Personale dell'artista Giuseppe Antonello Leone alla Galleria Immagine Nea alle ore 18 a cura di Ugo Piscopo segnalata da Litomuseum ass. cult. Maratea. Graffiti delle pareti orientali.
Graffiti delle pareti orientali della Città del Sole
La Città del Sole, come è noto, è abitata dall’Utopia, che significa 'senza
luogo' e, in quanto tale, dovrebbe evitare di avere una sua residenza
privilegiata, per non accrescere in maniera insostenibile le contraddizioni (e
gli ossimori) della storia. Comunque, le aporie (di qualunque natura) sono
nella/della storia.
Possiamo persino volgere le spalle all’utopia, come un grande avvenimento
postergato, a riscontro della storicità di tutto ciò che è. Il Novecento e il
moderno, ad esempio, a dispetto delle loro puntuali e totali proiezioni 'en
avant', ormai, nel bene e nel male, viaggiano nella valigia del passato.
Ciò, tuttavia, non significa che i conti siano saldati col Novecento, perché
oggi non saremmo quelli che siamo senza questo secolo travolgente, rapinoso,
dissacratore e terroristico. Senza i suoi spostamenti di asse dal fatto al fare,
senza i suoi smantellamenti delle gerarchie, senza le scoperte della
comunicazione dell’incomunicabilità . Senza le detimificazioni esemplari dei
valori consolidati. Senza i recuperi e le risignificazioni del basso, del
degradato, del precario. Senza le contaminazioni, creativamente germinanti, dei
linguaggi.
Qualche libertà , però, rispetto alle codificazioni oggettivamente dittatoriali
di questo secolo, ce la cominciamo a prendere. Come riguardo alla messa in mora,
consapevole o inconsapevole, di tanti personaggi enfaticamente citati ed esibiti
come maestri. Come riguardo alle interrogazioni che si stanno cominciando a
porre riguardo a posizioni e ad autori tenuti nell’ombra. Come soprattutto in
margine a ipotesi estetologiche e antropologiche di maggiore flessibilità .
Non si vuole essere ingenerosi verso il Novecento. Esso, certamente, è stato
liberatorio e libertario come nessun altro secolo precedente. Ma è anche vero
che alcune prospettive di libertà , nel dettato e nell’applicazione, sono
diventate cogenti e coattive, hanno introdotto vere e proprie rigidità . Si è
prospettata e praticata una libertà coatta. Forse anche perché l’uso del dono
della libertà non è senza limiti.
Tra gli effetti indotti in negativo c’era, c’è ancora, il timore diffuso di
essere poeti, pittori, musicisti in pienezza di concetto e di agibilità , per le
assunzioni di responsabilità intellettuali e per l’esigenza di confrontarsi con
dimensioni critiche taglienti e dominanti.
Contro questa ipercriticità frontale e incombente, già da qualche anno si viene
cercando riparo in spazi di autonomia e di valorizzazione della soggettività ,
che sa di dover dialogare e interagire, in un contesto di complessità , con
spinte, pulsioni, suggestioni di varia provenienza, irriducibili a
un’interpretazione unica e a un modello disegnato una volta per sempre.
All’interno di tale clima, di allentamento delle coazioni e di potenziamento
degli inalienabili diritti dell’immaginario, Giuseppe Antonello Leone, che da
una vita si muove significativamente in anticipo su scelte, comportamenti,
tendenze che poi si storicizzano, prende energicamente posizione come pittore
full time, senza scampo.
Da un paio di mesi, come per effetto di un vulcanesimo dirompente, ha preso ad
affrescare le pareti orientali della Città del Sole, quelle che per prime
ricevono il messaggio della luce, che nell’alba si accendono di iridescenze e di
bagliori stranianti. Su una soglia di albalità dilagante e debordante, sulle
pareti incontaminate e stupefacenti di questa città , che ambisce al titolo di
città per eccellenza, Leone dipinge la luce con orgoglio primigenio, a sfida
della luce che già c’è. Perché la luce non basta mai, non tanto all’occhio,
quanto alla vista anteriore nostalgica e assetata di altra chiarità , di cui
portiamo labili tracce nel biologico.
L’operazione avviata nello scorcio ultimo del Duemila dal giovanissimo
ottantenne Leone potrebbe essere sintetizzata in quelle due parole che la
leggenda attribuisce come estreme a Goethe: 'Mehr Licht'. Egli si è accinto a
sfogliare col bisturi nello splendore del mattino per cercare innervazioni di
altro splendore, dove i colori, più che apparire, si lasciano cogliere per
sospetti e riti augurali; dove la dialettica cromatica gioca fondamentalmente la
sua posta su tavolo della dissolvenza.
E’ la riscoperta del piacere della pittura, che scioglie i nodi delle aporie e
delle separatezze, che, quindi, si affaccia su un nuovo orizzonte di libertÃ
dove i valori non si certificano per autoreferenzialità e rinvii
all’ancestralità , ma si sostanziano di trame narrative soffertamene allusive del
presente e di trasparenze di pensiero, che accende vibrazioni luministiche, ma
ha anche un suo filo rosso, come quel filo da graffito unico aggiratesi nella
vicenda pittorica.
In tale operazione si comprendono tutti gli elementi che mancano lo stacco da
un’epoca e l’inizio di una Rinascita.
Ugo Piscopo
Immagine Nea - Via Salvator Rosa - Napoli - Tel 0338.870079