Spazio Danseei echi darte
Olgiate Olona (VA)
via Oriani, 62
0331 640369 FAX 0331 640369

Alessio Larocchi
dal 18/9/2015 al 16/10/2015
ven-sab 16-19

Segnalato da

Fermo Stucchi



approfondimenti

Alessio Larocchi



 
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18/9/2015

Alessio Larocchi

Spazio Danseei echi darte, Olgiate Olona (VA)

L'invisibile Artista. Larocchi riprende i concetti di serialita' e di ripetizione ossessiva, in cui ogni intento rappresentativo e' scongiurato, attraverso un segno volutamente svuotato di significato.


comunicato stampa

L’artista non è più qui / L’artista è assente

Testo di Manuela Ciriacono

Può risultare un po’ complicato parlare di qualcosa (o di qualcuno) che non c’è, che non esiste, che non si palesa. La difficoltà che provo io di fronte a questa pagina bianca, tuttavia, credo abbia qualcosa a che fare con ciò che Alessio Larocchi sta cercando di dirci. In qualche modo il vuoto, infatti, ci destabilizza; l’assenza, come la morte, è qualcosa di cui non amiamo parlare. Potremmo considerarlo un nuovo “horror vacui” quello che vive oggi la nostra società: paura della privazione, della negazione, della solitudine, a cui tentiamo di porre rimedio circondandoci del sovrabbondante ed ostentando (se non recitando) il più possibile una vita piena di “solo cose belle” che ci piace raccontare per immagini, altrettanto belle, spesso falsamente belle, da condividere sulle bacheche dei nostri social network.

Annaspiamo, dunque, in un oceano di immagini, di foto-ricordo, di selfie, in cui ognuno è attore e regista, in cui un unico imperativo prevale su tutti: l’affermazione del Sé, l’autocompiacimento, uno schizofrenico narcisismo. Se dunque il Bello si è tramutato in ossessione quotidiana che permea le nostre vite, quanto e come la dimensione estetica può ancora sopravvivere, senza risultare ridondante, nell’espressione artistica? In questi termini dunque è da comprendere l’ “obiezione di coscienza” a cui Larocchi si appella, tentando l’operazione più estrema: essere artista negandone al contempo la possibilità, rinunciando all’espressione di sé, sovvertendo le consuete modalità e tecniche artistiche, per scindere l’Arte dalla finalità estetica che da sempre la caratterizza ed osservare cosa resta aldilà delle mere categorie di Bello e Brutto. Cosa ne è dell’artista che rinuncia al proprio apparato pensante ed emotivo, che opera un’auto-castrazione di ogni slancio espressionista, di ogni impulso narrativo e vagamente autobiografico, un artista che mortifica le proprie capacità manuali e disegnative per comportarsi come un automa? Potremmo pensare che la corrente minimalista già percorse questa strada, proponendo una pittura impersonale, di carattere oggettuale, che negava la soggettività dell'artista, senza rinunciare però del tutto alla contemplazione delle forme e dei colori e quindi ancora una volta favorendo l’identificazione emotiva con il fruitore. Larocchi guarda piuttosto a Alighiero & Boetti che con la sua opera mise in discussione il ruolo tradizionale dell’artista, arrivando a storpiare e sdoppiare il proprio nome per ingannare il fruitore circa la paternità dell’opera. Ne riprende i concetti di serialità e di ripetizione ossessiva nei suoi “cartamodelli di piccola casa”, in cui ogni intento rappresentativo è scongiurato, attraverso un segno volutamente svuotato di significato.

Se Boetti fu reso celebre dalle sue carte geografiche, Larocchi propone la mappatura bidimensionale di un vuoto cosmico (esteriore o interiore?), privo di confini e coordinate, che proiettano l’osservatore in una dimensione di sospensione e di disorientamento. L’esercizio masochistico a cui Larocchi si costringe è quello della ripetizione maniacale di un modulo (pietra, cellula, forma geometrica semplice...), apparentemente privata di qualsivoglia progettualità formale o indotta da alcun automatismo psichico. Ricorda, piuttosto, una pratica zen, l’esecuzione di una sorta di mandala attraverso cui l’artista tenta una radicale separazione tra ciò che la mano compie e ciò che la mente e il cuore suggeriscono, riducendo la sua abilità artistica ad uno sterile e meccanico tecnicismo. Tra le maglie di questa fitta trama Larocchi inserisce giochi da settimana enigmistica, con cui ulteriormente svilisce e provoca la Coscienza dell’Artista. Quello che Larocchi mette in atto è un progressivo degrado del fare artistico, costringendo la propria manualità ad esercizio pedestre (come quello di formare figure collegando i puntini...) o addirittura, nei suoi libri d’artista, imbastendo una serie di esercizi per “Disimparare a disegnare”. Larocchi fa tabula rasa e riparte da zero. Di fronte alla constatazione di un sistema dell’Arte sempre più artefatto, Larocchi afferma l’inutilità dell’Artista di operare in termini estetici e la necessità di trasferire il proprio “mandato” su un piano diverso: quello Etico. Se tutto è già stato detto, se l’estetizzazione delle nostre vite e dell’arte contemporanea è giunta ormai al punto massimo di saturazione, l’artista ha il compito di svelare al pubblico l’inganno finora perpetrato da parte di un’Arte che ha sedotto i nostri sensi ma ha distrutto qualsiasi capacità critica.

Occorre dunque attuare delle “strategie di raffreddamento”, così come le definisce lui, per ristabilire la giusta distanza emotiva, ri-educare l’occhio, disintossicarlo dagli eccessi, ripartendo dal bianco, dal non armonico, dallo stridente. Guardare meno con gli occhi e di più con la mente, disattivare dinamiche emozionali e puramente retiniche ed attivare altre facoltà intellettive. Forse così in futuro saremo di nuovo liberi di vedere davvero, di osservare, di leggere un’opera d’arte, senza subire passivamente un Gusto imposto e socialmente condiviso. Larocchi propone un’arte del tutto anaffettiva, anestetizzata, fredda e pungente, che ci irrita e ci indispettisce, ma che non si esaurisce in uno sguardo ed è finalizzata a compiere una ben più grande, e forse al primo impatto incomprensibile, missione d’amore per il prossimo: l’artista si fa da parte, sacrifica sé stesso, per liberarci dai nostri errori di senso e di giudizio. L’artista c’è, ma non si vede. Ci offre in dono la possibilità di guardare con occhi nuovi, di conquistare uno sguardo consapevole e addestrato per saper vedere l’invisibile.
Manuela Ciriacono

Inaugurazione 19 settembre

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