Alessandro Sarra - Stefano Canto. Non e' una doppia personale, tanto meno un progetto a quattro mani, ma un incontro tra energie di segno compatibile da cui scaturisce originariamente da un'intesa tra i due artisti sul piano di attrazioni comuni e, in particolare, di quella verso il ferro e il suo processo di ossidazione.
Alessandro Sarra
Stefano Canto
a cura di Emanuela Nobile Mino
L’idea di questa operazione, che non è una doppia personale, tanto meno un
progetto a quattro mani, ma semmai uno di quei rari incontri tra energie di
segno compatibile, scaturisce originariamente da un’intesa tra i due artisti
sul piano di certe attrazioni comuni e, in particolare, per quella verso il
ferro e il suo processo di ossidazione (che se nel caso di Stefano Canto
significa spesso conversione della naturale alterazione della superficie
metallica in valore estetico, nel caso di Alessandro Sarra diviene azione
indotta e necessaria, quando adottato come fonte sostanziale del suo segno);
ma si è poi concretizzato sulla base di altri presupposti, di ben altre
corrispondenze.
Il progetto Two works riflette, infatti, la scelta inconsueta e la volontÃ
condivisa dai due autori di affrontare, in un momento storico come questo,
una rosa di argomenti non facili - o quantomeno scomodi - come la religione,
la fede, il rito, riuscendo a sintetizzare ed esprimere, ognuno in un unico
lavoro, alcune personali perplessità relative alla strumentalizzazione del
dogma che, nella cultura occidentale come in quella orientale, appare
finalizzata al condizionamento della condotta sociale e alla limitazione del
libero discernimento. Come due facce della stessa medaglia, o meglio, come
strati diversi della stessa epidermide (l’una analizzando la parte
superficiale e quindi più evidente, l’altra indagando il substrato più
nascosto e quindi spesso taciuto) le opere in mostra trattano
rispettivamente la complicazione iconografica insita nel credo religioso e
il rapporto spiritualità /intelletto.
Stefano Canto ha incentrato la sua riflessione sul ruolo dell’immagine
nell’ambito religioso e, più specificamente, sulle conseguenze di un uso
improprio del simulacro (in primis sul fenomeno, ancora oggi vivo e diffuso,
dell’identificazione della divinità con la sua stessa rappresentazione).
“I’m sorry for your Buddhaâ€, scultura realizzata con catene di bicicletta
assemblate l’una accanto all’altra a comporre un imponente volto di Buddha,
riassume metaforicamente questo tipo di condizionamento religioso.
L’opera si ispira ad un episodio verificatosi ad un amico dell’artista
durante un soggiorno a Bali (l’involontario danno arrecato ad un altarino
domestico approntato all’interno di una bottega). I sentimenti di imbarazzo
e colpevolezza scaturiti dall’atto involontario, dimostrano come spesso il
credo religioso, qualunque esso sia, tenda ad infondere parallelamente ai
sentimenti di pace, rispetto e speranza, anche quelli, in qualche modo
incompatibili, di timore, soggezione e disagio. Il Buddha di Stefano Canto,
pur mantenendo la tipica posa ieratica e l’espressione ineffabile della
divinità , si presenta in una veste del tutto nuova, quanto mai dimessa e
terrena (coperta di ruggine anziché d’oro, apparentemente snodabile anziché
stabile e inattaccabile): la scultura assume essa stessa il compito di
smantellare il pregiudizio che ancora oggi avvolge le raffigurazioni delle
divinità e, in generale, appare smentire il ruolo intimidatorio dell’icona
religiosa, troppo frequentemente spacciata per fondamentale tramite tra
l’uomo e la sua più intima spiritualità .
“Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che
offusca l'animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle
imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto:
pochissimi sanno quale messi di vantaggi ne derivi.â€
E’ proprio la follia il modello di religiosità cui invece fa riferimento
Alessandro Sarra. L’artista, recuperando da Erasmo da Rotterdam
l’ottimistica fiducia nella ragione e l’ispirazione di tolleranza verso ogni
religione, identifica la finalità primaria del credo religioso nel compimento di un appagante ed
apprezzabile percorso individuale legato all’intelletto, prima ancora che
allo spirito. La follia, componente costitutiva dell’animo umano e
responsabile dell’esaltazione spontanea e temeraria delle emozioni, è
espressa quindi nella sua opera come forma di culto capace di favorire la
lucida comprensione dei fatti e una lusinghiera liberazione della ragione.
Il segno filiforme, nervoso, preciso ma sempre imprevedibile, che
notoriamente costituisce il suo tratto espressivo, diviene nel lavoro
realizzato per Two Works, cifra emblematica del ritmo psichico, variabile ed
eccentrico, quindi difficilmente compatibile con il disciplinato andamento
del ritmo spirituale. I filamentosi percorsi in grafite, che si imprimono in
modo quasi impercettibile ma assolutamente indelebile sulla superficie
pittorica, appaiono come l’ipotetica traduzione delle libere direzioni che
la mente raccomanda di seguire, come i precetti di una dottrina nuova,
alternativa. La divinità nel lavoro di Sarra non si identifica quindi con
un’icona fissa, riconoscibile e riproducibile, ma con l’idea di spettro che
vive e prolifera, in qualità di riflesso ossessivo, in ogni singolo uomo e
lo esorta, intimamente e periodicamente, ad una riforma individuale basata
sull’esercizio intellettuale.
“Io credo di avere tante statue quanti sono gli uomini che, anche senza
volere, mostrano nel volto la mia immagine vivente. Non ho nulla da
invidiare agli altri Dei, se vengono venerati chi in un cantuccio della
terra chi in un altro, e solo in giorni determinati, come Febo a Rodi,
Venere a Cipro, Giunone ad Argo, Minerva ad Atene, Giove sull'Olimpo,
Nettuno a Taranto, Priapo a Lampsaco. A me il mondo intero offre senza sosta
vittime ben più pregiate.â€
(citazioni tratte da: Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia, 1509)
Emanuela Nobile Mino
Inaugurazione: martedì 10 maggio 2005 18:30
SC02 arte contemporanea
Piazza de' Ricci 127/128
Roma
Orari: lun/sab. 15,30-19,30
La mattina su appuntamento