Francesco Zizola
Graziano Pompili
Gabriella Benedini
Sandro Parmiggiani
Marco Vallora
Luciano Manicardi
Deanna Richardson
Francesco Zizola ha indagato nelle sue fotografie i volti, i corpi dei bambini nel mondo. Graziano Pompili ha sentito l'esigenza di realizzare una "Via Crucis" in terracotta. Gabriella Benedini, nella sua installazione, si sofferma sulla guerra e il terrorismo.
Francesco Zizola. Graziano Pompili. Gabriella Benedini.
Palazzo Magnani presenta tre mostre in contemporanea, che emblematicamente riconfermano l'attenzione ai vari filoni dell'espressione artistica contemporanea, che ha caratterizzato, fin dall'inizio, il programma espositivo dello spazio reggiano.
Le mostre sono l'esito di tre distinte, ma affini, tensioni artistiche: Francesco Zizola ha indagato nelle sue fotografie i volti, i corpi, le condizioni di vita, spesso durissime, dei bambini nelle terre del mondo; Graziano Pompili ha sentito l'esigenza di realizzare una "Via Crucis" in terracotta, tornandosi a misurare con le suggestioni della messa a morte di Cristo, emblema della sofferenza umana; Gabriella Benedini, nella sua installazione, collega la memoria dell'antica civilta' tra il Tigri e l'Eufrate alla tragedia della guerra e del terrorismo che stanno insanguinando quel paese.
"I cento volti dei bambini" presenta 89 fotografie di Francesco Zizola, documenti delle condizioni di vita dei bambini in trenta paesi, in cui Zizola ha lavorato per tredici anni: dalle nazioni sconvolte dalla guerra (Angola, Sudan, Afghanistan, Iraq), a quelle (Brasile, Indonesia) in cui si sfrutta sistematicamente il lavoro dei minori; dalle situazioni (Mozambico, Kenya) con molti orfani di genitori morti di Aids a quelle (Giappone, Stati Uniti) in cui il benessere diventa fonte di un altro tipo di problemi, fino alle immagini piu' recenti che Zizola ha scattato in Uganda (le migliaia di bambini che ogni notte dormono all'aperto per sfuggire ai rapimenti e al reclutamento forzato della milizia), Sud Africa, Chad (i campi dei rifugiati del Darfur).
Cosi' Zizola spiega i motivi di questo suo lungo impegno: "Il primo e' stato una mia visione etico-politica sul mondo, maturata negli anni precedenti a questo lavoro. Girando con la mia professione di fotoreporter mi avevano colpito le condizioni dei bambini che incontravo come soggetti piu' esposti a tutti gli stravolgimenti di quegli anni. Ho seguito a quel tempo il crollo dell'Europa dell'Est, sono stato a Mosca, in Germania per la caduta del muro, in Albania per la fine del regime, in Corea del Nord come uno dei primi reporter occidentali. Recandomi in quei paesi sentivo come i bambini raccontassero con le loro vite piu' dei protagonisti stessi di quelle rivoluzioni che andavo a registrare. Quando tornavo da queste esperienze quello che si sedimentava nella mia coscienza erano piu' le foto non fatte che quelle fatte. C'erano immagini molti piu' forti, molto piu' adatte a raccontare quella realta', che non realizzavo, perche' ero li' per raccontare solo le evidenze di alcuni fatti internazionali. I bambini non erano appunto mai considerati come tali, come evidenze di uno status politico, sociale o economico."
"I cento volti dei bambini" e' una mostra che parla al cuore e alla mente. I bambini che Zizola ha incontrato nel mondo ci guardano, pur nella sofferenza, con una estrema dignita', e con i loro stessi occhi ci pongono delle domande. Le fotografie, che sempre catturano un momento particolare della luce, riescono a fondere dato realistico e ideale senso della bellezza.
La mostra di Francesco Zizola, a cura di Deanna Richardson, e' accompagnata da un volume edito da Fusi Orari, che ha gia' avuto significativi riconoscimenti al Festival del Fotogiornalismo di Perpignan (Francia) e al Photo District News degli Stati Uniti. Zizola, che ha lavorato con l'Agenzia Magnum fino al 2005, ha ricevuto, tra gli altri, il Premio della World Press Photo dell'anno 1996, per una foto delle miniere dell'Angola, inclusa in questa mostra.
"Graziano Pompili. La memoria del sacro", allestita nelle sale al piano terra di Palazzo Magnani, presenta il ciclo delle quattordici stazioni della Via Crucis in terracotta, oltre a disegni preparatori su carta, a sculture in marmo e in bronzo, tutte riferite al tema del sacro, cui l'artista ha lavorato in questi ultimi anni. Lo scultore, nato a Fiume nel 1943, e residente a Montecchio (Reggio Emilia), dopo essersi dedicato, negli anni Ottanta, alle "ri-archeologie" (in cui e' evidente il retaggio dell'arte rinascimentale), terrecotte frantumate e successivamente ricomposte - di cui il catalogo di mostra ripropone alcuni lavori di soggetto sacro -, ha eletto, negli anni Novanta, la casa, nella sua rappresentazione primordiale di luogo dell'eterno ritorno, a emblema della propria ricerca, in cui il marmo e' diventato il materiale prevalente, senza tuttavia abbandonare la terracotta e utilizzando anche il metallo traforato e le lamiere dipinte. La Via Crucis di Pompili ripropone il cammino ultimo di Cristo: formelle con figure stilizzate senza testa, che paiono manichini mossi da una forza misteriosa, chiamati a incarnare una tragedia di cui il rosso del sangue rivela tutta l'atroce sofferenza.
La mostra, a cura di Sandro Parmiggiani, e' accompagnata da un catalogo Skira, con testi del curatore, di Marco Vallora e di Luciano Manicardi (Comunita' di Bose).
"Gabriella Benedini. Le arpe di Ninive", che occupa le ultime due stanze del percorso espositivo al primo piano di Palazzo Magnani, presenta nella prima sala alcune opere, le "Vele di Psyche", realizzate a meta' degli anni Ottanta, che si ricollegano direttamente all'ultimo lavoro dell'artista, mentre la seconda sala e' dedicata a un'installazione: su due pareti, alcune mappe di carta, appese alle pareti, che paiono venire dal tempo dell'antica civilta' sviluppatasi tra il Tigri e l'Eufrate; al centro, una sottile lastra di piombo su cui va in scena una sorta di naufragio, attraverso alcuni frammenti di quella che fu una barca; sulle altre due pareti, poesie di grandi autori sulla pace e sulla guerra sovrintendono a urne rettangolari, poste a terra. Gabriella Benedini (Cremona, 1932) riconferma anche in questo suo ultimo lavoro il senso profondo della sua poetica: l'indagine, attraverso gli strumenti della pittura e della scultura, sul tempo, con i segni che esso lascia negli oggetti abbandonati e recuperati a una nuova vita, con le scritte misteriose di antichi alfabeti ricreati dall'artista, con i colori (il blu oltremare e l'azzurro, il bianco e il nero, il grigio) che alludono a stati d'animo e a condizioni della percezione.
La mostra, a cura di Sandro Parmiggiani, e' accompagnata da un catalogo Skira, con un'intervista all'artista del curatore e con una vasta antologia critica (Cavadini, Cerritelli, Corgnati, Dorfles, Meneguzzo, Pontiggia, Tassi).
Inaugurazione: Venerdi' 14 aprile alle ore 18
Palazzo Magnani
Corso Garibaldi 29 - Reggio Emilia
Orari: 9.30 - 13; 15 - 19 (chiuso il lunedi').