Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC
Lissone (MB)
viale Padania, 6
039 2145174 FAX 039 461523
WEB
Quattro mostre
dal 12/9/2014 al 18/10/2014
merc e ven 10-13, gio 16-23, sab e dom 10-12 e 15-19

Segnalato da

CLP Relazioni Pubbliche




 
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12/9/2014

Quattro mostre

Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC, Lissone (MB)

"La stanza delle meraviglie" presenta le opere degli artisti Gerosa, Mazzuferi e Mottolese, assieme ai materiali che li hanno ispirati. Paolo Masi espone lastre di plexiglas conficcate nella parete che "dipingono" l'ambiente. Di Chiara Dynys sono in mostra 3 serie di opere che agiscono sulla percezione, tra loro connesse dal leitmotiv dello specchio. Ludwig Wilding propone le sue investigazioni cinevisuali.


comunicato stampa

LA STANZA DELLE MERAVIGLIE
Gerosa | Mazzuferi | Mottolese

Mostra cura di Marco Belpoliti

Antonio Mottolese, Lino Gerosa e Paolo Mazzuferi operano da anni nell’ambito italiano con una loro originale proposta artistica. Uniti dalla comune attività nell’ambito dell’insegna-mento presso l’ISA (l’Istituto d’Arte Speri-mentale di Monza che è stato uno dei luoghi centrali dell’istruzione nell’ambito della comunicazione visiva, del design e della grafica) dove Mottolese, Gerosa e Mazzuferi hanno formato almeno un paio di generazioni di operatori dell’immagine, contribuendo con le loro proposte e attraverso la didattica quotidiana all’elaborazione del progetto culturale e professionale della scuola.

La ricerca di Antonio Mottolese si svolge intorno alla forma delle cose inanimate e degli esseri viventi, concependo la forma come metamorfosi, transito, spiazzamento. L’artista, che lavora con la pittura, la fotografia e la scultura, espone a Lissone dei dipinti su carta che si ispirano a forme animali.

Lino Gerosa opera direttamente con la materia – in particolare la carta – che diventa nelle sue mani un materiale plastico, passando dalle due alle tre dimensioni. Gerosa utilizza la carta per installazioni che ambiscono a entrare nello spazio come sculture leggere, sottili, invisibili (la leggerezza e l’aspetto lirico connotano tutta l’attività dell’artista).
Nel corso di più di trent’anni, Paolo Mazzuferi ha realizzato opere che appartengono all’ambito della scultura, ma che allo stesso tempo traggono forza vitale, intelligenza e sensibilità dal campo della geometria. L’artista traduce le forme della geometria e della matematica in forme appartenenti al mondo vegetale e minerale.

La mostra curata da Marco Belpoliti – anche lui docente presso l’ISA di Monza per diversi anni – intende esporre le opere dei tre artisti assieme ai materiali che li hanno ispirati, circondando le opere e lo spazio espositivo con libri, oggetti, articoli e manufatti che riverberano la loro ricchezza visiva e concettuale. Attento a connettere opera con opera, pen-siero con pensiero, forma con forma, l’allestimento de La stanza delle meraviglie individua «lo spazio che abita ogni artista prima dell’opera e dopo averla realizzata, dando forma sensibile e visibile ai suoi sogni e pensieri».

L’esposizione sarà accompagnata da uno o più cataloghi-manifesto su cui saranno riprodotti i testi che filosofi e critici hanno scritto per l’occasione. Marco Belpoliti, saggista e scrittore, si occuperà della curatela generale della mostra; Fabrizio Desideri, filosofo e saggista, analizzerà il lavoro di Antonio Mottolese; Giuseppe Di Napoli, studioso di percezione, si concentrerà sulle opere di Lino Gerosa; Roberta Sironi, grafica e scrittrice, si dedicherà alle ricerche plastiche di Paolo Mazzuferi.

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PAOLO MASI
IN ORDINE SPARSO

Mostra antologica a cura di FLAMINIO GUALDONI e ALBERTO ZANCHETTA

Sin dalla metà degli anni Sessanta, la ricerca di Paolo Masi [Firenze, 1933] si è incentrata sul ruolo primario della luce. Attraverso sperimentazioni materiche e sollecitazioni cromatiche, l'artista ha continuato a interrogare il colore, attraverso cui ha cercato di ridefinire le istanze spaziali connesse ai propri interventi artistici. Flaminio Gualdoni, curatore della mostra, ha scritto che Paolo Masi «smonta e verifica ogni elemento e fase del processo sino alle conseguenze ultime, ma nell'intento di restituirsi e restituire una grammatica elementare e una sintassi articolabile della visione, di cui cogliere e - per quanto sia possibile - fissare gli statuti di necessità primi e insieme la forza radiante d'espansione espressiva».

Differenziandosi sia nelle tecniche che nei procedimenti, Masi ha dimostrato una particolare sensibilità e predilezione per l'utilizzo del plexiglas, che prende il posto di supporti più tradizionali, come la tela, il cartone o il legno. Agli anni Settanta è databile l'opera Inserimenti lineari a quantità percettive colore + rifrazione, che viene riproposta anche in questa mostra lissonese; si tratta di quattro piccole lastre di plexiglas (di colore blu, giallo, rosso e bianco) conficcate direttamente a parete che sembrano "dipingere" l'ambiente in base all'incidenza della luce. L'effetto percettivo/visivo fa leva soprattutto sulla "trasparenza" del composto sintetico, il quale permette uno scambio da un piano fisico a un piano immateriale.

Come molti altri interventi dell'artista, anche quest'opera non si esaurisce nella forma dell'oggetto ma all'interno dell'ambiente espositivo; i confini dell'opera si estendendo infatti allo spazio-cornice che li ospita, scenario nel quale ha luogo l'interazione con lo spettatore.
Dai primissimi anni Duemila, Masi ha nuovamente ripreso a indagare e a interagire con il plexiglas, ammettendo che «l'interesse per il plexiglas è riconducibile alle sue peculiarità di materiale fortemente duttile e aperto a numerose variazioni di impiego». Il plexiglas filtra e riverbera la luce, ma può anche assumere tonalità sgargianti e intense grazie allo spray perfuso direttamente sulla superficie. Tipiche nella ricerca di Masi sono anche le sequenze ritmiche, atte a suscitare una scansione di toni e contrappunti luminosi.
La mostra ordinata al MAC di Lissone non segue un criterio antologico ma fa dialogare - a stretto contatto - le opere del passato con quelle del presente. La disseminazione cronologica
rispecchia il tentativo, sempre reiterato da parte di Masi, di dissolvere i margini dell'opera, con l'obiettivo di far fluttuare l'arte "in ordine sparso". A Lissone sono presenti diverse installazioni che l'artista ha riadattato per l'occasione: dalle piccole lastre colorate che creano un rimando di luci e colori fino ai tondi specchianti trattati con lo spray acrilico. In questo allestimento diaframmatico, l'artista ha analizzato la virtualità del colore, alternando superfici monocrome a strutture geometriche che riescono a [in]formare lo spazio e lo spettatore.

Razionali e relazionali, le opere di Masi intendono riappropriarsi della pittura e si sforzano di riconsiderare i processi percettivi, elaborando in modo del tutto nuovo il luminismo pittorico.

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CHIARA DYNYS
AL SESTO CIELO

Mostra personale a cura di MARCO BAZZINI e ALBERTO ZANCHETTA

Stendhal era fermamente convinto che l'arte fosse una promessa di felicità. Anche Chiara Dynys è persuasa che si possa raggiungere la felicità attraverso l'arte, ma tale promessa resta un concetto molto romantico, relativo e fuggevole. Lo ribadisce il titolo stesso di questa mostra, che allude proprio alla prossimità al Settimo cielo: basta poco, giusto un soffio per raggiungere quella felicità di cui parlava Stendhal, ma per quanto sembri vicina, alla fine si rivela inafferrabile, sempre inarrivabile.

Le opere di Chiara Dynys [Mantova, 1958] si sono distinte all'interno del panorama artistico internazionale in virtù di una promiscuità stilistica che mantiene una sua coerenza etica. Tenendo fede a un pensiero omogeneo e a un percorso consequenziale, Dynys afferma di non perseguire uno stile ma una linea concettuale. Ricorrendo a un vasto e sofisticato repertorio di materiali, l'artista si interroga sul mondo in cui viviamo attraverso il linguaggio dell'arte. La sua poetica - che ha come centri nevralgici la dicotomia e l'ambiguità percettiva - denota una complessa progettualità che passa dall'intuizione all'intenzione, dalla ricerca alla sperimentazione, senza mai rinunciare a stabilire una relazione con lo spettatore. «Realizzo le mie opere con l'intenzione di costruire delle "trappole" per lo sguardo capaci di creare stupore nel pubblico», spiega l'artista, «gioco in maniera alchemica con la percezione e la sfrutto per creare percorsi emotivi che coincidano con l'essenza dell'opera stessa». In particolare, gli interventi artistici diventano parte dell'ambiente espositivo, creando una struttura architettonica che accoglie e coinvolge lo spettatore.

Nelle opere di Chiara Dynys si può guardare, riguardare e finanche "tra-guardare" (oltre e altrove). Caratteristico è l'impiego di superfici trasparenti oppure specchianti che sono in grado di sollecitare o destabilizzare lo sguardo dello spettatore. In mostra sono presenti tre distinte serie di opere che agiscono sulla percezione e sono tra loro connesse dal leitmotiv dello specchio. Look At You è una lunga sequenze di teche, grandi o piccole, in cui si assiste a un occultamento e a uno svelamento cromatico. Sono esposte per la prima volta le due versioni del San Sebastiano che interpretano i quadri di Antonello da Messina [Gemäldegalerie, Dresda] e di Domenico Ghirlandaio [Museo Nazionale di San Matteo, Pisa]; nella versione dell'artista, le frecce si conficcano nell'acciaio specchiante, seguendo lo schema della flagellazione dipinta nei due capolavori, permettendo al fruitore di riflettersi sulla superficie, prendendo così il posto del martire. Inedito è anche il ciclo Doppia stella e l'installazione Grande stella che si compongono di coni prospettici al cui interno è possibile ammirare l'illusione di un solido platonico. L'effetto caleidoscopico di queste "stelle" crea una vertigine che risucchia lo sguardo in una dimensione straniante, dove infinito e indefinito si incontrano.

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LUDWIG WILDING
ZUM BEISPIEL
Piano interrato 13 settembre - 5 ottobre 2014

a cura di ALBERTO ZANCHETTA

Testimone dell'epocale transizione dalla società industriale alla società dell'informazione, Ludwig Wilding [Grünstadt, 1927 - Buchholz in der Nordheide, 2010] ha iniziato a realizzare le sue Programmierte Strukturbilder agli inizi degli anni Sessanta, sviluppando un'arte logico-sensoria basata sulla cinesi virtuale.
L'ambiguità, l'indeterminatezza e l'instabilità costituivano i caratteri distintivi delle ricerche svolte in quello scorcio di secolo; artisti come Ludwig Wilding approfondirono in particolar modo il discorso sui falsi movimenti e sulla visione stereoscopica (che è resa possibile dal nostro sistema binoculare, il quale registra due differenti immagini e le combina assieme producendo l'esperienza della terza dimensione). In questo senso, le opere di Widing andrebbero considerate come la congrua evoluzione del tradizionale rapporto tra primo piano e sfondo. La visione binoculare permette infatti di ottenere il senso della profondità grazie alla fusione delle diverse immagini che si formano nell'occhio destro e sinistro.
Nel decennio dei Sessanta Wilding ebbe modo di sviluppare l'interferenza sottoforma di linee sovrapposte nelle spazio. Le linee venivano disposte su due livelli, distinti ma complementari: la parte anteriore dell'opera e quella posteriore, che nella retina finiscono per combinarsi assieme. In pratica la sintesi percettiva del livello frontale e di quello retrostante poteva generare un movimento apparente.

Benché sia assodato che "vedere è conoscere", talvolta i sensi ci possono trarre in inganno, stimolando delle illusioni e persino delle allucinazioni. Le elaborazioni tissurali di Wilding agiscono proprio sull'illusione ottica, a riprova del fatto che l'arte è un meraviglioso inganno.

L'oscillazione percettiva di queste opere scaturisce da linee interspaziate, trame ortogonali, superfici concave/convesse, trasparenze e ripiegamenti che analizzano l'interdipendenza
tra l'artista/ricercatore e lo spettatore/ricettore, come pure tra il soggetto percipiente e l'oggetto percepito. In virtù di questa relazione l'opera non esiste finché non è vista, viceversa cessa di esistere quando non è più percepita direttamente. È inoltre necessario fare esperienza diretta di queste opere, perché l'unico modo per apprezzarle veramente è dal vero. Diversamente è impossibile comprendere il trapasso immediato da una "forma fissa" a una "forma mobile", ossia quando l'opera assume una vita propria, attivata dal riguardante e indotta dal variare della sua visuale.

Posto che le investigazioni cinevisuali possono suddividersi in due distinte categorie, quelle cioè che si interessano alla deduzione e quelle che ricorrono all'induzione, i gradienti strutturali di Ludwig Wilding appartengono senza dubbio alla seconda casistica: sono provocazioni intellettuali che agiscono sui fotorecettori della retina.

Immagine: Antonio Mottolese, Messa in opera, 2009, inchiostro su carta, 26 elementi, cad. 48x33 cm

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche Anna Defrancesco Tel. +39 02 36755700 - anna.defrancesco@clponline.it

INAUGURAZIONE sabato 13 settembre ore 18.00

Museo d'Arte Contemporanea
viale Padania, 6 20851 Lissone (MB) (di fronte alla FF.SS.)
Orari:
Mercoledì e Venerdì 10.00 - 13.00
Giovedì 16.00 - 23.00
Sabato e Domenica 10.00- 12.00 e 15.00 - 19.00
Lunedì e Martedì chiuso

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