Castello di Rivoli
Rivoli (TO)
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Volti nella folla
dal 4/4/2005 al 10/7/2005
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Segnalato da

Manuela Vasco




 
calendario eventi  :: 




4/4/2005

Volti nella folla

Castello di Rivoli, Rivoli (TO)

Dai capolavori di Edouard Manet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Man Ray, Marcel Duchamp, Rene Magritte ai maestri dell'arte contemporanea come Francis Bacon, Michelangelo Pistoletto, Andy Warhol e Jeff Wall fino alle piu' recenti tendenze, la mostra mette a confronto opere d'arte di un centinaio artisti che illustrano la storia della modernita' dalla nascita della civilta' urbana a oggi. Dalla meta' dell'800 l'individuo si confronta con la folla della metropoli moderna, luogo di incontri fugaci e anonimi. La mostra include dipinti, disegni, fotografie, sculture, installazioni, film e video. A cura di Iwona Blazwick e Carolyn Christov-Bakargiev


comunicato stampa

Immagini della vita moderna da Manet a oggi

In collaborazione con la Whitechapel Gallery, Londra, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea organizza la rassegna Faces in the Crowd / Volti nella folla, curata da Iwona Blazwick e Carolyn Christov-Bakargiev.

Individuando nell’opera di Édouard Manet, Le Bal masqué à l’Opéra, 1873, della collezione della National Gallery of Art a Washington D.C., un punto di partenza della mostra e presentando le opere di maestri come Edward Hopper, Francis Bacon, Andy Warhol, Michelangelo Pistoletto, Cindy Sherman, Juan Muñoz e Jeff Wall, Volti nella folla intende tracciare una storia dell’avanguardia figurativa. La poesia ‘haiku’ In a Station of the Metro (A una fermata del metrò), scritta da Ezra Pound nel 1926, dopo un viaggio nella metropolitana parigina, fornisce una concisa e potente immagine della condizione moderna, caratterizzata soprattutto dall’emergere di una nuova soggettività: “L’apparizione di questi volti nella folla; Petali sopra un umido ramo nero”.

La mostra include dipinti, disegni, fotografie, sculture, installazioni, film e video degli artisti Acconci, Alÿs, Arnold, Atget, Bacon, Beckmann, Bellows, Beuys, Boltanski, Bomberg, Brassaï, Broodthaers, Buckingham, R. Burri, Cahun, Capa, Calle, Cardiff & Bures-Miller, Cartier-Bresson, Carrà, Deller, DiCorcia, Dittborn, Dix, Doherty, Dubuffet, Duchamp, Export, Evans, Fast, Giacomelli, Giacometti, Gilbert & George, Gordon, Goldin, Grosz, Gupta, Gursky, Guston, Guzmán, Hamilton, Heartfield, Hopper, Huyghe, Katz, Keïta, Kentridge, Kirchner, Klucis, Kollwitz, Léger, Levitt, Magritte, Manet, Man Ray, McCarthy, McQueen, Modotti, Munch, Muñoz, Nauman, Ofili, Paolozzi, Pfeiffer, Picasso, Piper, Pistoletto, Prince, Richter, Rodchenko, Sala, Sander, Schad, Schütte, Sherman, Schneeman, Segal, Sickert, Sidibé, Song Dong, Strand & Sheeler, Vertov, Wall, Warhol, Wearing.

Dalla metà dell’Ottocento, l’individuo si confronta con la folla della metropoli moderna - luogo di incontri fugaci e anonimi. Le persone sono pervase da una profonda solitudine, o sono entusiaste delle nuove opportunità che si vengono a creare. Un’arte specificatamente moderna si è sviluppata a partire da questa condizione. Lo spettatore è parte della scena, come il cittadino nella moderna società. Per questa mostra sono stati ottenuti prestiti da importanti istituzioni pubbliche tra le quali: The National Gallery, Washington, D.C.; The J. Paul Getty Museum, Los Angeles; il Centre Georges Pompidou, Parigi; lo Stedelijk Museum, Amsterdam; The British Museum, Londra; Victoria & Albert Museum, Londra oltre che da numerose collezioni private.

Dai capolavori di Édouard Manet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Man Ray, Marcel Duchamp, René Magritte ai maestri dell’arte contemporanea come Francis Bacon, Michelangelo Pistoletto, Andy Warhol e Jeff Wall fino alle più recenti tendenze, la mostra mette a confronto opere d’arte, fotografie, film e video di un centinaio artisti che illustrano la storia della modernità dalla nascita della civiltà urbana a oggi.

La storia “ufficiale” dell’arte moderna è quella di una progressiva astrazione dell’opera d’arte che si allontana dalla raffigurazione a partire dagli Impressionisti per giungere a forme di assoluta oggettività. “Volti nella folla” traccia un percorso diverso. Ripercorrendo l’avanguardia figurativa fino ad oggi, la mostra presenta i protagonisti dell’arte del Novecento e dell’arte contemporanea che mettono in evidenza l’importanza delle relazioni sociali e dei rapporti individuali, sperimentando al contempo nuove forme e linguaggi. Il titolo della mostra prende spunto da una poesia di Ezra Pound: “L’apparizione di questi volti nella folla, petali sopra un umido ramo nero…”. I versi descrivono un viaggio in metropolitana a Parigi nel 1913 e l’immagine che l’autore intende evocare è la forte suggestione dell’individuo immerso nella modernità della metropoli.

“Dalla metà dell’Ottocento a oggi, - scrive Carolyn Christov-Bakargiev, curatrice della mostra con Iwona Blazwick - l’individuo si confronta con la folla di una metropoli moderna - luogo di incontri fugaci ed anonimi. Le persone sono pervase da una profonda solitudine, oppure al contrario sono entusiaste delle nuove possibilità creative che permettono di costruire e ricostruire liberamente l’identità. Un’arte specificatamente moderna si è sviluppata a partire da questa condizione - un’arte nella quale lo spettatore è coinvolto nel ruolo immaginario di un partecipante alla scena raffigurata attraverso una nuova strutturazione dello spazio pittorico: il campo visivo dello spettatore s’identifica con quello dell’artista o di un immaginario obiettivo fotografico; lo spettatore è parte della scena come il cittadino nella moderna società.”

La rassegna si apre con una serie di capolavori emblematici: Le Bal masqué à l’Opéra, 1873, di Édouard Manet, quasi un’istantanea di un’epoca festosa di seduzioni - una fra le più belle opere del maestro francese raramente vista in Europa e proveniente dalla National Gallery of Art di Washington -; la disperata solitudine esistenziale di una donna buttata sul letto, il giorno dopo una festa, nel capolavoro di Edvard Munch Dågen Derpa (L’indomani, 1894-95) della National Gallery di Oslo; la socialità di un interno di caffè di Georg Grosz (Café, 1915) dello Hirshhorn Museum: uno spaccato della società berlinese segnata dal disagio esistenziale che preannuncia la catastrofe nazista. Contrasti che segnano un’epoca fra momenti di tragedia come in Prigionieri, 1908 di Käthe Kollwitz e di apparente spensieratezza come in Gaieté Rochechouart del 1906 di Walter Richard Sickert o, come più tardi, nel primo dopoguerra, in Teatro del Ghetto, 1920 di David Bomberg. Eugène Atget ci dà, con le sue fotografie, l’immagine della Parigi fine Ottocento mentre Carlo Carrà, in Uscita dal teatro (1909) simboleggia l’incedere dei tempi moderni e rende futuristicamente le tensioni e lo spirito di un nuovo mondo. Tra i maestri non poteva mancare Pablo Picasso presente in mostra con Arlecchino Céret, opera del 1913 proveniente dal Gemeentemuseum Den Haag. Una rara opera di Marcel Duchamp Marcel Duchamp attorno a un tavolo del 1917 esprime il senso dell’identificazione fra individuo e folla nella moltiplicazione dello specchio moderno mentre Man Ray raffigura l’amico e compagno travestito da Rrose Sélavy (1920-21) in una sua opera presente in mostra. Nella città che si evolve, nella folla che muta vista come insieme o come singole individualità compaiono nuovi soggetti. Fernand Léger con I tre compagni del 1920 proveniente dallo Stedelijk Museum di Amsterdam esalta la rappresentazione meccanica della figura mentre di Edward Hopper viene presentato in mostra con un singolare lavoro del 1922, mai esposto in Europa ed appartenente alla collezione del Whitney Museum di New York, in cui viene messo in luce l’interesse dell’artista per la costruzione fotografica e filmica. Gli anni della rivoluzione, con le aspettative di un riscatto dell’umanità, vengono interpretate nelle fotografie di Alexandr Rodchenko, nei manifesti del costruttivista Gustav Klucis e nelle opere di Tina Modotti con le sue fotografie di campesiños e con il famoso Donna con bandiera (1928), opera divenuta il simbolo delle battaglie per la parità dei diritti. La città si trasforma velocemente, diviene metropoli. E sono per primi gli artisti a fissarne ed interpretarne i mutamenti. Charles Sheeler e Paul Strand “fotografano” in un breve film una giornata a New York così come Dziga Vertov con lo storico film L’uomo con la macchina da presa fissa una convulsa giornata a Mosca. La città moderna crea nuovi miti. Uno di questi è la figura del boxeur. Per la prima volta in Europa viene esposta Tribune al lato del ring, una delle opere più note dell’artista americano George Bellows del 1924, proveniente dalle collezioni del Hirshhorn Museum di Washington e Il piccolo ring di Jack Butler Yeats del 1930. Procedendo nel percorso espositivo si scoprono ritratti di individui, folle, masse che formano il volto, nel bene e nel male, della società che cambia. August Sander tenta con il suo progetto fotografico Gente del XX Secolo una catalogazione di individui e tipi. Claude Cahun all’inizio del ventesimo secolo gioca con il proprio doppio. Christian Schad ritrae Maika nel 1929 rendendo, con la sua pittura, un ideale femminile inquietante nel suo esasperato realismo moderno. Brassaï, un classico della fotografia del XX secolo, ci racconta la Parigi del Bal Musette, dei bassifondi e dei nottambuli. Nel quadro Il caffè d’artista (1944) Max Beckmann fissa, in una scen apparentemente rilassata, la solitudine e l’angoscia dei personaggi. John Heartfield usa “la fotografia come arma” contro il Nazismo nella convinzione che l’artista moderno debba e possa intervenire nel cambiamento politico. Walker Evans realizza i Ritratti nella metropolitana, una serie fotografica di volti quotidiani e anonimi ripresi segretamente dall’obiettivo nella metropolitana di New York nel 1938-41, mentre Helen Levitt fa emergere la vita di strada dei bambini nella metropoli americana degli anni Quaranta. Ma è con Robert Capa e Henri Cartier-Bresson che si entra negli eventi della “grande” storia. Le loro fotografie colgono un mondo in trasformazione sia nei momenti epocali sia nella vita quotidiana. Del resto il quotidiano, fissato nelle immagini fotografiche, nei suoi molteplici aspetti definisce la modernità e i suoi modi espressivi. Weegee ci dà uno spaccato della metropoli moderna in un’epoca segnata dalla crisi economica e dalla guerra, attraverso sensazionali immagini scattate sulla scena di un crimine. Eve Arnold fotografa “le vite delle persone: vite banali, ordinarie e famose”. René Burri, combina il formalismo della fotografia tedesca e la tradizione documentaria francese. Con René Magritte il percorso espositivo punta l’attenzione sull’individuo non più elemento nella massa, ma soggetto caratterizzato sebbene paradossale. Importanti opere di Francis Bacon, uno dei più significativi artisti della metà del secolo ventesimo, presentano una soggettività contemporanea tormentata e lacerata, mentre Alberto Giacometti con l’enigmatico Ritratto di Diego del 1954 ci dà una riflessione sulla condizione esistenziale di un essere moderno e solitario. L’individuo viene scomposto e ricomposto nei collages quasi Pop di Eduardo Paolozzi, accerchiato e ridotto alla sua essenza ‘brut’ nei dipinti di Jean Dubuffet per infine trovare la sua originale dimensione esistenziale e sociale contemporanea nelle opere di Andy Warhol. In mostra vengono presentati il celebre Incidente d’automobile arancione del 1963 proveniente dalla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, e il ritratto della moglie del presidente Kennedy (Jackie, 1964). Michelangelo Pistoletto con i suoi “quadri specchianti”, conferendo al soggetto un’oggettività assoluta e a chi guarda, tramite lo specchio, un ruolo primario, rimette in discussione il rapporto fra l’individuo e folla e fra persona e categorie considerate assolute come spazio e tempo. Richard Hamilton sperimenta la folla come una massa di segni grafici quasi astratti in opere quali Gente, 1965-66 e I bagnanti II, 1967 mentre George Segal, con la tecnica del calco diretto su figure umane, congela i suoi modelli in pose quotidiane, creando sculture divenute emblematiche di un’epoca. Di Carolee Schneemann viene presentato il video della performance Gioia della carne, tenutasi a Parigi nel 1964. Opera esemplare del periodo in cui viene creata, in essa nove interpreti interagiscono fra loro come in un rito erotico, alternando momenti di eccesso e di attenzioni amorose, sino a includere anche il pubblico in un esperimento dai forti toni femministi. Le dinamiche sociali ricompaiono nel dipinto di Philip Guston Spaventato, 1970, un ritratto dell’artista davanti ad un gigantesco dito come nei tipi sociali ritratti da Alex Katz in Giovedì notte n.2, 1974. Seydou Keïta e Malick Sidibè aprono, tramite le loro fotografie, uno sguardo sull’Africa degli anni del dopoguerra e degli anni Sessanta e Settanta ridefinendo la ricerca di una nuova identità a metà strada tra tradizione e cultura urbana. Sul versante de “l’estetica dell’istantanea” troviamo Garry Winogrand con l’immagine di Kennedy alla Convention democratica del 1960 mentre David Goldblatt ci pone di fronte, con immagini essenziali, alle problematiche dell’apartheid in Sud Africa. La forza lirica della fotografia trova un suo interprete riconosciuto nell’italiano Mario Giacomelli di cui viene presenta la serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto (1961-63), la poetica serie di fotografie di preti che giocano sotto la neve. La soggettività e l’identità contemporanee sono indagate da Gerhard Richter tra pittura e fotografia mentre Marcel Broodthaers ricorre a strutture di barattoli di vetro come quelle dei grandi magazzini per sottolineare il potere delle strutture che hanno il compito di contenere e conservare. Come flâneur contemporanei Gilbert & George passeggiano per la metropoli moderna registrando con un’importante serie di opere Immagini di parolacce la scena urbana con i suoi graffiti osceni e nichilisti, come primitiva espressione del disagio sociale (Smash, 1977). I segnali della memoria e le testimonianze sociali servono anche a Christian Boltanski per creare Svizzeri Morti (1989) paradigma di una generale angoscia esistenziale raffigurata da una composizione realizzata con foto di annunci mortuari. Particolare rilevanza hanno avuto le performances e le azioni realizzate dagli artisti negli anni Sessanta e Settanta nelle quali si affrontavano le tematiche legate al comportamento o al sociale. Nel 1969 Vito Acconci realizza Opera di pedinamento. Per un mese l’artista segue ogni giorno una persona diversa, senza che questa se ne accorga. Così facendo annulla la propria volontà, determinata dai movimenti dell’altro, ed al contempo, senza svelarsi, si inserisce nelle abitudini di vita del pedinato. Valie Export utilizza invece vere e proprie tattiche di guerriglia. In Azione pantaloni: panico genitale l’artista, con l’obiettivo di de-eroticizzare il nudo femminile, si aggira, con il pube scoperto, in un cinema porno, puntando un mitra alla testa degli spettatori. Su un altro versante opera Joan Jonas che realizza su pellicola Canzone ritardata (1973) partendo da una serie di azioni in cui veniva alterato il movimento ripetitivo e la distanza, mettendo così in risalto la frammentarietà e la soggettività della percezione. L’artista afro-americana Adrian Piper realizza negli anni Settanta una serie di performances tra cui L’essere mitico: Io sono il luogo n.1-5, trasposte poi su fotografia con interventi. Del 1983 è l’azione Lezioni di Funk incentrata sulle reazioni del pubblico di fronte a stereotipi razziali e di genere: nella performance, l’artista tenta di insegnare ad un gruppo di persone ‘bianche’ come ballare il Funk. Joseph Beuys, uno dei più significativi artisti del Novecento, inventa la ‘scultura sociale’, l’opera collettiva e nelle sue azioni considera se stesso come uno sciamano teso a raggiungere lo “spirito universale” insieme agli altri. Nel 1974 realizza una delle sue più complesse azioni comportamentali Io amo l’America e l’America ama me, più conosciuta come Coyote. Bruce Nauman in La tortura del clown (1987) si sofferma sulle situazioni estreme. Utilizza la figura del pagliaccio, trasmessa da due video contrapposti, come simbolo dell’alienazione mentre Paul McCarthy nella performance Il buffone in classe (1976) crea lo scompiglio in una classe universitaria interagendo sessualmente con bambole ed oggetti, stigmatizzando le forme di condizionamento e di controllo nell’ambito del sapere. Richard Prince si appropria delle immagini fotografiche della pubblicità rifotografandole e modificandole, analizzando così il rapporto fra individuo e cultura consumistica. Nan Goldin ritrae il mondo border line dei travestiti di New York non con l’asetticità del cronista ma sottolineando nelle sue immagini l’emotiva partecipazione, quasi un atto d’omaggio verso chi viene ritratto. Cindy Sherman a partire dalla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta realizza fotografie dove si autoritrae usando accessori teatrali come cappelli, abiti estivi, parrucche tipiche del mondo del cinema degli anni Cinquanta e Sessanta. In Suite Vénitienne (1980) l’artista francese Sophie Calle narra nei minimi particolari con fotografie e pagine di diario il pedinamento di uno sconosciuto e di come, al di là delle convenzioni sociali, si crei, pur non conoscendolo direttamente, una crescente intimità. In Ritratto per donne del 1979 Jeff Wall, prendendo spunto da una famosa opera di Manet, ne fornisce una nuova versione in cui si autoriflette. “Per me -afferma- questa esperienza di due luoghi, due mondi, in un solo momento, è una forma centrale di esperienza di modernità”. Con Testa di Giano di Thomas Schütte ritorna alla centralità dell’individuo, ma è un essere fragile, diviso, che anela verso la poesia. L’opera fa parte di una serie di sculture in ceramica realizzate nei primi anni Novanta in cui si esprime il malessere esistenziale, in questo caso sottolineato anche dal riferimento al dio della doppiezza, del passato e del futuro. Le sculture figurative di Stephan Balkenhol, pur rimandando alla tradizione storica dei monumenti, si configurano come anti-monumenti, rappresentazioni eroiche di uomini e donne comuni, che sembrano negare una propria specifica individualità. Di questa serie fa parte Uomo con la testa sotto il braccio (1994) presente in mostra. Anche l’opera di Juan Muñoz si pone spiazzante nei confronti del pubblico: in Tre seduti sul muro con sedia grande (2000) i personaggi appesi a mezz’aria, spettatori essi stessi, a loro agio, ignorano completamente il pubblico che li guarda e discutono tra di loro, creando un effetto straniante di rovesciamento tra chi guarda e chi è visto. L’attenzione sulla folla ritorna con Andreas Gursky. Nelle sue fotografie di grandi dimensioni, gli individui si amalgamano sino a esaltare la monumentalità formale della massa come in Primo Maggio II (1998), in mostra. Il fotografo indiano Raghubir Singh cattura e esalta, tramite la fotografia, la confusione della strada delle grandi città indiane mentre Sunil Gupta fissa nella serie fotografica Esili momenti della vita gay in Occidente e in India. Con William Kentridge l’immagine si anima dando vita al personaggio di Soho Eckstein in Monumento (1990), cortometraggio di animazione, con il quale l’artista mette in luce le problematiche della società sudafricana ed, in generale, quelle della coesistenza nella società contemporanea. L’opera dell’irlandese Willie Doherty si intitola emblematicamente Sono tutti uguali (1991) e raffigura in diapositiva un’unica grande immagine di un volto di un giovane uomo, tratta da un giornale, mentre una voce descrive i due mondi stereotipici e contrastanti che usiamo nei media per definire il terrorista: l’eroe rivoluzionario o il pericoloso criminale. La quindicesima storia del volto dell’umanità dell’artista cileno Eugenio Dittborn è composta da trentadue riproduzioni fotografiche su tela, suddivise in quattro gruppi: otto immagini di donne “criminali”, otto disegni della figlia dell’artista, otto identikit di ricercati e otto disegni eseguiti da schizofrenici. Accanto ad ognuno di essi viene esposta la busta con la quale è stata spedita la tela. L’opera mette in luce la transitorietà ed il dislocamento, definiti dal viaggio stesso della busta aerea, che caratterizzano la vita sociale e al contempo la marginalità di soggetti nell’epoca della globalizzazione. Sempre più frequentemente a partire dagli anni Novanta gli artisti utilizzano anche il mezzo filmico o video cogliendone le qualità comunicative, documentarie e poetiche. Chantal Akerman, artista e regista, sottolinea nel film Dall’Est (1993) il carattere dinamico dell’immagine colto nel flusso di individui e mezzi che, attraverso la Germania e la Polonia, vanno verso il cuore dell’ex sistema sovietico all’indomani dalla caduta del muro di Berlino. Nel video Esodo (1992-97) di Steve McQueen, con sottile ironia, l’artista propone il tema dell’immigrazione afrocaraibica, ricordata con il richiamo all’omonimo disco di Bob Marley. Due uomini di colore portano due palme nel centro di Londra. Li vediamo sparire fra la folla ma li possiamo distinguere per la sommità degli alberi che svettano sopra le loro teste. Nel 1994 Douglas Gordon realizza Baciarsi con Pentotal sodio, una performance sui rituali delle inaugurazioni nel mondo dell’arte. Si fa fotografare mentre bacia con le labbra cosparse di sodio pentotal (“la droga della verità”) i partecipanti all’inaugurazione della sua mostra. Le immagini sono proiettate in negativo, come fantasmi di rituali, esaltando e trasformando quei gesti vuoti e convenzionali in brevi incontri potenzialmente erotici. Gillian Wearing utilizza il video per riflettere sulle norme di comportamento per strada. In Ballando a Peckham (1994) la vediamo con un lettore CD portatile ballare, al tempo di una musica che solo lei sente, in un affollato centro commerciale di Londra tra gli sguardi imbarazzati o indifferenti dei passanti che non si fermano. Elin Wikström con la sua performance Rebecca aspetta Anna, Anna aspetta Cecilia, Cecilia aspetta Marie (1994) pone in essere un’ “azione attivata” a catena, con la quale incentra l’attenzione sullo stato d’attesa di un individuo. Un evento quotidiano, a prima vista banale, come attendere un’altra persona svela invece una complessità di stati d’animo. Nell’opera di Pierre Huyghe Dubbing (1996) ispirata alla tecnica del doppiaggio nel cinema, l’artista francese rovescia l’ordine abituale della produzione cinematografica, mostrandoci non un film doppiato bensì i doppiatori che stanno ‘traducendo’ il film. I quadri di Chris Ofili affrontano i temi dell’identità nera contemporanea, incorporando immagini che mettono a confronto stereotipi razziali. L’adorazione di Capitan Merda e la leggenda delle stelle nere (1998) fa parte di una serie di dipinti che ritraggono un super eroe di colore visto attraverso la cultura pop. Philip-Lorca diCorcia, pur rifacendosi alla tradizione della “fotografia di strada”, ritrae persone impegnate in attività quotidiane decontestualizzandole e trasformandole, grazie ad un sapiente uso della luce, in personaggi al di fuori della realtà circostante, come statue di cera o modelli di moda. Anri Sala, è tra i più interessanti giovani artisti a livello internazionale. I suoi video e le sue fotografie sono poetici commenti sulla violenza e la conflittualità nella società contemporanea, contestualizzando il dramma della perdita e della ricostruzione dell’identità culturale. In mostra viene presentato il video Comportamento misto (2003) dove non è chiaro se si assiste ad un evento festoso oppure al bombardamento di una città. Marc Leckey utilizza il video per documentare giovani che si aggregano e ballano rappresentando i desideri, le aspirazioni ed i comportamenti di gruppo in situazioni di celebrazioni collettive. Di tutt’altro segno è la passeggiata di Francis Alÿs che segue tutte le persone (e perfino i cani) che per strada sembrano assomigliargli in Doppelgänger, 1999. Di Janet Cardiff & George Bures-Miller viene presentato il video Gente dell’ombra (1998) in cui le ombre delle persone che camminano per strada vanno in direzione opposta alle persone stesse. La trilogia La lunga conta (2000-1) di Paul Pfeiffer è anch’essa estraniante e riprende il tema della boxe che attraversa molta arte del ventesimo secolo. Composta da tre video che trasmettono estratti di pochi secondi di incontri storici di Muhammad Alì, l’immagine si caratterizza per la cancellazione digitale dei corpi dei due pugili, visti come “in negativo”. L’intensità della figura umana è sottolineata in una dialettica inquietante tra presenza e assenza. Il giovane artista Matthew Buckingham dialoga invece con gli uccelli vicino ad una panchina in città, mentre In Accartocciando Shangai (2000) dell’artista cinese Song Dong scenari metropolitani proiettati su una superficie fluida vengono letteralmente accartocciati da una mano che compare dietro di essi, rivelando che si tratta semplicemente di fogli di carta. Il pugno dell’artista interviene in luoghi e situazioni sottolineando in una forma di ‘video povero’ le possibilità enormi degli individui di incidere nella metropoli contemporanea. Il progetto ed il film La battaglia di Orgreave (2001) di Jeremy Deller, vincitore dell’ultimo premio Turner, ripropone lo sciopero di cinquemila minatori inglesi avvenuto nel 1984 per la chiusura di alcune miniere voluta dal governo Thatcher. Con ottocento figuranti e con alcuni dei protagonisti degli eventi di allora, Deller ha ricreato l’evento sui luoghi originari come una gigantesca ricostruzione storica e performance. Città di Gaza, Palestina, 1988 (2004); Jackson, Missisipi, 1963 (2004); Seoul, Corea, 1987 (2004) di Sam Durant fanno parte di una serie fotografica che prende spunto dall’atto di lanciare pietre o oggetti durante manifestazioni politiche. Le immagini documentarie sono costituite da stampe di diverse dimensioni e viraggi cromatici, applicate con un semplice nastro adesivo trasparente a specchi appoggiati a terra. La precarietà dell’allestimento suggerisce in chi guarda la possibilità di un’analoga infrazione fisica e fa riflettere sul tema della disobbedienza civile. In CNN concatenata (2002), invece, Omer Fast monta in sequenza centinaia di immagini e frammenti di notiziari della famosa rete televisiva, ciascuno della durata di una parola detta dagli anchormen. La nuova ‘frase’, ricomposta dall’artista, si riferisce non agli eventi pubblici bensì all’intimità dei singoli, con le loro paure ed i loro desideri. In questo modo l’artista crea una dialettica spiazzante fra unicità e molteplicità e, al contempo, elabora nuove narrazioni sotterranee e alternative all’interno dello scenario mediatico. Nel video Ritmo di New York (2004) di Daniel Guzmán, l’artista di Città del Messico presenta una figura maschile che esce da una fermata della metropolitana camminando e accennando passi di danza. Il titolo fa riferimento all’omonima canzone del gruppo musicale dei Kiss. La colonna sonora fa supporre che la scena si svolga a New York mentre ci troviamo a Città del Messico. L’artista raffigura due volti speculari di uno stesso stereotipo: da un lato il messicano come viene visto dagli americani, dall’altro la cultura americana vista dal giovane in Messico. Infine, Matinee (2003) è il video realizzato da Destiny Deacon, artista australiana di origine aborigena, in collaborazione con Virginia Fraser. Nel video una coppia formata da un uomo di origine aborigena e da una donna bianca ballano all’interno di un salone. I due personaggi sembrano, nel gioco di luce, fondersi in un’unica personalità, un sciogliersi e un fondersi che celebra la soggettività cangiante contemporanea - individui in una folla che si aggrega e si disaggrega, da un momento all’altro.

REGIONE PIEMONTE
FONDAZIONE CRT
CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI TORINO
CITTA’ DI TORINO
UNICREDIT PRIVATE BANKING - GRUPPO UNICREDIT
Catalogo Skira Milano

Inaugurazione martedì 5 aprile 2005 ore 19.00

Immagine: MARCEL BROODTHAERS - La Tour Visuelle, 1966

CASTELLO DI RIVOLI
Museo d’Arte Contemporanea
Piazza Mafalda di Savoia - 10098 Rivoli (Torino) - Italia
Orario: da martedì a giovedì ore 10.00 - 17.00; venerdì, sabato e domenica ore 10.00 - 21.00
Ingresso € 6.50 intero, € 4.50 ridotto

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Rachel Rose
dal 5/11/2015 al 9/1/2016

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