Negli ultimi disegni di Antonella Ortelli, e nel suo lavoro di questi anni, colpisce il fatto che il disegno, in una dinamica pienamente consapevole del proprio retaggio poetico e teorico (da Carla Lonzi a Lygia Clark), l’atto del tracciare un segno non ha altro fine che il proprio darsi e non e' subordinato ad un’altra espressione, ad una trasmissione o ad una conservazione di senso.
Dimmi Quanto
a cura di Giorgio Zanchetti
Inaugurazione: Martedì 5 Ottobre 2004 alle ore 18,30
Di solito quando si pensa al disegno, in senso tradizionale, si pensa a qualcosa che serve per poi fare qualcos’altro, che serve come progetto di un’altra cosa o per fissare graficamente un’idea che si desidera conservare: il progetto di un utensile, di un abito o di un’architettura, la memoria di un luogo o di un volto, l’armonia astratta di una forma fino a quel momento soltanto intuita.
Al contrario, negli ultimi disegni di Antonella Ortelli — e nel suo lavoro di questi anni che è passato senza soluzione di continuità nelle relazioni e nelle realizzazioni del Progetto Casina — colpisce il fatto che il disegno non ha questa funzione. Anzi, non ha, di per sé, alcuna funzione: in una dinamica pienamente consapevole del proprio retaggio poetico e teorico (da Carla Lonzi a Lygia Clark), l’atto del tracciare un segno non ha altro fine che il proprio darsi e non è subordinato ad un’altra espressione, ad una trasmissione o ad una conservazione di senso. Non si disegna per fissare, circoscrivere e de-finire una forma, si disegna, al contrario, per dare forma ad un moto, ad una relazione, ad un divenire infinito.
La dimensione progettuale non è eliminata, semplicemente non è più inerente al disegno, bensì alla situazione installativa e di relazione innescata dall’autrice, all’interno della quale più di cento disegni, realizzati nel 2003 e nel 2004, trovano il loro significato e il loro sviluppo. Ciascuno di essi è un frammento di un tutto che si può solo intuire: ogni particolare che ci si sofferma a guardare è solo una piccola parte, una tessera, di una misura più ampia che ci comprende.
Nel disegno un particolare può diventare il tutto. Rispetto alla scala del foglio, un particolare minuscolo può diventare gigantesco, può essere ulteriormente ingrandito e, infine, può espandersi fuori dai limiti della carta.
In questa idea di disegno come esperimento piuttosto che come progetto, come contemplazione piuttosto che come realizzazione, come «studio», ritorna con evidenza la tradizionale interpretazione del disegno come «strumento di conoscenza». Si tratta di un’idea che deriva dalla tradizione rinascimentale, attraverso l’accademia, ma che ha conosciuto una nuova vitalità negli anni Cinquanta e Sessanta, con Fontana, Novelli, Manzoni, Paolini, Fabro, Boetti.
Il segno che resta sulla carta rappresenta, nel modo più diretto ed essenziale, la traccia della continuità tra la forma e l’esperienza del reale. Il disegno permette, con immediatezza, di capire che non c’è stacco tra l’esperienza di tracciare una linea e quella di vivere.
D’altra parte la pratica del disegno è sempre, in un certo senso, una pratica di massima disponibilità e contatto: necessita di uno sguardo scrutatore, più ravvicinato rispetto a quello di altre tecniche artistiche, quasi indiscreto. In ogni disegno autore e spettatore si toccano.
Chiedendoci di entrare nello spazio installativo della sua mostra, chiedendoci di scegliere un posto, di sederci, di prendere in mano i suoi disegni e di disporci a vederli con un tempo e una postura che non sono quelli tradizionali della galleria, Antonella ci coinvolge in una esperienza del disegno che si fonda su una grande confidenza, su una grande disponibilità al contatto fisico, emotivo e psicologico, sia da parte dell’artista che da parte dello spettatore. E a chi guarda chiede di dirle “quanto…â€
È necessaria tutta la capacità di adesione e di comprensione, tutta la consapevolezza, tutta la distanza critica e storica e, poi, la capacità di dimenticarle.
Si tratta di un esercizio di visione reciproca. Questa linea tracciata non segna un confine, ma, al contrario, lo sviluppo del movimento di Antonella Ortelli nel proprio spazio e in uno spazio di conoscenza che è comune.
Mentre una persona cambia il proprio corpo, la propria postura, il proprio controllo sullo spazio per entrare in relazione con un’altra, solo allora quella persona si avvera.
Giorgio Zanchetti
Orario: da Martedì a Sabato dalle ore 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00
Galleria Milano
via Manin 13, Milano