''Quello che preme a Bonamini e' l'urgenza di un intervento che si consuma qui e ora, senza prima e senza poi, e che vuole espandersi per contemporaneita' successive secondo una sorta di eterno presente o di eterno ritorno: puo' essere un segno eseguito nella voracita' della gara contro il tempo, e puo' essere una campitura realizzata nella lentezza di una calma meditativa.'' Mario Bertoni
Vanitas
â€...Il cronotopo bonaminiano non ha a che fare né con la “memoriaâ€, né con le successioni (passato, presente e futuro). Ciò implica una sorta di indifferenza nei confronti degli stili, della tradizione e persino delle ascendenze formali, ma anche un’impronta originale rispetto a quelle esperienze che hanno fatto del tempo effemeride materia e strumento centrale della ricerca pittorica (Opalka, On Kawara). Perché, quello che preme a Bonamini è l’urgenza di un intervento che si consuma (e brucia fisicamente) qui e ora, senza prima e senza poi, e che vuole espandersi per contemporaneità successive secondo una sorta di eterno presente o di eterno ritorno: può essere un segno eseguito nella voracità della gara contro il tempo, e può essere una campitura realizzata nella lentezza di una calma meditativa.
Ecco che allora il cronotopo ha le valenze del metronomo musicale e la sua pittura la disposizione delle variazioni sul tema di un Bach o di un Philip Glass, ecco pure la persistenza della spirale come figura di un luogo e di un tempo che tendono all’infinito (con tutto quello che segue nel salto della “misura†alla “dimensioneâ€), pur nella precarietà dell’azione e nei limiti imposti, o forse, proprio in forza di ciò.
Se le cose stanno a questo punto, si dovranno trarre alcuni motivi della poetica di Bonamini. Quando, in apertura, si diceva di una tensione celata e avvertita, ora si è in grado di chiarirla e di precisarla. Siamo, infatti, in presenza di un’arte che vive del contrasto tra le cesure dei differenti cronotopi e la continuità della spirale, tra il finito di ogni brano di pittura e l'infinito della spirale: a dire che ogni quadro o riquadro di pittura trova il proprio alter ego nell’ “opera omniaâ€, nel tutto prodotto senza soluzione di continuità dall’artista; a dire che il lacerto anela ad integrarsi con l’insieme, pur continuando ad essere frammento, parte.
Se quest’ultimo è irrimediabilmente vincolato al suo status, l’opera vive di un respiro che non è dato dalla sommatoria dei brani che la compongono. Se l’uno trova perfetta coincidenza tra lo spazio tempo necessario per eseguirlo e lo spazio tempo che lo nomina e lo determina, l’altra vive nel dubbio e della cosa dubitata, in quella “opacità †(per dirla con Miccini o Jakobson) che trattiene la mente sulle magnifiche assenze della verità .â€
Mario Bertoni
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Verona - Sottoriva, 12