Franco Dallegri
Daniela Traverso
Anja Tognola
Gianni Bucher
Mario Agrifoglio
Flavia Motolese
Marta Marin
Elena Colombo
Andrea Rossetti
Franco Dallegri in 'Armonie geometriche'; Daniela Traverso in 'La luce infrange il buio'; Anja Tognola in 'Pop Ups'; Mario Agrifoglio in 'Black Light e Bauhaus' e Gianni Bucher in 'Forma essenza'.
Franco Dallegri
Armonie geometriche
a cura di Flavia Motolese
Per Franco Dallegri fare arte è una sfida a misurarsi con se stessi, con i risultati raggiunti e con i modelli precostituiti. Lo studio e la sperimentazione sono alla base del suo modo di operare: ogni ciclo di opere segna una tappa, un passaggio da oltrepassare all’interno di un percorso artistico-personale in continua evoluzione. Le opere prodotte nell’ultimo anno sanciscono il definitivo passaggio dall’acquerello ad altre tecniche come l’olio e le tecniche miste con smalti, a cui l’artista ha accompagnato il distacco da una chiara matrice figurativa, attraverso un processo progressivo di analisi e sintesi sfociati in esiti di pura astrazione. Elementi cardine rimangono il colore, la costruzione spazio/prospettica della superficie pittorica, le geometrie. Pur spaziando in una varietà di tecniche diverse, l’artista dimostra una totale coerenza di intenti: svincolarsi da una rappresentazione realistica per raggiungere un’oggettivazione dei caratteri essenziali mediante una più marcata astrazione.
L’immagine raffigurata rivela un’urgenza di contenuto e di forma, perché l’aspirazione è ricreare la realtà oltre l’apparenza del mondo esterno e le leggi immutabili che ne costituiscono la struttura fondante. Compie un’operazione di scarnificazione del reale, ricorrendo alla frammentazione o alla semplificazione dei soggetti, per mostrare non l’apparenza, ma la percezione di essa. Quando indugia su residui di forme o lascia riferimenti riconoscibili del dato reale, enfatizza, viceversa, la trasfigurazione soggettiva che opera in senso espressivo. La figura viene concepita come fatto plastico, da qui il paesaggio come tema ricorrente dei suoi lavori: case, tetti, agglomerati urbani vengono prediletti, in quanto elementi ideali da comporre per rendere l’equilibrio e l’armonia dell’insieme.
Dallegri impronta le sue ricerche ad una grande concisione lineare, elaborando uno stile peculiare fatto di scarti tonali, complesse costruzioni prospettiche, figure dal rigore geometrico. In alcune opere, la collocazione di figure in spazi indefiniti e decontestualizzanti o la destrutturazione delle forme fino al limite dell’incorporeità, inseriscono un senso di sospensione metafisica. I giochi di interazioni cromatiche approfondiscono le possibilità espressive del colore inteso come elemento figurativo autonomo e nascono dal desiderio di spingere al limite di rottura il dato naturalistico per riscoprirne i nessi e i rapporti più intimi. Dallegri, pur influenzato dal Cubismo, dalla Metafisica, dall’Astrattismo ha il grande pregio di essere approdato ad esiti personali che denotano una conoscenza profonda della materia pittorica ed un’interpretazione consapevole e meditata, carica di grande lirismo e frutto di introspezione.
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Daniela Traverso
La luce infrange il buio
a cura di Marta Marin
Daniela Traverso indaga le inquietudini della post-modernità portando alle estreme conseguenze i cardini fondamentali che “fanno da cerniera” alla nostra società. Mostrando il lato nascosto dietro alle apparenze, l’artista strappa le maschere che costringono la figura femminile nello stereotipo della muta bellezza per restituire voce e presenza al corpo, insieme di fisicità e simbolismo emotivo. Così la bocca diventa smisurata ferita, chiusa e riaperta da denti metallici, inserita fuori dai contorni e quasi giustapposta a proporzioni che sono costantemente sfalsate, sia dalle prospettive schiacciate sia dalla scelta di colori innaturali. Che si tratti di pittura o di fotografia, le tinte sono sempre esacerbate: acrilici tumefatti alla Lucien Freud o stampe su alluminio che rendono l’immagine brillante.
Ci si trova di fronte all’anatomia essenziale eppure esagerata impiegata da Hajime Isayama nel ritrarre l’interiorità come parto spaventoso. Allo stesso tempo però ci si muove su un altro asse interpretativo, quello della rapidità. Sono le “Blurred Faces” di Alice Baxter o le nudità sfocate nell’artwork dell’album “Meds” dei Placebo; sono grida che danno l’idea del ritmo mentre i volti si scompongono perdendo e acquisendo particolari da assemblare in una sorta di segnaletica cubista, poliziesca ma anche ascientifica. È un approccio degno dei film d’avanguardia, laddove è l’ondeggiare dei contorni a farli risaltare sugli sfondi neutri di uno spazio desolante: la scelta del bianco e nero, i toni sporchi di un’ipotetica parete richiamano a un quotidiano universale. E viceversa la saturazione delle sequenze crea una metamorfosi kafkiana e glam in cui il Joker incontra Alice Cooper; l’allungamento entomologico simula la contemporaneità delle espressioni e i rossetti sbavati denunciano la violenza di un travestimento lacerato. (Testo critico di Elena Colombo).
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Anja Tognola
Pop Ups
a cura di Elena Colombo
Le creature di Anja Tognola non sono “selvagge” ma piuttosto provenienti da un mondo di sogni diafani, da quella terra di confine che genera l’inquietudine nei racconti per bambini. Sono illustrazioni, semplici, gatti che discendono direttamente da quelli che Marc Chagall faceva affacciare sui tetti di Parigi. È la declinazione del naif più vicina al Pop Surrealism e alla sua genesi fiamminga. Si ritrova così il mondo stilizzato e deformato di David Basement anche se, come cantavano gli Afterhours “Orchi e streghe sono soli”, e dunque qui l’irriverenza sovraffollata del Super-flat si annulla fino a diventare essenza, o un contrappunto di presenze e di assenze che ha la sua similitudine più prossima negli sfondi desolati delle immagini di Paul Barnes. S’intuisce sempre l’accordo tra schizzo infantile e uso pieno del colore come cifra fondamentale della forma; tra elemento umano ed elemento animale antropomorfo. Le scelte sono prevalentemente sfumate, tendenti al monocromo per favorire l’irruzione visiva di un complementare forte che focalizzi la narrazione sull’inaspettato fino a cancellare il consueto allo sguardo. E quindi, secondo questa logica e seguendo certe scuole di disegno, l’artista è una mascotte che entra in prima persona nelle proprie opere rappresentandosi come pupazzo tra i pupazzi, o facendo in modo che i personaggi nascano gli uni dagli altri, emergendo da scenari neutri di astrazione e mostrando così il lato interiore dell’Ego. Pur partendo da tutti questi punti di riferimento e richiamandone ancora altri (la tenerezza del coniglietto di “Usagi Drop” che diventa coccinella e poi fiocco solo per incontrare un altro solitario coniglio), l’autrice giunge a una sintesi nuova, a un bestiario personale che fonde il conosciuto plasmando il fantastico, grazie al principio per cui ogni invenzione è in realtà frutto dell’assemblaggio di parti derivate da qualcosa di noto.
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Mario Agrifoglio
Black Light e Bauhaus
a cura di Flavia Motolese
Andare oltre le apparenze, potrebbe essere questo il messaggio di Mario Agrifoglio. Artista innovatore e geniale che ha dedicato alla ricerca e alla sperimentazione tutta la sua vita; una personalità rara che si è discostata da ogni assunto preordinato in materia artistica per trovare la sua personale via nella concezione stessa che sta alla base del fare Arte. Una profonda indagine del reale e dell’insieme di regole che dominano la cultura occidentale l’ha spinto a elaborare e sottoscrivere nel 1976 il “Manifesto del Compensazionismo” con cui ridefinì la concezione della realtà. Una teoria complessa, in antitesi con l’ideologia monoteista imperante, che afferma l’esistenza di due entità fondanti con caratteristiche opposte, il caldo puro e il freddo puro, dalla cui fusione è stato generato l’universo. La sua pittura è l’oggettivazione di questo pensiero, ogni dipinto di Agrifoglio, anche se in scala e limitato, è la dimostrazione della compresenza della luce bianca calda e della luce nera fredda che, unendosi, generano la varietà della realtà. Desideroso di trovare un linguaggio espressivo che rispondesse alla sua urgenza di andare oltre una pittura fine a se stessa, basata sulla convenzionalità della raffigurazione realistica, approda ad una pittura che trova una soluzione di continuità tra la fenomenologia del sensibile, la componente estetica e quella contenutistica. L’artista pone al centro del suo sistema il colore come entità autonoma in grado di definire armonicamente lo spazio e di creare luce. Traendo spunti dalle ricerche visive e ottiche dei costruttivisti e della Bauhaus e grazie ad uno studio approfondito delle teorie del colore e della fisica della luce, lavora sul rapporto spazio-forma, colore-luce. L’utilizzo di esposizione a luce nera, quale parte integrante dell’ideazione e della fruizione delle opere pittoriche, è conseguenza diretta delle sue elaborazioni teoriche. Ad una prima fase sperimentale in cui la resa di materiali luminescenti e fosforescenti era casuale, è seguita una fase in cui Agrifoglio ha dominato pienamente le variazioni cromatiche e il metamerismo. L’esaltazione del difetto metamerico non persegue, attraverso dialettiche cromatiche, fini estetici, ma è una dichiarazione d’intenti: impegno nella ricerca, distanza da posizioni statiche, superate, che permettano la riproducibilità. Le opere di Agrifoglio sono la raffigurazione dell’armonia del tutto, pure forme geometriche definite dai rapporti del potenziale elettromagnetico del colore. La sublimazione dello spazio reale attraverso figurazioni essenziali è strettamente correlata alla ricerca del fondamento insito in tutte le cose e restituisce un’interpretazione inedita delle infinite possibilità e combinazioni che decodificano l’interiorità e l’esteriorità.
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Gianni Bucher
Forma essenza
a cura di Andrea Rossetti
L'essenzialità, evento a sé prima che definizione d'ordine strutturale. In assoluto è questa l'abilità più evidente incarnata dall'opera di Gianni Bucher, la chiave di un metodo plastico incentrato sull'attenta determinazione dei suoi vincoli linea/volume, in cui nulla dovrà essere di troppo o alterazione fuori tempo; in cui ognuno di quei vincoli avrà assunto un'invidiabile finalità estetica solamente dopo esser stato “funzione ammortizzante” nell'impatto fisico con la materia, dato che il ruolo dello scultore nell'opera di Bucher rimane tutt'ora ancorato ad una pratica di tradizione classico-artigianale. In cui tutto entrerà costantemente a far parte della sua logica essenziale. Essenziale come lo è la sua sostanza, il legno, tra i fondamentali della tradizione plastica nostrana, per Bucher in particolare una sorta di acme creativo, un punto di definizione animata interno alla sua ricerca artistica. Penetrare, scalfire con tocchi leggeri e direzionati, levigare fino ad annullarne ogni asperità. Portare il pezzo di legno ad assumere una forma concettuale autonoma, legata con più verosimiglianza possibile alla sfera dei sentimenti, preparata a concepire quel peso espressivo-dinamico che in modo del tutto autonomo le conferisce coscienza dello spazio. Decretata l'opera, il suo essere - inteso come presenza in un determinato “qui e ora” - sarà perciò sempre contingentato ad un'assenza di oggettività nei confronti del mondo reale. Assenza che prende proporzioni ancor più determinanti se, come per Bucher, nel corso della propria carriera si è perseguito un costante processo di semplificazione figurativa, mettendo a stecchetto il proprio fabbisogno formale, alimentando al contempo - anche attraverso l'utilizzo del legno - la misura volumetrica del proprio “fare scultura”. Non implicando prodotti nati per necessità mimetica, “fare scultura” in Bucher continuerà immancabilmente a configurare un atto puro, aperto, libero dalla più minima ingerenza del suo circondario sociale. Un ideale aspirazione, una certa descrizione fatta di curve, rette e spigoli affilati. Il rimpatrio di una semplicità oggettiva, capace di rapportarsi alla materia in maniera del tutto spontanea, e di esistere nell'infinità dello spazio con lo stessa tesa rilassatezza di Brancusi
Inaugurazione sabato 18 aprile ore 17
Associazione Culturale Satura
piazza Stella, 5/1 Genova
mar-ven 9.30-12.30 e 15-19; sab 15-19
ingresso libero