Mostra personale del fotografo romano trapiantato a Parigi.
Giovedì 14 ottobre, dalle 18 alle 20, presso la Boutique Borsalino in Rue de Grenelle 6, Parigi, inaugurazione del terzo appuntamento, dopo Paola Gandini e Corrado Bonomi, dedicato dalla ditta piemontese all'arte contemporanea italiana delle ultime generazioni, con la personale del fotografo romano trapiantato a Parigi Enrico Bartolucci.
Enrico Bartolucci
A cura di Edoardo Di Mauro ed Elena Masoero.
L’arte, in questo delicato passaggio epocale, sta lentamente assumendo un nuovo corpo, una differente fisionomia rispetto alla veste indossata lungo il corso di un secolo intenso e rivoluzionario come il Novecento, una fase storica in cui le istanze di rinnovamento ed utopia, tipiche dell’espressione artistica e delle sue aspirazioni, si sono scontrate più volte con la tragedia ed il lutto, determinati in maniera decisiva dall’evoluzione tecnologica, da quell’ambito di cultura “materiale†cui è strettamente correlata l’idealità dell’arte, anch’essa in costante bilico tra istinti ambivalenti, di pari costruttivi e distruttivi. Se si deve inquadrare il Novecento nell’unitarietà sostanziale di una cifra stilistica, penso si possa affermare che esso sia stato il secolo dell’astrazione, da intendersi naturalmente in una accezione ampia, di macrocontenitore all’interno del quale confluiscono diverse esperienze formali. Sotto questo segno si possono includere le prove delle avanguardie storiche, in particolar modo Cubismo, Futurismo e Dada, talune del Surrealismo, e poi l’Informale, da cui deriverà , come diretta conseguenza, la stagione del Concettuale e dell’invasione ambientale dello spazio, senza tralasciare, ovviamente, le correnti astratte vere e proprie. Ma tutto ciò non si sarebbe manifestato senza le conseguenze dell’evoluzione tecnologica, a partire dall’avvento della fotografia che svincola l’arte dal compito storico di riproduttrice naturalistica del reale e la conduce lungo una strada di liberazione delle intime pulsioni interiori e spirituali, alleggerendola gradualmente dal vincolo della bidimensione come unico possibile esito formale. Portato alle estreme conseguenze questo percorso, con la smaterializzazione pressoché totale operata nella stagione concettuale, e l’arte messa a nudo nello spietato rigore analitico del disvelamento suoi procedimenti costitutivi, ecco che il pendolo della storia inizia gradualmente, come periodicamente avviene, ad oscillare in una direzione opposta rispetto alla propulsività vettoriale dell’avanguardia. Ed infatti assistiamo ormai da parecchi anni, all’interno di una situazione globale di eclettismo stilistico che rimescola e contraddice dogmi e certezze consolidate, in parallelo con la situazione rinnovata ed incerta della nostra società occidentale, ad un ritorno in forze dell’immagine, sia essa pittorica e fotografica, “tradizionale†o realizzata con il sempre più frequente ausilio delle nuove tecnologie digitali. Si sta gradualmente passando da un clima in cui predominava la citazione del passato, sebbene ricontestualizzata al presente, ad un altro in cui assistiamo al tentativo sempre più evidente di dar corpo ad una nuova immagine, ad una diversa ed inedita concezione estetica che mi ha recentemente indotto a plasmare un termine come “nuova contemporaneità †per indicare questo mutato stato d’animo. E nell’attuale contesto, da quasi un trentennio, con modalità sempre più accelerate e frenetiche dagli anni ’90 ad oggi, la fotografia, in tutte le sue sfumature linguistiche, sta assumendo un ruolo centrale. Ruolo che, come citato in apertura, è in realtà ormai antico. Infatti, se il Novecento è , in termini generalizzanti, il secolo dell’astrazione, lo è stato grazie al contributo fondamentale della fotografia. La quale, a sua volta, ha conosciuto un non facile destino, come quasi sempre accade per quanto è autenticamente innovativo e rivoluzionario. Segnata dal celebre interdetto baudelairiano, per il quale il grande poeta e critico francese vedeva il concreto rischio della stereotipia e dell’isterilimento della vena simbolica e fantastica quindi “surnaturalistica†dell’arte, rivalutata, sebbene su di un piano di intellettualità elitaria, dalle avanguardie storiche e da Walter Benjamin che vedeva in essa, pur con minore valenza rispetto al cinematografo, un importante strumento per la perdita dell’â€aura†artistica, a patto che avvenisse uno svincolo dalla ritrattistica di genere e da un ruolo di ancella della pittura, la fotografia ha conosciuto un inquadramento in termini di autonomia poetica, quindi è stata definita un genere artistico a sé stante, solo a partire dagli anni ’50 del Novecento. La fotografia ha quindi cessato di essere un oggetto di pura riproduzione del reale, in chiave di documentazione privata o collettiva, “reportagisticaâ€, per diventare, al pari della scrittura, che può a piacimento investire od abbandonare la sua funzione letteraria, un evento a sua volta, in diversi contesti, tramutabile in un atto di cultura convenzionalmente definito come “artisticoâ€.
Il lavoro di Enrico Bartolucci, fotografo romano felicemente trapiantato a Parigi, protagonista della terza mostra personale, dopo Paola Gandini e Corrado Bonomi, dedicata dalla Boutique Borsalino di Parigi all’Italia ed al dialogo tra arte e moda, in una accezione di fervida e dialogante creatività fonte di reciproco stimolo, è assolutamente indicativo dell’abbattimento di vetusti ed inattuali steccati linguistici.
Infatti nel lavoro di Bartolucci, sia quello in cui il fotografo romano si cimenta in reportages professionali di più evidente impianto divulgativo, sia negli scatti in cui persegue una autonoma ed intima linea di ricerca e sperimentazione espressiva, il confine tra quanto può essere definito “arte†e quanto no è del tutto indistinguibile ed arbitrario, frutto semmai della singola determinazione di gusto che la cultura e l’inclinazione di ciascuno di noi può determinare. Il lavoro di Bartolucci è evidentemente caratterizzato da un’attenzione nei confronti del reale, della società , ma con un atteggiamento che, sebbene intenso e partecipe, non si manifesta come punitivo, non si ispira ad un sociologismo compassionevole ed autoreferenziale ma evidenzia invece una predisposizione nei confronti di quanto è partecipazione, estroversione creativa, oppure, quando l’interesse è viceversa rivolto nei confronti del singolo, tende a metterne in risalto gli aspetti di più evidente vitalità , anche quando il contesto esterno è frutto di disagio e fatica del vivere quotidiano. Da quando si è giunti alla consapevolezza dell’autonomia del linguaggio fotografico si è anche compresa la duttilità dello stesso. Esso può essere usato come oggetto decontestualizzato, parte di un tutto atto a comprendere la complessità dell’esistente, oppure strumento di denuncia sociale o di scandaglio intimo, a patto di non indulgere nell’autocompiacimento tipico di buona parte della giovane arte, soprattutto italiana, degli anni ’90, od ancora elemento di un collage linguistico in cui i confini stilistici si annullano e si approda ad una esperienza estetica, quindi non solo cerebrale ma anche sensoriale, completa ed appagante. Bartolucci, da ottimo professionista quale è, sposa la causa della fotografia come tramite per comporre narrazioni variegate, adoperando il mezzo nella sua purezza e complessità e studiandone le infinite varianti, pur in presenza di un’iconografia che, per quanto eclettica in merito ai temi trattati, presenta delle caratteristiche comuni. Queste sono tese ad una scandaglio nell’interiorità delle persone rappresentate, siano essere calate all’interno di fenomeni di ritualità collettiva oppure proposte nell’impatto visivo del primo piano, singolarmente od a coppie, od ancora colte nell’intimità delle pareti domestiche. Quanto colpisce, ed è raro, in Bartolucci, è la sua capacità di usare con valenza poetica sia il colore che il bianco e nero, così come di affrontare con eguale successo contesti spesso diversi tra loro, non solo le già citate rappresentazioni di gruppo ed i primi piani, ma anche le porzioni anatomiche del corpo umano, il paesaggio ed addirittura la natura morta. Una serie degna di particolare encomio, per la sua carica di vibrante espressività , è quella dedicata ai volti di giovani donne e di bambine africane, che, nonostante la frequente difficoltà della loro condizione esistenziale, esprimono una insopprimibile e candida gioia di vivere. Lo strumento fotografico viene adoperato da Enrico Bartolucci per dotare le immagini di un tocco di magia e, per dirla con il già citato Baudelaire, di “surrealtà â€, facendole levitare dalla materialità del reale, dagli archivi della documentazione, ad un superiore significato simbolico.
Edoardo Di Mauro, settembre 2004.
La mostra prosegue fino al 6 novembre, esclusi domenica e lunedì, 11 - 14 15 - 19
Info : 335/73.12.205
Giovedì 14 ottobre, dalle 18 alle 20
Boutique Borsalino
Rue de Drenelle 6
Paris