Contenitori di corpi. L'artista, riflettendo sulle sue creature, afferma che essendo sculture vivibili si adattano a rappresentare un corpo, inteso come organismo unicellulare che a sua volta contiene un altro corpo, sia umano, nel caso delle sedie, sia corpo inteso come struttura contenitiva, nel caso dei totem o dei contenitori di virus-caramelle.
Contenitori di corpi
a cura di Edoardo di Mauro
Un viaggio affascinante attraverso il poiliedrico e panteiforme universo
dell'artista genovese che con questa personale pone un punto di riflessione sulla
sua poetica artistica.
Le sue figure completamente rivestite di silicone siano sedie, totem o lampade
vogliono reinterpretare un microcosmo di natura biologica rendendo a nuova vita
oggetti e forme ormai desueti.
Il titolo della mostra prende origine da una considerazione dell'artista che
riflettendo sulle sue creature afferma che essendo sculture vivibili si adattano a
rappresentare un corpo, inteso come organismo unicellulare che a sua volta contiene
un altro corpo sia umano nel caso delle sedie, o corpo inteso come struttura
contenitiva, nel caso dei totem o dei contenitori di virus- caramelle.
Il cammino artistico di Vittorio Valente, apprezzabile per coerenza progettuale ed
originalità stilistica, si colloca esemplarmente all'interno del percorso di più
marcata eccellenza della scena artistica italiana contemporanea, quello meglio in
grado, a mio avviso, di confrontarsi in maniera armonica, ma al tempo stesso
positivamente competitiva, con il restante panorama internazionale, perché detentore
di personalità e di quelle caratteristiche estetiche e linguistiche peculiari al
"genius loci"nazionale. Conosco il lavoro di Vittorio fin dai primi anni '90. Rimasi
subito colpito dal suo stile atipico , dalla capacità di creare opere bidimensionali
ed installazioni dal carattere fortemente innovativo, e dalla destrezza
nell'adoperare materiali plastici inconsueti per la maggior parte della scena
dell'epoca. Circolava un'aria non bella nell'Italia artistica di quegli anni : dopo
l'entusiasmo un po' ebbro che aveva caratterizzato l'eclettismo mediatico e
metropolitano della seconda metà degli anni '80 si era passati ad una fase di
interdizione, dove il panorama si presentava invaso da massicce dosi di pittura
affrettata e superficiale, pallido clone di quella spontanea e sincera voglia di
figurazione di pochi anni addietro e, quanto è peggio, da un suicida incitamento del
sistema artistico nei confronti di installazioni neo concettuali che si presentavano
armate di una sconcertante povertà linguistica e ricalcavano pedestremente le
urgenze formali degli anni '60 e '70 in cui l'unico carico di diversa significanza
era fornito da un atteggiamento di insopportabile snobismo e supponenza
intellettuale, degno al più di un'analisi sociologica, ma certamente estraneo a
qualsiasi riflessione estetica degna di tal nome. Coloro non disposti ad adeguarsi a
questo stato di cose, uno sparuto numero di critici e gallerie ed un nucleo
fortunatamente più consistente di artisti, dovettero rassegnarsi ad intraprendere
una lunga attraversata del deserto, a tutt'oggi non terminata, ma di cui
fortunatamente si inizia forse a scorgere la conclusione.
Al rapporto già subito di
stima nei confronti di Vittorio è subentrata, dalla fine dei '90, una positiva ed
intensa collaborazione, coronata nella personale, e relativo ampio catalogo del
settembre 2003 presso il Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova. Del
testo di allora riprendo dei dati a tutt'oggi attualissimi relativi
all'inquadramento storico ed all'analisi formale del lavoro di Valente,
aggiornandoli alla luce di una poetica in continua e febbrile evoluzione, ed
all'importante personale presso la galleria di Sabrina Raffaghello, cui è dedicato
questo testo. Il lavoro di Valente riesce , al pari di pochi altri, a rappresentare
un elemento di continuità rispetto alle poetiche emerse in Italia a partire dalla
metà degli anni'80, data delle sue prime apparizioni pubbliche, per poi proseguire
nel decennio successivo fino ai giorni nostri, che costituiscono, al momento, ancora
un episodio collegato al più recente passato. Nelle opere dell'artista genovese sono
rintracciabili tracce dello stile degli anni '80, in particolare rispetto
all'esigenza di rinnovamento del linguaggio della scultura e dell'installazione
tramite l'impiego dei nuovi materiali plastici che fu tipico, ad esempio, delle
prove degli aderenti al "Nuovo futurismo", in particolare Plumcake e Gianantonio
Abate, e di vari altri autori. Ma, di pari, il lavoro di Valente, ulteriormente
raffinatosi negli anni'90, interpreta al meglio certe suggestioni e fascinazioni del
confronto tra l'arte, le nuove frontiere biologiche e scientifiche e la percezione
del proprio corpo e dell'intera gamma delle facoltà sensoriali a contatto con una
realtà sempre più frammentata e virtuale, ben sintetizzate da una mostra che nei
primi anni di quel decennio conobbe una vasta eco, anche in virtù del forte apparato
promozionale e mediatico di cui si avvalse, la celebre "Post Human", curata da
Jeffrey Deitch, effettivamente uno dei non molti eventi in grado di sintetizzare
efficacemente un clima di mutamento stilistico internazionale corredandolo di esempi
validi ed indicativi. Peccato poi che, particolarmente in Italia, il sistema
dell'arte, in particolare nei suoi gangli informativi, abbia teso sfacciatamente ad
incoraggiare la proliferazione di materiale debole ed epigono, frenando a lungo
l'apparire sulla scena di quegli artisti, e Valente è certamente tra questi, in
grado di porsi meglio e naturalmente in sintonia con quella tendenza grazie ad un
lavoro di assoluta originalità e pregnanza formale. Un lavoro che si colloca nella
scia del grande mutamento stilistico emerso, a livello globale ma in Italia con
caratteristiche senz'altro singolari, a partire dalla metà degli anni'70, una volta
spentasi, dopo aver raggiunto l'apice con la stagione Concettuale, la carica
propulsiva della rivoluzione linguistica novecentesca. Da quella data si susseguono
due fasi, una temporalmente ristretta fino ai primi anni'80, dove la predominante è
costituita dal ritorno in forze dei valori della manualità , pittorici e decorativi,
espressionisti ed aniconici, a lungo negati dal rigore mentale ed analitico degli
anni precedenti ed allora di nuovo, prepotentemente alla ribalta, la seconda molto
più estesa, ad occupare la scena dalla metà di quel decennio fino ai giorni nostri,
pur in presenza di numerose varianti. Il primo lasso, prolungatosi fino alla parte
iniziale degli anni'90, è caratterizzato, da un lato, dalla citazione in serie delle
esperienze caratterizzanti il corso delle avanguardie novecentesche, dall'altro da
un'attenzione ossessivamente rivolta verso gli scenari dell'immaginario
metropolitano, dall'infatuazione verso le nuove tecnologie, ancora "in nuce" se si
pensa alla vorticosa accelerazione dei nostri giorni, ed all'epoca fonte di accesa
curiosità , dalla centralità riposta nuovamente nei valori dell'individuo, anche in
chiave di competizione sociale, dopo la sbornia ideologica e collettivista degli
anni'70. Il tutto condito dalla vocazione all'interdisciplinarietà ed alla
commistione con varie altre discipline creative, musica, fumetto e teatro
soprattutto. Gli anni '90, fino alla fase attuale, costituiscono, a mio parere, il
proseguimento di quelle esperienze con l'aggiunta di alcune, significative
mutazioni. Il dato che balza prepotente agli occhi sovrastando qualsiasi altra
considerazione, è costituito dall'enorme incremento della produzione artistica,
frutto in primo luogo di una più ampia disinibizione nell'esternare la propria
potenzialità creativa, per conforto vocazionale ma talvolta addirittura terapeutico,
retaggio positivo dei movimenti di liberazione dai vincoli e dalle costrizioni della
società borghese che hanno scosso l'occidente a partire dagli anni'50, ma anche
fortemente debitore nei confronti di una struttura sociale sempre più marcatamente
postindustriale, in cui l'immaterialità virtuale conseguenza della presenza invasiva
delle nuove tecnologie ha allargato gli orizzonti dell'arte in termini di
possibilità formali, agevolando inoltre la velocità di realizzazione delle opere, di
cui si è altresì troppo spesso abusato, stringendola al contempo d'assedio,
saccheggiando a piene mani i valori racchiusi nel suo sacro recinto, per spalmarli
uniformemente nei siti della moda, della pubblicità , del design, causando, in molti
casi, una salutare reazione di difesa, con gli artisti pronti a raccogliere e
manipolare i copiosi scarti prodotti da una società sovrabbondante, opulenta,
corrosa dalla cafoneria e dal cattivo gusto.
Da un punto di vista stilistico e dei
contenuti l'arte dell'ultimo decennio ha visto prevalere i valori di un eclettismo
che è spaziato da un nuovo concettuale, spesso caratterizzato da una rinnovata
attenzione alle istanze politiche e sociali ma capace anche di spingersi a ritroso
nei meandri dell'introspezione psicologica, dalla persistenza della pittura, in
bilico tra dimensione realistica ed allegorica, che, in termini di competizione
d'immagini, ha dovuto affrontare l'arduo scontro, talvolta oppositivo ma in vari
casi incline all'alleanza, con la fotografia ed il video. Il problema più scottante,
per coloro i quali si sono posti nella condizione di elementi terzi ed arbitri
rispetto a questa sovrabbondanza produttiva, è stato quello di governare una scena
sempre più sfuggente e mutante, onere al quale, in realtà , molti hanno preferito
abdicare optando per la tutto sommato comoda attività di curatore, laddove con
questa qualifica si intende un compilatore consenziente di liste redatte avvalendosi
esclusivamente dell'ausilio di gallerie e collezionisti, come se non fosse possibile
ed opportuno operare una mediazione tra questo ormai inevitabile esercizio, ed il
mantenimento di quella fondamentale capacità di scelta e di giudizio che è implicita
alla natura ed alla funzione della critica d'arte. Ma qual è il ruolo occupato da
Vittorio Valente all'interno di questo scenario quanto mai variegato e spesso
effimero? Ho già prima introdotto alcuni fondamentali elementi di giudizio
inquadrando il lavoro dell'artista genovese come simbolico "trait d'union" tra lo
stile, simile ma non del tutto omologo, di due successivi decenni. Già a partire
dalla seconda metà degli anni'80, infatti, Valente appare alla ribalta con la serie
dei "guerrieri", contenente la summa della sua poetica, in seguito resasi ancora più
articolata e stilisticamente duttile.
Si manifesta la costante dell'uso di
innovativi materiali plastici e sintetici, particolarmente il silicone, che ben si
adatta ad essere manipolato in mille modi e maniere, assumendo le sembianze di una
vera e propria "seconda pelle". Valente, se il confronto non appare irriguardoso, e
non lo è se si considerano le cose attestandole sulla loro scala di valori temporale
può, per certi aspetti, essere considerato una sorta di Kandinsky postmoderno.
Infatti, se il geniale avanguardista russo ha il grande merito di avere per primo, e
con decisione, squarciato il "velo di Maya" sulle pulsazioni vitali degli organismi
cellulari mostrandoci una realtà inedita, sublimata da un'osservazione condotta
come dal vetrino di un microscopio, rivelandoci l'intensità ed il dinamismo
dell'universo biomorfico, Valente, quasi un secolo dopo, parte dalla sua attività di
analista chimico per comunicarci l'illusoria ludicità delle cellule impazzite, dei
virus che incombono minacciosi ad insidiare esistenze che ci sembrano al riparo da
rischi, tenute sotto controllo da una scienza sempre più evoluta, da una tecnologia
avvolgente e soffice. Kandisky fu indotto, dal clima culturale dei tempi, a
circoscrivere le sue intense ed affastellate composizioni dentro il confine
bidimensionale, Valente invece permette alle sue amebe, ai virus, di liberarsi da
queste pastoie ed invadere, apparentemente gai ed innocui, in realtà sottilmente
minacciosi, l'ambiente circostante moltiplicandosi esponenzialmente. L'orizzonte di
Valente non è biomorfico, è diretto verso il sito della manipolazione genetica,
delle nuove frontiere della scienza che prefigurano un futuro già per molti aspetti
presente dove l'uomo assume le sembianze di un androide dalle parti intercambiabili,
e si trova nella condizione del guerriero costretto senza posa a difendersi da
micidiali microrganismi da egli stessi irresponsabilmente germinati nel delirio
della mania di grandezza, del progresso illimitato. Le opere di Valente giÃ
assumono, negli anni'80, quell'aspetto formalmente irreprensibile che perfettamente
si integra nell'ambiente circostante, tale da sfidare le arti applicate,
particolarmente il design, sul loro stesso terreno, invertendo i termini
tradizionali del rapporto, restituendo all'arte il molto che negli ultimi anni le è
stato sottratto dai limitrofi territori dell'oggettualismo, dell'immagine e della
comunicazione.
Quel periodo segna, in Italia e fuori, un ritorno di valori
astratto-geometrici, adeguati alla nuova estetica telematica, ai "pixel" della
"computer graphic", che aggiornano il linguaggio guida dell'avanguardia
novecentesca, scongiurando il rischio di una citazione passiva ed inerte. Di pari
assistiamo ad una riformulazione del linguaggio della scultura e dell'installazione,
con una produzione che oscilla tra forme asciutte e minimali ed altre tendenti ad
una più evidente ridondanza , con l'uso integrato delle tecnologie e con l'impiego
di nuovi materiali plastici e sintetici. Valente si pone esemplarmente al crocevia
ideale di queste impostazioni e le osservazioni sulla nuova dimensione "post umana"
dell'esistenza condurranno il suo lavoro a sintonizzarsi con gli umori più diffusi
ed interessanti del decennio successivo. Decennio che vede l'artista genovese
passare attraverso tre fasi tra loro intimamente collegate, predominanti stilistiche
per brevi periodi abbandonate e poi riprese, modificate, aggiornate alla luce di
nuove intuizioni. La prima, datata primi anni'90, delle "cellule", strettamente
abbinata a quella immediatamente successiva dei "derma scheletri". Nella prima
assistiamo ad un predominanza bidimensionale, mentre la seconda indulge
efficacemente ad un originale costruttivismo, con le superfici istoriate di silicone
montate su basi metalliche, una pelle artificiale che riveste la sua struttura
ossea, dando vita ad a assemblaggi che simulano parodisticamente un espanso
monumentalismo. L'ultimo periodo, quello dei "virus", è certamente connotato da una
felice, quasi frenetica vena creativa, che ha dotato di nuovo propellente la giÃ
solida carriera dell'artista. I "virus" testimoniano in maniera evidente l'interesse
di Valente per la microbiologia, per il fitto reticolo amebico che giace racchiuso
nelle forme organiche, apparentemente silente ma pronto a colpire con effetti
devastanti. I microbi e batteri si presentano colorati a tinte squillanti come
effettivamente appaiono in natura, seppure in presenza di un certo surplus
decorativo, ad enfatizzare l'effetto ammaliante di queste creature insidiose,
gradevoli all'aspetto come tutti i grandi tentatori. Nelle ultime installazioni
Valente preme sull'acceleratore dell'enfasi compositiva, creando assemblaggi
talvolta di dimensioni imponenti, più spesso costellando l'ambiente di centinaia di
piccole creature, tondeggianti e soffici al tatto per effetto della superficie
siliconata, sorta di gommosi gadget per l'infanzia, simili a quelli confezionati
nelle confezioni di merende e biscotti destinati al pubblico infantile, o
all'opposto, in taluni casi volutamente vicine all'oggettistica innocuamente
perversa dei pornoshop.
Così operando, l'artista eleva i simboli del trash, del
cattivo gusto imperante nei sottoscala della società contemporanea, a simulacri di
una nuova estetica,riuscendo a decontestualizzarli con abilità e scaltrezza formale.
Bisogna tener presente come spesso questi oggetti, all'apparenza innocui e giocosi,
celino concrete insidie al loro interno, come aghi di siringhe e lamette, sebbene
confezionate in modo da non costituire una minaccia per il fruitore inconsapevole ed
ammaliato dalla veemenza totalizzante dell'impatto visivo. Uno dei più acuti teorici
italiani della contemporaneità , Mario Perniola, in suo testo del 2000 intitolato
"L'arte e la sua ombra", a tutt'oggi del tutto attuale, come confermato dallo
studioso medesimo in una serie di interventi recenti, individua due tendenze
fondamentali all'interno dell'esperienza artistica occidentale : una finalizzata ad
un risultato di catarsi, l'altra tendente a suscitare nel fruitore un alto livello
di coinvolgimento emotivo, tale da condurlo in uno stato di "choc". In questo caso
si evidenzia un fenomeno opposto, ma per molti aspetti speculare al conio, nel
Settecento, del concetto estetico di "gusto", poiché l'arte contemporanea, in molte
delle sue manifestazioni, si connoterebbe, viceversa, per la ricerca di un'estetica
del "disgusto", ottenuta ponendoci a contatto con le categorie del disfacimento
organico e della morte. Ma la realtà del disgustoso è sostanzialmente un "surplus"
di vita, con quest'ultima che deborda dal suo abituale alveo e si estende ad
abbracciare e contaminare tutto l'esistente. Caratteristica di Valente, e dei
migliori artisti italiani degli ultimi anni, è il sapersi collocare sapientemente in
bilico tra queste due opzioni : da un lato porre in evidenza il reale nella sua
disarmante nudità , nel suo sublime e tragico splendore, dall'altro neutralizzare gli
effetti di una visione troppo diretta con la mediazione della pratica tradizionale
dell'arte, con gli strumenti simbolici offerti, ad esempio, dalla decorazione che,
nel caso di Valente, camuffa l'oggetto fino a farlo quasi scomparire nel flusso
della comunicazione, nel suo caso intesa come complicità con l'universo delle arti
applicate. In questa installazione Valente pone in essere una ulteriore tappa del
suo vitalistico cammino di artista.
Il corpo umano presente nella sua tangibilità di
massa cellulare, ma assente come concreta presenza fisica, dopo la recente personale
alla Fusion Art in cui il riferimento era quello di cellule virali dall'aspetto
innocuo e leggiadro di fiori, è rappresentato in questa occasione con la modalitÃ
oggettuale del contenitore, contenitori cavi fittamente decorati con le consuete e
sempre spiazzanti decorazioni istologiche, da cui balenano elementi zoomorfi :
delicate lumachine la cui imprevista presenza sottende la volontà , in Valente sempre
viva, di sorprendere e disorientare lo spettatore, ponendolo al centro di una
composizione in cui il punto di vista non è mai univoco e muta di continuo,
costringendolo ad una visione a 360°. Completa l'insieme, sempre in omaggio al
concetto di contenitore ed alla presenza/assenza del corpo umano, una serie di
'sedie" realizzata con la tradizionale tecnica cifra inconfondibile dello stile di
Valente, in cui con più evidenza l'artista pone la sua sfida all'interno della
comunicazione.
Edoardo Di Mauro, giugno 2005.
Con il patrocinio di:
Città di Ovada
Regione Piemonte
Provincia di Alessandria
Ministero Beni Culturali
Associazione Vini Alto Monferrato
Borsalino
Catalogo a cura di Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea
Testi in catalogo di: Sabrina Raffaghello, Edoardo di Mauro, Gianni Olivieri,Assessore Cultura città di Ovada, Elena Masoero' direttore pubbliche relazioni
Borsalino.
Vernice sabato 2 luglio ore 19,00
Sedi:
Galleria Sabrina Raffaghello Arte Conteporanea
via Cairoli 42 - Ovada
Tel 0143 821190 mobile 3341290405
Orari: al mercoledì al sabato dalle 10,30 alle 12,30 e dalle 16,30 alle 19,30, il venerdì sera del mese di luglio dalle 21 alle 23, la domenica su appuntamento
Loggia di San Sebastiano
Orari: Giovedì venerdì e sabato dalle 16,30 alle 19,00
La domenica su appuntamento