Magrorocca Galleria d'Arte
Milano
largo Fra' Paolo Bellintani, 2
02 29534903
WEB
Marcello Moscara
dal 21/3/2005 al 30/4/2005
02 29534903
WEB
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Magrorocca Galleria d'Arte




 
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21/3/2005

Marcello Moscara

Magrorocca Galleria d'Arte, Milano

E' soltanto un discorso sospeso. La mostra prevede l'installazione di una serie di opere fotografiche che ci riportano in atmosfere di spazi senza piu' identita', laddove tutto e' rimasto come allora, come se qualcuno per un lungo tempo non li avesse piu' abitati, vissuti.


comunicato stampa

E' soltanto un discorso sospeso

La mappa della nuova fotografia si sta complicando o sta semplicemente mutando i suoi tracciati, modificando le sue coordinate?

Bisognerebbe chiederselo più spesso, dal momento che ci troviamo di fronte a cambiamenti tecnologici che ne stanno ridisegnando i contorni. Mentre ancora non si sono chiariti i confini tra la fotografia tout court e la fotografia “artistica”, a livello di massa, assistiamo alla massiccia affermazione delle tecnologie digitali e al progressivo ridimensionamento degli strumenti analogici. Nel corso dell’ultimo anno - lo dicono gli istituti di rilevazione dei dati commerciali - la fotografia digitale ha sorpassato quella analogica. Nei consumatori essa si è aperta ben più che una breccia. Fino a poco tempo fa, fotografare significava essenzialmente avere a che fare con una macchina manuale o automatica, un rullino o una carta fotosensibile (polaroid), ottiche, obiettivi e cavalletti. Poi la magia della camera oscura...

Oggi rimangono le ottiche e gli obiettivi, ma s’introducono nelle macchine display LCD e schede di memoria. La definizione dei sensori CCD si fa largo a colpi di megapixel. Le foto sono passate al vaglio di un PC e rielaborate con photoshop per poi essere raccolte nei più svariati supporti di archiviazione, oppure vengono rapidamente condivise via web, divenendo spesso uno strumento mediatico di comunicazione. Di fronte alla rivoluzione del Digital Imaging, gli artisti hanno risposto in due modi: o accogliendo tali novità, indagando le potenzialità espressive del digitale, oppure mantenendo la propria fede nell’inimitabile poesia dell’analogico. Tutto questo per dire che lo strumento espressivo che un’artista sceglie rivela molto a proposito della ricerca che conduce. Spesso più di quanto egli stesso sia disposto ad ammettere.

Marcello Moscara scatta le sue suggestive fotografie con una Mamiya a telemetro 6x7, utilizzando una pellicola per diapositive, che garantisce una qualità notevole rispetto ai 35 mm e permette di realizzare stampe di grandi dimensioni in uno strano formato rettangolare, ma tendente al quadrato. In Fotografia, scegliere uno strumento piuttosto che un altro può fare la differenza, influenzando direttamente il risultato finale. Persino il fatto che questo tipo di macchina al momento dello scatto non produca il caratteristico click, può essere un elemento da non sottovalutare. Il silenzio è, infatti, una delle caratteristiche più evidenti del lavoro di Marcello Moscara.

Esistono fotografie chiassose, fotografie, che hanno un proprio suono immaginario, talvolta persino un ritmo e rispondono alla grammatica dei colori o dei bianchi e neri come le partiture di uno spartito. Ci sono poi fotografie profondamente silenti, che restituiscono tutt’al più il sibilo del vento, lo stormire delle fronde, il lontano fluire di un corso d’acqua o il placido suono di uno spazio vuoto. Le immagini realizzate da Marcello Moscara appartengono a questa seconda specie. Esse rivelano allo spettatore quella magia confidente degli spazi desolati, quello straniante silenzio, quasi innaturale, che ritroviamo sovente nella Pittura Metafisica o nelle ricerche di certa astrazione lirica. Nella sua ricerca, sembra che il roboante rumore del mondo lasci spazio al sogno di un quieto anfratto, come se l’inarrestabile meccanismo micidiale potesse per un attimo sospendersi per rivelare l’esistenza di luoghi stranamente spopolati, di territori abbandonati ad una mistica stasi. In verità, Moscara finge questa possibilità con fatica e strenua forza di volontà, scegliendo accuratamente i suoi set. Il suo è il bisogno fisiologico di un personaggio schivo, solitario, poco incline al chiacchiericcio incessante della mondanità, come al clamore debordante delle città. La sua predilezione va alle rigorose geometrie di certe vecchie fabbriche, al fascino post-moderno dei rifiuti industriali, ma anche a indefinibili luoghi carichi di storia, alle mura di pietra di un antico edificio, alla malinconia degli stabilimenti balneari abbandonati. Si tratta sempre di luoghi dimessi dall’uomo, di zone poco battute, di ambienti spopolati. Lo scenario è sempre scarno, ridotto al minimo e privo di orpelli decorativi, come nel caso di una piscina vuota, di una teoria di malinconiche cabine bianco-azzurre, di una grotta buia scandita da piccole urne (quasi fori di colombaia), oppure di una rocciosa piattaforma sul mare, di una scalinata in pietra, di un lungo filare o di una strabiliante e aerea struttura d’acciaio che si staglia sul cielo come un complicato arabesco. Ovunque, nelle immagini di Moscara, è dato di vedere il ferreo dominio della geometria, il rigoroso gioco delle linee che, come un diagramma cartesiano, compone i suoi paesaggi.

E tuttavia, non propriamente di paesaggi si tratta, ma di qualcosa di assai diverso. Se non fosse per la presenza di quella figura umana, che come una ferita squarcia l’ossatura dei suoi landscape, si dovrebbe semplicemente parlare di poesia dei luoghi, di una sorta di versione aggiornata di un vedutismo fotografico che, davvero, ha fatto il suo tempo. E invece l’elemento umano riconfigura completamente l’immagine, riprocessa la realtà cambiandola di segno. Di più, quella figura, che altri non è che il fotografo stesso, ridefinisce il senso di una ricerca che non può più dirsi unicamente fotografica, per il fatto che implica anche un coinvolgimento quasi performativo.

Perché mai, infatti, Moscara non ha scelto di affidare ad un modello quel ruolo? Perché ha scelto di mettere in gioco se stesso, collocandosi, al centro di tanta quiete, di tanto sostanziale silenzio? Proprio lui, così schivo, affatto egocentrico, tanto incline a defilarsi. Che si tratti di un’operazione linguistica, di un accostamento di elementi affini? Come dire “quel paesaggio sono io: io sono in esso come esso è in me!”. Forse. Ma c’è di più. Nelle fotografie di Moscara si avverte piuttosto la necessità di creare un mutuo dialogo con lo spazio e le architetture che lo compongono, di inserirsi nella partitura geometrica, composta di verticali e orizzontali, con la sua “obliqua” umanità. E per questo, il corpo appare, come in una bianca epifania, sempre inclinato, obliquo, nell’innaturale atto di risorgere dal suolo o di lasciarsi definitivamente cadere. Con questa sola posizione, armonicamente perfetta, l’artista racchiude il senso della condizione esistenziale, eterna oscillazione tra bilico e squilibrio. Assumendo quella posa innaturale con il solo aiuto di una struttura lignea, che successivamente rimuove dall’immagine – ed è questo l’unico intervento di modifica della foto – Moscara spezza definitivamente la grammatica ortogonale dello spazio, seppure il suo ingresso nel paesaggio non sia maCatalogo con testo di Ivan Quaronii fastidiosamente invasivo, mai giocato sul contrasto, ma piuttosto sulla fusione, anche atmosferica, tra umano e naturale.

Proprio questa necessità di relazionarsi con uno spazio reale ha prodotto un cambiamento nella sua ricerca. I lavori che da un anno a questa parte Marcello Moscara sta realizzando sono assai diversi da quelli che li precedettero. Prima, l’artista componeva visioni eminentemente astratte, dove sul fondale nero di uno studio ricreava col banco ottico, a mezzo di doppie o triple esposizioni, situazioni surreali, allusive al mondo dei giocolieri ed equilibristi circensi. La sua visione era costretta entro i limiti tecnici e fisici di uno studio di posa, mentre oggi si libera in esterni invasi da una chiarificante luce solare. Una luce apollinea, limpida, ma mai sentimentale, poetica, ma niente affatto emotiva. Si direbbe il lume di una razionalità ritrovata, che nel suo raccogliersi nella contemplazione di luoghi desolati, fuori dalle rotte e dai tracciati comuni, finisce per confondersi con l’afflato spirituale. E d’altra parte, nella mitologia greca, il lumen apollineo non è forse il segno della ragione e insieme della poesia?

La mostra prevede l’installazione di una nuova serie di opere fotografiche che ci riportano in atmosfere di spazi senza più identità, laddove tutto è rimasto come allora, come se qualcuno per un lungo tempo non li avesse più abitati, vissuti. Quasi nulla rimane di quel tutto che li riempiva. Sospese, le atmosfere dalla luce, particolare che caratterizza sempre le opere dell’artista, danno un senso di sacra spiritualità e di assoluto silenzio; poter osservare, tramite essa, il granello di polvere che fluttua senza alcun peso e senza tempo all’interno dello spazio ci conduce nel tentativo di raggiungere la figura e come in sogno vederla scomparire, per poi ricomparire chissà in quale angolo, chissà dove. Si tratta di una speciale tensione che cerca di fermare nell’immagine fotografica le speciali vibrazioni e gli assetti formali di azioni dotate di una durata nel tempo. Nelle azioni da cui parte questo tipo di immagine l’amministrazione dello spazio-tempo è affidata a regie e scenografie accuratissime. Sono infatti la motivazione stringente delle azioni, la serie di scelte – invisibili e visibili – quelle che rendono più interessanti gli scatti. Gli uomini sono giovani, e in vestiti ordinari, rappresentano solo ciò che sono: animali sociali. E com’è senza orpelli l’uomo, così lo è il luogo: nessuna identità, nessun riconoscimento. Né luogo né non-luogo, anzi piuttosto luogo in via di fondazione. In questi lavori sono messi in equilibrio da una parte il forte valore conoscitivo dell’esperienza e dall’altra la cura formale.

Marcello Moscara è nato a Galatina (Lecce) nel 1972.

Catalogo con testo di Ivan Quaroni

Inaugurazione: martedì 22 marzo 2005 - ore 18.30

Magrorocca Galleria d'Arte
Largo Frà Paolo Bellintani, 2 – Milano
Orari : 10.00/12.30 – 15.30/19.30 (lunedì e festivi chiuso)

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