Ceremony. Un lavoro inedito, in linea con una ricerca sull'uso e sulla definizione di luce, interpretata come momento di svelamento e di costruzione di senso, applicata soprattutto alla fotografia e al video.
a cura di Chiara Pirozzi
Mercoledì 25 marzo la galleria Dino Morra Arte Contemporanea, inaugurando la sua nuova sede espositiva all'interno del complesso ottocentesco dell'ex Lanificio in Porta Capuana, è lieta di presentare la mostra personale di Maziar Mokhtari dal titolo Ceremony, a cura di Chiara Pirozzi.
La poetica di Maziar Mokhtari (Isfahan, Iran, 1980) si offre attraverso le ricerche frutto di una compagine teorica ed esperienziale complessa, che migra costantemente tra l'identità del paese d'origine e gli anni di formazione in Italia, giungendo a una stratificazione di simboli e significati inediti, spunti di riflessione attivi nella comprensione di storie, città e società differenti. Il lavoro di Maziar Mokhtari si compone in prima istanza attraverso l'uso compositivo, luministico e tonale del colore, tipico della pittura intesa nel suo senso più classico, mai abbandonata dall'artista a partire dai suoi studi.
La mostra presenterà un lavoro inedito, in linea con una ricerca che l'artista sta conducendo da anni sull'uso e sulla definizione di luce, interpretata come momento di svelamento e di costruzione di senso, applicata soprattutto alla fotografia e al video che Maziar Mokhtari ha utilizzato per interpretare la sua città, Isfahan, e i suoi muri.
Ceremony è pensata quindi come installazione unica e immersiva, un luogo ricostruito dall'artista attraverso il colore steso su teli in plastica di uso industriale ed edilizio che invadono, aderiscono e definiscono le strutture a gli elementi architettonici della galleria. Lo spazio, così diversamente connotato di nuovo colore e di ricreata luce, si pone a limite tra ambiente interno ed esterno, nella creazione di un luogo mistico e di contemplazione solitaria o sede di comunione e scambio.
Il risultato è la costruzione di un luogo sacro ma al contempo precario, un luogo in cui ascoltare e celebrare, pronto ad accogliere e a costruire i suoi significati attraverso la relazione col pubblico.
All'interno di un luogo così riedificato di luce e di colore, l'artista pone una serie di elementi e oggetti ready-made manipolati e montati, altamente simbolici ma costantemente al limite tra la loro criptica interpretazione e il palese riferimento alla religiosità, alla storia occidentale e ai culti filosofici dell'antica Persia fino all'Iran contemporaneo. L'artista indaga la sfera femminile e quella maschile, l'individuo nella sua unità e dualità, i principi teorici e mitici che regolano all'origine culture differenti, attraverso un linguaggio simbolico fra tradizione, contemporaneità e cronaca.
Gli oggetti-simbolo inseriti nello spazio andranno a costruire un apparato armonico e ritmato di rimandi complessi provenienti dal vissuto dell'artista, dal suo vivere continuamente tra due culture dissimini, come sospeso regolarmente in un viaggio in progress, offrendo a chi osserva, penetrando in questo luogo di cerimonia, la possibilità di partecipare a un rito, costantemente attivato dalla luce, dal colore e dal pensiero interpretativo.
In Maziar Mokhtari la luce, intesa come elemento fondante della visione, diviene il denominatore comune da cui dare origine a una scrittura e a una successiva lettura dei luoghi e delle città che si attraversano o da cui abbiamo origine. Da questi assunti nasce il progetto Palimpsest (2010), in cui la luce forgia il colore giallo dei muri della città di Isfahan, città natale dell'artista, rappresentandone dei confini circolari e senza fine, il cui ritmo resta scandito dal movimento quotidiano della luce del sole. Il colore giallo è ancora fondante nel lavoro Yellow Apocalypse (2013), in cui l'artista crea una serie di fotografie, realizzate a partire dalla ricostruzione di set scenografici in luoghi aperti nella città di Isfahan. Nell'interpretazione di un'apocalisse come svelamento di verità fin ora celate, Maziar Mokhtari addossa ad architetture ritrovate nella città assemblaggi dalla forte connotazione identificativa della cultura e dei riti della popolazione iraniana, creando in questo modo composizioni affascinanti e sospese tra la realtà e l'immaginazione, ma sempre caratterizzate dal colore giallo, capace di cancellare i dettagli ma di svelarne di nuovi.
Inaugurazione 25 marzo ore 19
Dino Morra Arte Contemporanea
vico Belledonne a Chiaia, 6 Napoli
mar-ven 10-12.30 e 16-19, sab 10-13, lun e dom chiuso
ingresso libero