Andrea Jemolo, Franco Mapelli e Silvia Massotti, attento 'ritrattista' dell'architettura antica e moderna il primo, fotografo urbano' di grande qualita' il secondo, paziente ricercatrice la terza di dettagli, 'inquadrature', contrasti, della topografia archeologica della capitale.
Fotografie di Silvia Massotti, Andrea Jemolo, Franco Mapelli
Inaugurazione 5 aprile 2004 Ore 18.30
Andrea Jemolo, Franco Mapelli e Silvia Massotti, attento “ritrattista†dell’architettura antica e moderna il primo, fotografo “urbano†di grande qualità il secondo, paziente ricercatrice la terza di dettagli, “inquadratureâ€, contrasti, della topografia archeologica della capitale.
Del lavoro di Jemolo, capace appunto di “dare vita†con i suoi ritratti alle pietre delle statue romane come a quelle degli edifici, colpiscono da un lato la capacità di astrazione, che fa di ogni visione un’immagine compiuta e perfetta, potente quanto la somma di tutte le immagini dell’edificio, e dall’altro una sensibilità che sembra consentirgli di guardare sempre l’edificio con l’occhio dell’autore, sia esso Giulio Romano o Richard Meier, riscoprendone i significati più importanti e mettendone in luce visioni e prospettive cruciali.
I temi di Jemolo e della Massotti solo in apparenza si sfiorano e si sovrappongono lungo i percorsi dell’archeologia e dei monumenti moderni romani. Le inquadrature della fotografa romana non sono piene e compiute come quelle di Jemolo, attento alla scelta della “distanza critica†da cui osservare il quadro architettonico. La Massotti, invece, sceglie sempre un punto più lontano o più vicino: si avvicina per esaltare con durezza il senso del particolare, più o meno archeologico, o si allontana per rivelare il quadro scombinato e contraddittorio della città , dove spesso il soggetto è nascosto alla vista da baracchette, cartelloni pubblicitari, edifici impropri di vario genere. Da un lato le foto dell’Acquario, del Foro, delle Terme di Caracalla, dei “muri†romani, dall’altra le immagini delle Poste di piazza Bologna, dell’Auditorium, della stazione Termini.
Tutt’altri obiettivi caratterizzano invece il lavoro di Franco Mapelli, che al fascino “tecnico†o estetizzante dell’edificio preferisce evidentemente il paesaggio urbano, la discontinuità , l’impossibile percorso intorno alla massa edilizia della città . Due cose appaiono interessanti nel suo lavoro: la prima dipende dal fatto che comincia a rimediare ad uno strano ritardo che i fotografi romani hanno accumulato sui temi della condizione urbana contemporanea, a lungo preceduti dai loro colleghi attivi a Milano, a Genova, a Napoli, o lungo le interminabili città lineari nazionali. La seconda è l’utopia concettuale del viaggio intorno a Roma che sembra sottendere al suo lavoro, come se fosse ancora possibile guardare “da fuori†i margini della città , individuarne i limiti, cogliere il chilometro fuggente in cui il raccordo anulare sembra trasformarsi per un momento nel vero confine all’interno del quale è contenuto l’abitato urbano.
(P.Ciorra)
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