Dalle immagini organiche all'ologramma. Un percorso di luce. Attraverso la pittura, l'arte plastica, il collage, la speciale tecnica 'pre-olografica', Csaji sperimenta le potenzialita' espressive della luce, bilanciando intuito e razionalita', secondo la sua visione di un mondo in cui domina il dualismo materiale/spirituale.
Dalle immagini organiche all'ologramma. Un percorso di luce
In lingua ungherese non vedente si dice “privo del mondo”: è infatti attraverso la luce che si realizza l’esperienza visiva. L’arte di Attila Csáji si concentra sul valore, il mistero, il fascino della luce, la sua materialità e il suo potere di varcare la soglia del mondo empirico.
Csáji ci tiene a sottolineare di essere un pittore, non uno scienziato. La sua avventura con la luce ha inizio circa 30 anni fa, anche se lui sostiene che la sua speciale attenzione ed attrazione verso le potenzialità della luce in campo artistico, come i riflessi, le luci polarizzate o l’uso delle polveri ultraviolette luminescenti, sia nata molto tempo prima.
A segnare la sua grande svolta artistica è stato l’incontro con il laser, sorgente luminosa in cui Csáji riconosce proprietà uniche, e che tuttora rappresenta per lui il settore di sperimentazione artistica più affascinante, una sorta di avventura senza fine.
L’arte di Csáji rivela influssi del surrealismo internazionale e di quello ungherese. Il surrealismo, che dopo il 1957 fu di nuovo accessibile agli ungheresi tramite pubblicazioni e cataloghi, è motivo di ispirazione per Csáji, poiché rappresenta la possibilità di andare oltre la riproduzione meccanica della realtà visibile, dando una personale interpretazione del reale, e mostrando sogni, associazioni di idee, tutti i moti dell’inconscio.
Csáji cerca una forma di arte in cui si possa al meglio manifestare la sua visione di un mondo in cui domina il dualismo materiale/spirituale, attraverso una creazione in cui si sintetizzano intuito e razionalità. Rifiuta pertanto il concetto surrealista della creazione “automatica”, frutto dell’intuito. Secondo Csáji l’arte l’arte nasce si da movimenti dell’inconscio, ma è poi la ragione che li ordina in un sistema visivo.
Nel 1964 produce la serie “Surenon”. Forme organiche appaiono su una piccola superficie piana. Sono forme che si richiamano alla natura, la flora, sembrano immagini viste al microscopio, ma sono parti di una natura informale. Piuttosto che dai dettagli delle forme, la natura è evocata da colori caldi, rosso-marroni, verde-gialli, e da una misteriosa luce dorata. L’effetto è quello della scoperta di un mondo sconosciuto, come una lanterna che illumina i graffiti di una grotta nascosta. Intende mostrare la faccia nascosta della natura. La luce in queste opere rende accessibile e percettibile n simultanea il mondo materiale e quello spirituale, il macrocosmo infinito.
Nella serie “Segno-schermo” (1967-70) Csáji per la prima volta introduce nell’opera la luce come un componente attivo nella creazione, non come mero elemento rappresentato o suggerito. Si tratta di forme quasi scultoree modellate con una paletta e allineate in file orizzontali, che emergono come in un rilievo, e che ricordano il movimento della mano che lavora la materia. In queste opere si avverte il gesto dell’artista, ma il gesto stesso è diventato un’ elemento autonomo, a sé stante.
E’ in questa fase che Csáji comincia a sperimentare il movimento della fonte luminosa, utilizzando colori fotosensibili (blu, rosso) e argento o altre superfici metalliche. Su questa superficie C pone oggetti materiali, quotidiani, o loro frammenti, che sotto la superficie nera sembrano irriconoscibili, assumono contorni diversi, sembrano oggetti sacri, tribali, ancestrali, che evocano mistero, suggestione di uno spazio infinito.
A Vienna nel 1971 Margaret Benyon presenta ologrammi artistici alla mostra organizzata per il centenario della comunicazione visuale. La prima mostra dove l’ologramma viene accolto come nuovo medium viene organizzata a Francoforte sul Meno (intitolata Licht Blicke) in occasione dell’inaugurazione del Museo tedesco di arte cinetica. Attila Csáji vi partecipa con “Sorgente per Voltaire”. E’ l’unico artista dell’est. Viene contattato da Harriet Casdin Silver che suggerisce lui sia invitato al MIT-Massachusetts Institute of technology. Qui, e in altre università statunitensi, Csáji compirà negli anni a venire importanti ricerche e sperimentazioni artistiche e tecnologiche.
Nel 1975 Csáji trascorre alcuni mesi nel sud della Francia. In questa fase produce collages, che presentano elementi puramente decorativi accanto a forme che richiamano la tridimensionalità. Le forme sono più aggraziate, le linee più morbide: influenza dell’ambiente provenzale.
Determinante, al volgere degli anno ’70, la sua collaborazione con Norbert Kroo, che all’epoca era il leader in Ungheria per la ricerca nel campo del laser, con il quale lavora per un lungo periodo. Insieme a Jozsef Toth, tecnico di laser, nel 1977 fondano il Foton Art Group presso l’Istituto di ricerca di fisica di Budapest, all’Accademia delle Scienze. Il loro orientamento si sintetizza nell’esplorazione delle possibilità artistiche del laser, che diventa così uno strumento per la composizione pittorica, l’applicazione per la creazione di flussi visuali compositi.
Nel 1980 Csáji brevetta il metodo preo-lografico o superposizionale, basato su di un sistema di lenti, prismi e schermi ottici, che viene attraversato dal laser creando una sorta di ponte di luce che produce forme in continuo cambiamento. Ne derivano le sue opere più spettacolari, coinvolgenti, coreografiche e ricche di suggestione e mistero.
Tre le caratteristiche principali, secondo Csáji, che rendono il laser adatto alla creazione artistica: intensità, monocromia, manovrabilità.
Csáji è interessato alla materialità della luce laser e al contenuto della visione che si crea in esso. Come pittore, il compito principale diventa la scoperta e la padronanza del rapporto di causa effetto nel caos visivo creato dalla fluttuazione delle onde di luce. Generare ordine diventa preminenza per trovare modelli più efficaci, nonché strumentazioni e nuove possibilità progettuali per la trasformazione dell’immagine.
Muovendo una superficie trasparente, che contiene le informazioni visive, avanti o indietro, mentre il laser la attraversa, si creano immagini in metamorfosi.
Attraverso il laser si ottiene un’abbondanza di forme, il cui rapporto può essere alterato in una metamorfosi continua che pone lo spettatore ad interrogarsi sulle trasformazioni continue, sugli aspetti del tempo e la percezione dell’ambiente attraverso l’ausilio della luce, dei mezzi multimediali e della conoscenza interdisciplinare.
Csáji non si concentra sull’unicità dell’immagine, ma sulla sua capacità di cambiamento.
Ne risulta un’opera in cui si fondono arte e scienza, eternamente in bilico fra l’oggettivo e l’astratto, il figurativo e il non figurativo, il reale e l’ illusorio. Una dialettica senza fine che per Csáji rappresenta il significato della creazione artistica come processo infinito, infinita tensione dell’uomo verso l’infinito universo.
Il ponte di luce che si crea nell’arte di Csáji è un simbolo universale. Il ponte come congiunzione tra due mondi, quello materiale e quello spirituale.
Scrive l’artista nel 1982: “Un singolo disco (la superficie che il laser attraversa nelle sue opere) può registrare una moltitudine di informazioni visive. La luce laser gioca lo tesso ruolo del pick up nel caso del disco di vinile: seguendo un tracciato proietta le informazioni ottiche. Crea un sistema visuale totalmente nuovo.”
Ufficio Stampa: Cristiana Persia ; cristianapersia@tiscali.it
Inaugurazione: 23 Novembre
Galleria dell'Accademia d'Ungheria
Via Giulia, 1 - Roma
Orario; da Lunedì a venerdì 10-13 e 16-19,30; Sabato 16,30-19,30. Ingresso libero.