Gallerie di Palazzo Leoni Montanari
Vicenza
via Contra' Santa Corona, 25
800 578875 FAX 0444 991280
WEB
Il colore come forma plastica
dal 24/9/2014 al 24/1/2015
mar - dom 10-18, ultimo ingresso 17.30
WEB
Segnalato da

Elena Milan




 
calendario eventi  :: 




24/9/2014

Il colore come forma plastica

Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, Vicenza

Percorso attraverso una forma di astrazione. Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo. La mostra e' incentrata sull'importanza del colore quale mezzo compositivo, come si rivela nella ricerca artistica non figurativa di alcuni protagonisti dell'arte italiana della seconda meta' del 900.


comunicato stampa

Esposizione monografica. Cantiere del '900 - Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo

a cura di Francesco Tedeschi

Dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015 le Gallerie d’Italia - Palazzo Leoni Montanari, polo museale e culturale di Intesa Sanpaolo a Vicenza, ospitano l’esposizione monografica intitolata Il colore come forma plastica. Percorso attraverso una forma di astrazione.

Già presentata a Milano nelle Gallerie d’Italia - Piazza Scala nell’ambito del progetto espositivo Cantiere del ’900, dedicato alla valorizzazione delle opere del XX secolo presenti nelle collezioni d’arte di Intesa Sanpaolo, la Monographia viene ora riproposta a Vicenza in una nuova veste, con variazioni e considerevoli ampliamenti.

L’attenzione della mostra, curata da Francesco Tedeschi, è incentrata sull’importanza del colore quale matrice espressiva e quale mezzo compositivo, come si rivela nella ricerca artistica non figurativa di alcuni protagonisti dell’arte italiana della seconda metà del Novecento, quali Accardi, Aricò, Dorazio, Griffa, Magnelli, Matino, Olivieri, Spalletti, Tancredi, Tirelli, Turcato, Vago, Verna e Vicentini tra gli altri.

Il colore come forma plastica riunisce un nucleo di opere delle collezioni Intesa Sanpaolo alla luce di un percorso critico originale, che intende illustrare una “linea dell’arte italiana” all’astrattismo, scaturita dalle ricerche cromatiche di Giacomo Balla e del Futurismo, per giungere alle elaborazioni di artisti operanti negli ultimi anni del secolo scorso.

La scelta di presentare un approfondimento all’interno di Cantiere del ’900 sul tema e sull’uso del colore in funzione plastica nasce dall’idea del curatore Francesco Tedeschi di seguire uno dei possibili percorsi che tracciano le peculiarità dell’arte italiana del Novecento. Un itinerario focale monotematico, quindi, che si lega all’idea di “cantiere” come luogo della ricerca, che miri a evidenziare gli aspetti più aperti e interessanti dell’arte degli ultimi decenni.

Il percorso non intende solamente valorizzare una tradizione del colore che può collegarsi alle vicende di un “colorismo” di cui la storia dell’arte medievale, rinascimentale e moderna, ci riporta molteplici esempi, ma di verificare un punto di incontro fra i valori della superficie e quelli del volume, le due direzioni nelle quali si è indirizzata la ricerca della costruzione di uno spazio visivo.

Usare la formula che identifica il “colore” con una “forma plastica” significa in primo luogo cercare di connettere le ragioni del colore nel suo carattere di luce, atmosfera, forma: passare, cioè, dal piano immediato, esteriore, a uno più complesso, dove il colore agisce in funzione anche spaziale, “plastica”, appunto. Vi possono essere due direzioni in cui ciò si manifesta. Una è il confronto diretto con la tridimensionalità, e quindi con un’aspirazione a considerare la presenza del colore per farla divenire “plastica” in senso quasi scultoreo. In questo senso si genera un dialogo o un confronto, che può anche rivestire i caratteri di uno “scontro”, fra pittura e scultura, intese in una concezione tradizionale o convenzionale, che può apparire superata in molta parte dell’arte del Novecento.

Un’altra via è quella che indica nella priorità del colore e nella sua assolutezza la possibilità di andare a coprire l’idea di plasticità, sostituendo la tridimensionalità e il volume reali con una tridimensionalità e un volume impliciti (o virtuali).

Al centro del percorso espositivo sono le posizioni esposte da Piero Dorazio e dal gruppo Forma 1, nato a Roma nel secondo dopoguerra, che ha dato un contributo a una forma di astrattismo fondato sulla qualità autonoma del colore nel costruire il quadro e lo spazio, e quelle degli artisti riunitisi negli anni Settanta nell’ambito della Pittura analitica, che esalta le qualità specifiche dei materiali pittorici.

Dorazio evidenzia la conquista del carattere autosignificante della superficie pittorica, il suo aspetto di spazio senza soluzione di continuità, costituito essenzialmente dal colore che lo genera, lo compone, lo attraversa, divenendo la ragione intrinseca di questo. In un suo scritto del 1962 parla di un colore “in grado di produrre sensazioni virtuali di spazio e movimento”, come un’opera quale il grande Serpente delle collezioni Intesa Sanpaolo mostra al massimo grado. Opere che scaturiscono, secondo quanto Dorazio indica e riconosce, da una possibile “tradizione” italiana, le cui radici vanno ricercate in quel modo di rendere indipendente il valore del colore-luce che dal Divisionismo di fine Ottocento-primo Novecento si traduce nelle posizioni sviluppate dal Futurismo.

Giacomo Balla è l’esponente più originale di una ricerca plastica che si definisce all’insegna della Ricostruzione futurista dell’universo, come recita il manifesto da lui sottoscritto con Fortunato Depero nel 1915. Nelle sue opere del primo dopoguerra, infatti, le attenzioni per i fenomeni luminosi, derivate anche dall’interesse iniziale per il Divisionismo, si combinano con suggestioni cromatico-astratte che danno luogo a sintesi come quella del dipinto delle collezioni Intesa Sanpaolo, Due palme alla luce. L’opera è un ottimo punto di partenza per una elaborazione del concetto di colore nel filone della sua connotazione plastica: in essa il colore si dà come irradiazione simmetrica, regolare, nella linea di un’astrazione che nasce dalla semplificazione formale di una realtà oggettiva, senza ridursi a esercizio decorativo.

Alberto Magnelli è tra gli artisti italiani meglio inseriti nel contesto internazionale del periodo fra le due guerre e tra i più sicuri interpreti di una “linea” del colore che risale a Matisse. Tra i momenti di più complessa interpretazione della sua opera si pongono certamente i dipinti che hanno per soggetto delle “pietre”, quasi una metafisica ripresa di arcaismo che spinge in direzione non-figurativa le sue composizioni degli anni Trenta. Quei dipinti possono sicuramente essere presi in considerazione anche per quanto riguarda una particolare aspirazione a fare della “scultura in pittura”, in quanto le forme di taglio irregolare, quasi schegge vaganti in uno spazio privo di gravità, immediatamente richiamano la loro ambigua materialità di “pietre” riportate alla sola consistenza pittorica.

Vicini a Dorazio nelle posizioni originarie di “Forma 1”, proseguono una loro indagine sul valore specifico del colore come materia del reale anche Giulio Turcato e Carla Accardi; le opere del percorso scelte a rappresentarli, del 1960 e del 1963, sono parte di un dialogo maturo con una visione unitaria di spazio tanto naturale quanto artificiale.
La tensione per una plasticità del colore non abbandonerà la loro ricerca, che in entrambi i casi condurrà alla realizzazione di “sculture di colore”, come in un certo senso può essere definita la Struttura lignea di Turcato, esemplare in cui l’artista pare dare conseguenza all’intuizione di una plasticità del colore di derivazione futurista.

Forme di sintesi di colore e spazio trovano altre legittimazioni presso gli aderenti allo Spazialismo. Tra questi, Tancredi è l’autore che più da vicino persegue un’idea di forma-colore, attraverso differenti soluzioni. Per lui la riduzione del colore a punto di luce, forma elementare che rimane come sospesa nello spazio della tela, per aggregarsi con le molteplici possibilità offerte dalla strutturazione del colore per pennellate, spatolate o altre modalità di stesure pittoriche, non nasce dal caso, per quanto il caso sia parte del procedimento, e dimostra le sue radici e le sue proiezioni. Il Senza titolo del 1955 costituisce una valida sintesi delle sue posizioni e della sua sensibilità, diretta a un’emozione visiva in cui la logica della struttura emerga naturalmente: “Vorrei fare dei quadri che fossero riproducibili solo nelle dimensioni e con gli stessi colori del dipinto (poco fotografabili), vorrei fare dei quadri che non impongano a nessuno di guardarli, ma che ciascuno desideri vedere il più possibile (niente choc)”.

Oltre quella stagione, legata alle proposte scaturite nella generazione di artisti attivi dalla seconda metà degli anni Quaranta, il tema di una dimensione plastico-spaziale del colore è enucleabile fra i caratteri della nuova pittura degli anni Settanta, quando le riflessioni analitiche sul “fare pittura” generano soluzioni che uniscono la “teoria sul fare” con la “concretezza del fare”. I diversi aspetti della materialità del dipingere – il colore, la superficie, la cornice stessa, oltre che lo spazio e il tempo occupati e impiegati nel costruire l’opera e dall’opera – sono i fattori di una creazione che vuole manifestarsi in una ascetica riduzione degli aspetti sensuali o sensoriali del dipingere. Pur avvicinandosi ai modelli e alle forme dell’astrazione “storica”, le opere dei protagonisti della cosiddetta “pittura analitica” si caratterizzano infatti per l’intenzione di fare del quadro una riflessione teorica interna alla nominazione dell’opera, attuando in questo un rapporto con l’arte concettuale.

Tra i passaggi di una scomposizione del processo pittorico, l’uso del colore come entità fisica che ha una validità indipendente dalla qualificazione del quadro vero e proprio, porta a riconoscere al colore una qualità “plastica”, di possibile presenza che si dispiega nello spazio e nel tempo.
Rappresenta in modo efficace una simile modalità di concretizzazione del colore Mario Nigro, autore che non partecipa di questa tendenza, ma che per certi versi la affianca, in opere come quella presentata nel percorso, Tre rossi. Corrisponde in altro modo a questa presenza discreta, ma solida, del colore, il procedimento adottato da Giorgio Griffa, che nei suoi lavori va individuando la necessità e la qualità espressiva della tela grezza, sulla quale il colore genera delle tracce elementari, che a un certo punto si interrompono.

Altri tre degli artisti che prendono parte alle principali esposizioni che affermano in Italia una pittura che riflette su se stessa sono Vittorio Matino, Claudio Olivieri e Valentino Vago. Diversamente, le opere scelte a rappresentarli testimoniano del senso e del modello di spazialità prodotta dal colore nel loro modo di concepire la pittura.

La concezione di uno spazio di colore-luce può diversamente proporre una soluzione alla totalità del colore-forma del Serpente di Dorazio, creando un riflesso dialettico della espansione orizzontale della superficie.

Vago e Olivieri per altre vie propongono una identificazione del colore con una superficie che respira in profondità e in un virtuale aggetto.

L’ultimo momento di cui si dà conto è quello di una ulteriore fase di riflessione attorno alla pittura e alla qualità fisica del colore. Tra gli autori che rappresentano questa ricerca è Ettore Spalletti, che mira a far divenire il colore una presenza sottile, diffusa nello spazio, che riesce a raccoglierne le luci e le vibrazioni, come sempre più farà nella qualità ambientale delle sue realizzazioni. Il Trittico che si presenta è già una concentrazione di caratteri cromatici che paiono definiti e risultano necessariamente relativi.

Infine, si può riconoscere una particolare tensione a generare una plasticità del colore e delle forme nelle opere di Domenico Bianchi e di Marco Tirelli, esponenti di una situazione emersa a Roma negli anni Ottanta, che, nella sua novità e originalità, si appoggia comunque su una tradizione nella quale la lezione della generazione dell’immediato secondo dopoguerra si può dire ancora presente, soprattutto in un giudizio formulato a distanza di qualche tempo da queste loro realizzazioni.

In occasione della mostra verranno proposte alcune attività collaterali gratuite, quali incontri con gli artisti, visite guidate nei week-end e itinerari didattici con laboratori espressivi per le scuole

Coordinamento Gallerie d'Italia - Palazzo Leoni Montanari
Elena Milan elena.milan@intesasanpaolo.com

Inaugurazione 25 settembre ore 18

Gallerie d’Italia - Palazzo Leoni Montanari
Contrà S.Corona, 25 36100 Vicenza
Da martedì a domenica dalle 10.00 alle 18.00 (ultimo ingresso 17.30)
ingresso gratuito.

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