Nella recente produzione dell'artista il Tempo e il suo incessante procedere sono il risultato di richiami persistenti che avviano un sistema di segni concentrici articolati.
Venerdì 13 novembre ad Agropoli (SA) nella Galleria Luogo d’arte Carmine Pandolfi, alle 19.30 sarà inaugurata la personale Marco Vecchio. Nella recente produzione dell’artista pestano il Tempo e il suo incessante procedere sono il risultato di un estenuato mondo di sogni ricorrenti, di richiami persistenti che avviano, in un crescendo di colori, un sistema di segni concentrici articolati in stretto e reciproco rapporto l’uno con l’altro. Ogni elemento, ogni traccia, ogni segno sono legati indissolubilmente tra loro. La rete di rimandi dispiega un complesso sistema di “figure” che si struttura in un articolato “sistema concentrico nel cui nucleo si trovano i sistemi segnici più codificati, mentre a misura che ci si avvicina alla periferia si assiste ad una progressiva perdita di codificazione”.
Ciò giustifica quanto afferma V. V. Ivanov quando afferma che “in questo sistema di sistemi che si basa, in ultima analisi, sulla lingua naturale (proprio questo si intende con l’espressione ‘sistemi modellizzanti secondari’, i quali si contrappongono al ‘sistema primario’, vale a dire alla lingua naturale), la cultura può essere considerata una gerarchia di sistemi semiotici correlati a due a due. Tale correlazione tra sistemi semiotici si realizza, in gran parte, attraverso la co-relazione con il sistema della lingua naturale” (Cfr. V. V. Ivanov et al., Tesi sullo studio semiotico della cultura, Pratiche, Parma, 1980, p. 61 ). In Marco Vecchio, come è facile intuire, la lingua naturale, e tutto ciò che ne consegue, è data dal costante riferimento alle avanguardie del primo Novecento, soprattutto russa, e su tutti: Kandinsky e Chagall. Da questi ultimi Vecchio mutua la sognante “rappresentazione” di un mondo fantasioso, libero da qualsiasi legame con la realtà. Se però per Kandinsky e Chagall il sogno nasceva dalla volontà di liberarsi da qualsiasi impaccio accademico e si muoveva verso la costante ricerca di individuare le consonanze interne tra l’io e il mondo, nell’artista pestano, consapevole che, nella nostra epoca, la superfetazione dei codici e l’abbondanza dei circuiti comunicativi hanno reso quanto mai problematico qualsiasi possibile mediazione, lo spinge a superare la soglia della propria coscienza infelice al fine di cogliere, nel segreto della propria interiorità, la geometria delle proprie passioni, la simmetria tra il sé e l’altro da sé in un sistema di insiemi infiniti che, secondo Matte Blanco, sono alla base del nostro inconscio. Da qui le sue visioni frammentate, il suo fantasioso mondo costituito da legami tra le varie figure: quest’ultime sono il naturale sviluppo dell’inconscio, la sua produzione più spontanea in cui, con una strategia da boomerang, realtà e sogno coincidono implodendo in un duale rapporto indissolubile come segno di evasione e liberazione. Il maggiore contributo per questo perseguito viaggio all’interno degli insiemi infiniti è dato, da un lato, dal colore e, dall’altro, dalle ragioni che sottendono all’impalcatura della composizione. Se si analizza, ad esempio, l’opera Posedonia (2012) si nota subito l’affastellarsi di richiami. L’intera scena visiva è dominata da templi, onde, pesci, statue. Immediato è il richiamo alla realtà oggettiva. Tutto sembra riportarci al sito archeologico pestano per cui ogni immagine si annoda indissolubilmente all’altra in un sistema di segni vitali, anche se essenzializzati. Superato il primo impatto, l’attenzione dello spettatore è calamitata dall’evanescente verde del profilo enigmatico di un uomo, che campeggia in alto al centro del quadro accanto al tempio.
L’immagine dell’uomo altro non è che una proiezione deittica dell’inconscio: da un lato serve a dare equilibrio alla composizione e ad attenuare, in parte, la vibrazione dei colori sottostanti e, dall’altro, ha una funzione di stabilizzazione con il mondo esterno attraverso la ritmata cadenza dei blu, verdi, rossi; bianchi che, in successione, diventano delle partiture musicali, emblematici segni di una ricorrente narrazione. Tanto è presente anche in altri lavori, soprattutto nella serie dei funamboli che occupano l’intera superficie del quadro in un crescente richiamo di linee-tracce geometriche, sottolineate dall’utilizzo del contrasto cromatico: un contrasto che si dispiega come un vortice intorno alla figura centrale. Quest’ultima, sospesa in un mare di colori, sembra attraversare la scena come in sogno. Ciò spiega la non definizione dei suoi tratti somatici. La silhouette è come un’ombra, appena delineata; una sognante e vagante e sospesa trasfigurazione che richiama alla memoria le fughe aeree delle immagini chagalliane, anche se è ben diverso l’impianto cromatico. In Chagall i colori sono stemperati in una gradualità di impasti che non sono presenti nei lavori di Marco Vecchio. Le sue soluzioni coloristiche sono tutte interne ai colori primari e ad alcuni secondari. Sono utilizzati nella loro dimensione percettiva per dare ritmo e vitalità ed energia alla composizione. Gli basta un segno, un colore per donarci le sue giuste plurivalenze interiori. Da qui gli squillanti gialli, le marcature blu notte, gli accesi rossi o, in alcuni casi, l’accentuazione di tracce dorate che scandiscono il passaggio da un colore a un altro in un crescendo di vibrazioni volti a scandire il passaggio da una emozione a un’altra. Il colore maggiormente utilizzato dall’artista pestano è il blu: un blu disteso, variegato di puntini bianchi che sembrano tante stelline disperse nel blu scuro di una notte d’estate.
È quanto accade in Misura del tempo (2013), dove l’artista ci fa vivere, proiettandoci, in un universo sognante che ci permette di entrare in sintonia con l’universo. Questi tratti predominanti del suo lavoro alimentano in noi la febbre della conoscenza e ci consentono di penetrare nei recessi infiniti del suo essere, teso a ricomporre non l’infranto della storia ma l’estasi ineffabile del sacrum silentium alla ricerca di ciò che manca alla nostra coscienza. Tale direzione ci fa comprendere che le visionarie e frammentate immaginazioni di Marco Vecchio nascono da un sapere critico, consapevole che “l’idea del progresso” non risiede in “un sapere lineare e cumulativo” ma in una diversa concezione del tempo: “il tempo ripetizione dell’inconscio, della memoria involontaria, dell’immagine dialettica di Benjamin”, unica via possibile per dare misura e forza al proprio futuro.
Gerardo Pedicini
Inaugurazione 13 novembre ore 19.30
Luogo d'arte Carmine Pandolfi
via Picasso, 4 Agropoli
da lunedì a sabato ore 9.00-13 e 16.00-20.00, domenica dalle ore 9.00-13.00
ingresso libero