Ex-casa Cipelletti
Milano
via Anfiteatro, 9

Tarek Abbar / Aldo Mondino
dal 6/4/2015 al 20/4/2015
7 - 12 aprile: 9.30-19.30; 13 - 21 aprile: 9.30-12
WEB
Segnalato da

Archivio Aldo Mondino




 
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6/4/2015

Tarek Abbar / Aldo Mondino

Ex-casa Cipelletti, Milano

Case Chiuse #02. Sono esposte lavori su carta di grandi dimensioni realizzate da Mondino nel 1961: il primo periodo parigino dell'artista. Le opere di Abbar costituiscono la cartografia del suo progetto fantapolitico Zato.


comunicato stampa

a cura di Paola Clerico

Le opere di Aldo Mondino (Torino, 1938-2005) in mostra in via Anfiteatro sono state realizzate nel 1961 e appartengono al primo periodo parigino dell’artista. Sono lavori su carta di grandi dimensioni, ricchi di colore e movimento, in cui si risente ancora l’eco dell’estetica surrealista – in particolare l’influenza di Tancredi di cui Aldo era assistente. Queste opere giovanili costituiscono il preludio delle Tavole Anatomiche, presentate nel ’63 alla Galleria il Punto di Torino.

Le Tavole Anatomich e sono per Mondino metafore della crisi della società contemporanea, descritta mediante gli organi del corpo umano; una sorta di mappatura interna dell’organismo ottenuta attraverso un groviglio di rapide pennellate colorate, dalle vibranti tonalità. È in questi primi lavori che Mondino inizia a tradurre concetti astratti in simboli tangibili. Estraneo a qualsiasi intento pedagogico, mai dogmatico o ideologico, Mondino, fin dagli inizi degli anni ’60, coniuga la serietà dell’impegno politico e l’intenzione eversiva con la leggerezza del gioco e dell’ironia. Agisce sempre in totale libertà, ma con meditata consapevolezza, mosso dal profondo desiderio intellettuale di far emergere la verità.

Anche i lavori di Tarek Abbar (Madrid, 1976) sono disegni su carta di grandi dimensioni e costituiscono la cartografia del suo progetto fantapolitico ZATO. Mappe tracciate con un minuzioso e ossessivo tratto d’inchiostro nero, alternato ad alcune macchie di colore rosso, in cui edifici ed elementi paesaggistici non identificabili si ripetono e si moltiplicano all’infinito. Come le tavole di Mondino, si tratta di “opere prime”, poiché qui presentate al pubblico per la prima volta. ZATO è una sigla russa, abbreviazione di “Closed Administrative Territorial Formations”, usata per identificare città segrete sovietiche, centri di ricerche spaziali e luoghi di fabbricazione di armi biologiche, chimiche e nucleari; abitati senza nome, rintracciabili sulle mappe soltanto con il numero di chilometri che le distanziava da una città vicina.

Tarek Abbar inserisce il gioco e ribalta la storia catapultandoci in un tempo non determinato in cui il Giappone, anziché aprirsi all’Occidente, stringe relazioni politiche e commerciali con la Russia. Assorbito dall’Unione Sovietica e sotto la sua sfera d’influenza, l’arcipelago giapponese si trasforma in un concentrato di ZATO e collettivi industriali: le mappe urbane di Abbar testimoniano quest’immaginaria epoca Edo-Real-Socialista. In questi deliranti paesaggi metropolitani, realizzati in stile Yamato-e e privi di reali riferimenti geografici, l’alternanza straniante di prospettive aeree e frontali falsa le distanze e confonde la certezza della visione.

Le opere di Aldo Mondino e di Tarek Abbar, seppur formalmente molto diverse, s’incontrano e si compenetrano in via Anfiteatro nei comuni presupposti concettuali che sottendono le loro rispettive ricerche: la seria e profonda osservazione della realtà; l’amore per il viaggio inteso come ricerca dell’altrove; l’impegno politico stemperato dall’approccio ludico e dalla sottile ironia; lo sguardo puro che accoglie lo stupore e la meraviglia – tutto ciò che, sintetizzando, può essere definito come arricchimento attraverso l’immaginazione. Osservando le tavole anatomiche di Mondino e le mappe immaginarie di Abbar, non ho potuto fare a meno di pensare a Flatlandia di Edwin Abbott Abbott.

Di un simile arricchimento per mezzo della fantasia e dell’immaginazione ci parla il reverendo Abbott, che descrive Flatlandia come uno Stato abitato soltanto da figure geometriche piatte: rette, triangoli, quadrati e poligoni che si muovono su un piano bidimensionale e vivono rigidamente ordinati in una soffocante struttura. Non possono nemmeno concepire la terza dimensione né sono in grado di ampliare la propria prospettiva di visione della realtà. Flatlandia è pertanto la metafora della piattezza e del rigore della struttura sociale vittoriana, raccontata con magistrale ironia.

Anche i paesaggi urbani di Abbar ci raccontano una piattezza, una bidimensionalità che rimanda al tradizionale stile pittorico giapponese Yamato-e. Eppure, per contrasto, essi evocano la tridimensionalità delle nostre città, la complessità del mondo che ci circonda, la profondità di un’invenzione ben studiata e calibrata. Allo stesso modo, le piatte Tavole anatomiche di Mondino alludono al movimento e alla pluri-dimensionalità delle nostre emozioni – alla stereoscopica conformazione del nostro mondo interiore.

Come Abbott, anche Abbar e Mondino criticano con ironia. Tarek deforma la visione della nostra realtà attraverso una favola fanta-politica; Mondino, miope per tutta la vita, non metterà mai gli occhiali. Attraverso i loro lavori – e la carica immaginifica di uno sguardo “altro” – ci consentono di sognare, di accedere a una straordinaria visione. E, per moltiplicare ulteriormente questa visione, ho chiesto a Federico Florian di scrivere un racconto – una storia sull’incontro di Abbar e Mondino nella Casa Chiusa di via Anfiteatro.
Paola Clerico

Case Chiuse#02 è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Aldo Mondino, Milano
Si ringrazia Luceplan per la sponsorizzazione tecnica

Opening: 7 aprile 2015

7 e 12 aprile 2015 dalle 10 alle 20
13 – 21 aprile 2015 dalle 9.30 alle 12

Ex-casa Cipelletti
via Anfiteatro, 9 20121 Milano
8-11 aprile 9.30 – 19.30

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dal 6/4/2015 al 20/4/2015

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