il tempo si sia fermato, come davanti ad un’onda che non si infrange, come racchiusi in una bolla di cristallo. Nello spazio immobile di un esterno, nell’atmosfera rarefatta di una piazza deserta dove non succede nulla, si può cogliere la tensione del vuoto esistenziale e nell’anonimato di questa solitudine si percepisce la comunanza dei destini umani.”

Roberto Sacco pratica la fotografia fin da ragazzo, con una passione grandissima e una instancabile professionalità, il che non gli impedisce tuttavia di laurearsi successivamente in fisica, materia che con matematica insegna in licei ed istituti tecnici fino al 1994, né di occuparsi durante tutti gli anni Settanta di ricerca nel campo della fisica nucleare.

Collabora costantemente con riviste e agenzie, spesso accompagnando le foto con propri testi. Attualmente centinaia di sue immagini si trovano nell’album-archivio dell’agenzia internazionale PRISMA dove sono liberamente consultabili (www.prismaonline.ch).
Si ricordano in particolare, a partire dagli anni ’80, foto e servizi su “Bell’Italia”, “Infinito”, “Torino Magazine”, “L’Altro Piemonte”, “Itinerari in Piemonte”. Ha pubblicato diversi volumi relativi al Piemonte e alla Valle d’Aosta (Casa Editrice Bonechi - Firenze), “Gente del Piemonte” (Istituto Geografico De Agostini - 1996), “Residenze Reali del Piemonte” (EDA Edizioni- 2007), “I colori della nostra terra” e numerosi ritratti di artisti del Piemonte nei loro studi per il periodico d’arte IRIDE.TO diretto da Giovanni Cordero.
Tra le mostre personali ricordiamo: “Ritratti d’Artisti” presso il Teatro Juvarra di Torino, presentata da Giorgio Brizio (1999), “Il colore delle cose. Fotografie 1980-2001” presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea del Museo Civico di Abano Terme (Padova), con testi in catalogo di Alba Andreini e Bruno Francisci (2002), “I colori delle Stagioni in Langa”, presso il Castello di Roddi (Cuneo), con libro-catalogo curato e presentato da Gianni Rabbia (2010).
È scrittore, poeta e giornalista pubblicista.

Inaugurazione 20 settembre ore 17.30

Castello Ducale
p.zza Castello, 1 Aglie'
tutti i giorni 9-19:30, lun chiuso
3 euro

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