Entrapment: l’artista egiziano conferma la sensibilita' e la maturita' di riflessione sul delicato rapporto individuo-societa'. Daniel Buren: L’intervento dell’artista andra' a modificare la natura della galleria caratterizzata da corridoi, cunicoli, stanzine, soffitti bassi e scalini. Mona Hatoum crea una serie di lavori intimi in scala domestica: sperimenta attivita' quotidiane, come la cucina e il lavoro a maglia.
“Entrapment"
‘Entrapment’ e' il titolo della mostra personale che Moataz Nasr realizza per gli spazi di Galleria Continua. In questo nuovo nucleo di opere, l’artista egiziano conferma la sensibilita' e la maturita' di riflessione sul delicato rapporto individuo-societa'. Cogliendo dal suo vissuto quotidiano elementi di universalita', affronta in modo compiuto e intenso gli aspetti del potere manipolativo dei mass media, delle tradizioni, della riconoscibilita' deformata dell’individuo di fronte al potere delle immagini. L’artista egiziano lega l’utilizzo dei materiali, dai piu' semplici ai piu' sofisticati, alla sua capacita' di creare dialoghi e rimandi da un’opera all’altra, attraverso un percorso concettuale presente all’interno della trama narrativa della mostra.
Al centro della sala dell’Arco dei Becci, ‘The Illusion’, una video installazione progettata appositamente per questo spazio. Tredici gatti, come a rappresentare le diverse culture del mondo, disposti sul pavimento guardano immobilizzati e attoniti l’ombra enorme, proiettata sul muro, di una minuscola lisca di pesce. La struttura compositiva del lavoro richiama alla mente ‘Tabla’, l’opera esposta dall’artista alla Biennale di Venezia del 2003. Ma se in quel caso la relaziona tra musica e tamburi si poteva come metafora della rapporto tra governo e governati, in ‘The Illusion’ Moataz Nasr guarda a un’altra situazione di potere. Il potere che i media esercitano sull’individuo, la pressione sociale a cui sottopongono il singolo, la loro capacita' di manipolazione e di condizionamento mentale che trasporta dallo stato di indifferenza a una impotenza e passivita' che partecipa al sistema proposto.
Inedite sono inoltre ‘Insecure’, 5 grandi stampe fotografiche realizzate con una particolarissima tecnica di impressione a sole, ‘sto usando un modo molto antico di produrre immagini che non e' piu' usato da nessuno, si chiama ‘Van Dick’ o ‘Sun Print’. Il negativo viene trasportato su carta da disegno, trattato con un emulsionate ed esposto al sole fin quando l’immagine non inizia a svilupparsi, solo successivamente la foto viene lavorata anche con elementi chimici industriali. Questo metodo permette a Moataz Nasr di eseguire personalmente ogni fase garantendo anche l’assoluta unicita' e diversita' di ogni foto. Soggetti di queste fotografie sono dei volti medio orientali riflessi sull’acqua, ritratti di persone ma anche ritratti di una societa'. ‘Insecure’ sviluppa un tema centrale nella poetica dell’artista: il rapporto con l’insicurezza umana, con l’instabilita' del nostro essere e con l’impossibilita' di riconoscersi ed essere noi stessi. In ‘The Water’ (2002), una video installazione concettualmente ed esteticamente affine ad ‘Insecure’, riusciamo a riconoscere la nostra identita' solo per un breve istante come quando qualcuno calpesta il nostro volto riflesso sulla flebile superficie di una pozzanghera d’acqua il cui costante movimento della superficie rende l’immagine instabile e irriconoscibile.
Completa la mostra ‘Man Made’, una nuova installazione di sculture a muro e di dittici fotografici. Uomini e cavalli soggiogati ed equivalenti, con ruoli intercambiabili, maschere che precludono la possibilita' di vedere e parlare. Qui l’indagine dell’artista si sposta sul piano politico sottolineando l’incapacita' dell’uomo a rapportarsi in modo concreto e attivo al sistema politico e statale.
Moataz Nasr nasce ad Alessandria D’Egitto nel 1961, vive e lavora al Cairo.
L’esigenza di appartenere ad un preciso contesto geopolitico e culturale mantenendo forte il legame con il proprio luogo d’origine e' un elemento portante dell’opera e della vita di Moataz Nasr. Il linguaggio con cui si esprime e' soprattutto quello dell’installazione o della video installazione offrendoci una lettura della complessa realta' egiziana. Opere come ‘The Sky’ (2000), ‘An Ear of Mud Another of Dough’ (2001), ‘Tabla’ (2003) nascono da antichi proverbi, si nutrono del sole e della terra islamica per costituirsi poi come ponti verso le altre culture. Lirico ma anche lucido e obbiettivo il lavoro di Nasr analizza le debolezze umane, i rapporti di potere, la relazione tra cultura alta e cultura popolare.
Numerose le sue partecipazioni ad eventi di rilievo internazionale tra questi ricordiamo la Biennale di Venezia (2003), la Biennale ldi Seul (2004), la Biennale di Sao Paulo (2004), la Triennale di Yokohama (2005) e le rassegne collettive Arte all’Arte (San Gimignano 2004), Le Opere e i Giorni (Certosa di Padula, 2004), Africa Remix (Dusseldorf, Kunst Palast, 2004; Hayward Gallery, London, 2005; Centre Pompidou, Paris, 2005; Mori Art Museum, Tokyo, 2006), Ghosts of Self and State, Monash University Museum of Art di Melbourne (2006).
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Dopo la recente presenza alla 51' Biennale di Venezia torna in Italia con un ampio progetto espositivo specificatamente pensato per gli spazi di Galleria Continua Mona Hatoum.
I presupposti concettuali ed estetici della mostra sono nati dalla relazione con il contesto in cui l’artista si e' trovata ad operare. La Hatoum crea un percorso di pause e riflessioni svelando, attraverso le sue opere, paure nascoste, incertezze, conflitti e contraddizioni nelle relazioni di potere. Tornano in questa mostra alcuni temi cari all’artista come nell’installazione che apre il percorso espositivo. Un filo di perle “scacciapensieri" in alabastro, un oggetto ‘esiliato’, de-contestualizzato, de-familiarizzato, ingigantito e disposto a terra. La sua scala lo rende impossibile da maneggiare, da far scorrere con disinvoltura tra le dita come solitamente avviene quando si vogliono scacciare cattivi pensieri.
D’altro canto Mona Hatoum crea anche una serie di lavori intimi in scala domestica: sperimenta attivita' quotidiane, come la cucina e il lavoro a maglia, dando vita a fragili strutture fatte di pasta, un “reperto" da custodire sotto vetro, protetto da mani imprudenti, e la tessitura, usando materiali insoliti come i capelli umani.
L’opera di Mona Hatoum e' caratterizzata dalla capacita' di trasmettere l’esperienza del conflitto, attraverso installazioni che, pur nella loro intimita', suggeriscono la presenza, reale o immaginaria, di un pericolo imminente, come in ‘Drowning Sorrows (wine bottles)’, dove una folla di bottiglie sembra annaspare per non sprofondare definitivamente nel pavimento. Il tema della carcerazione riaffiora parzialmente anche nella gabbia che incontriamo al piano inferiore della galleria. Un struttura chiusa, impenetrabile dove viene negata ogni possibilita' di accesso/fuga e che richiama nel visitatore il concetto di prigionia, sia fisica che mentale. La riflessione sembra proseguire acquisendo un piu' ampio respiro in ‘Hot Spot’. Qui il mondo e' rappresentato come un globo luminoso appena piu' alto di un uomo. E’ un oggetto elegante che nondimeno puo' far percepire il mondo intero come luogo pericoloso assalito da eterni conflitti. Chiude la mostra un’installazione site specific creata per la platea della galleria. Un lavoro impressionante che incanta e seduce lo spettatore nel suo intreccio avvolgente.
Mona Hatoum nasce a Beirut da famiglia palestinese nel 1952. Nel 1975 visita Londra dove decide di stabilirsi perche' impossibile rientrare in patria a causa della guerra civile scoppiata a Libano. Londra e Berlino sono le citta' dove tutt’oggi vive e lavora.
Gia' dalla meta' degli anni Ottanta l’artista si afferma nel panorama artistico con performance e opere video che fanno del corpo l’espressione di una realta' divisa, in bilico tra tensioni e sopravvivenza, tra oppressione e controllo culturale e sociale. Nel corso degli anni Novanta il lavoro della Hatoum si discosta progressivamente dalla narrazione, concentrandosi su installazioni di grandi dimensioni e sculture: oggetti sottratti al quotidiano, sedie, letti, utensili domestici che, modificati o ingigantiti, reinterpretano la realta' conosciuta riconsegnando allo spettatore un mondo diffidente, insidioso, ostile, davanti al quale lo spaesamento e la vulnerabilita' non lasciano spazio ad alcuna certezza.
Le opere di Mona Hatoum sono state presentate nei piu' prestigiosi spazi espositivi di Europa, Stati Uniti e Canada. Tra le numerose mostre personali ricordiamo: Mona Hatoum, Muse'e National d'Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi, 1994; Mona Hatoum, Museum of Contemporary Art, Chicago e The New Museum of Contemporary Art, New York, 1997; Mona Hatoum, The Entire World as a Foreign Land, Tate Britain, Londra, 2000; Mona Hatoum - A major survey, Hamburger Kunsthalle, Hamburg; Kunst Museum Bonn, Magasin 3 Stockholm Konsthall e Sydney Museum of Contemporary Art (2004-2005). L’artista ha inoltre partecipato a Documenta IX (2002), alla Biennale di Venezia (2005) e a quella di Istanbul (2005). Sara' presente anche alla prossima Biennale di Sydney (giugno 2006).
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Galleria Continua presenta un nuovo lavoro di Daniel Buren nella sezione espositiva appositamente dedicata a installazioni in situ “One year project", che prevede la realizzazione di progetti visibili per tutta la durata dell’anno.
L’intervento dell’artista andra' a modificare in modo sostanziale la natura originaria della complessa struttura caratterizzata da corridoi, cunicoli, stanzine, soffitti bassi e scalini che collegano i diversi livelli delle sale principali. Il nuovo percorso, realizzato attraverso la collocazione di superfici specchianti, che moltiplicano l’outil visuel dell’artista , sfruttera' la geometria dello spazio avvolgendo completamente il visitatore e regalandogli effetti di spaesamento e sorpresa.
Daniel Buren (Boulogne-Billancourt 1938) dopo la formazione all’ “Ecole des Me'tiers d’Art", dal 1957 al 1960, e un rapido passaggio attraverso l’ “Ecole Nationale Supe'rieure des Beaux-Arts", all’inizio del suo percorso conduce numerose sperimentazioni, al limite tra pittura, scultura e cinema. Dai primi lavori pittorici, datati 1960, si incammina rapidamente verso un’economia di mezzi con la quale mette gia' in evidenza la neutralizzazione del contenuto illusionistico della pittura e l’indifferenza per il soggetto narrativo: temi centrali del suo processo artistico. Dal settembre 1965 comincia ad utilizzare una stoffa da tende rigata, le cui componenti diventano la base del suo vocabolario artistico: strisce verticali alternate bianche e colorate, larghe 8,7 cm. Questo motivo fabbricato industrialmente risponde perfettamente al suo desiderio di oggettivita' e gli permette di accentuare il carattere impersonale del suo lavoro, anche se in un primo tempo e' utilizzato solo come supporto della pittura. Dopo l’esperienza, vissuta tra il 1966 e il 1967 con Olivier Mosset, Michel Parmentier e Niele Toroni, fondata sulla ripetizione sistematica dello stesso motivo e sulla volonta' di realizzare ciascuno a suo modo “l’ultimo dipinto", Buren comincia ad esplorare le potenzialita' del motivo a strisce alternate come segno, passando cosi' dall’oggetto-pittura a cio' che egli chiama “utensile visuale", e dal novembre 1967 fa stampare la carta a strisce. Il cartellone e la carta dipinta gli permettono cosi' di ricoprire le superfici piu' varie con una modalita' d’intervento pressoche' infinita; a questa data la strada e' ancora uno degli spazi d’intervento privilegiati. Inventa la nozione di “in situ" nel campo delle arti plastiche, per caratterizzare una pratica intrinsecamente legata alle specificita' topologiche e culturali dei luoghi dove le opere sono presentate. Nel 1968 la mostra personale alla galleria Apollinaire di Milano e la partecipazione a manifestazioni internazionali “Prospect" sempre nel 1968 e nel 1969 a Dusseldorf, segnano il vero inizio della sua celebrita'. Negli anni ’70 comincia ad esporre nei musei, spesso fuori dalla Francia, e all’interno di esposizioni che lo assimilano all’arte concettuale. Da questi stessi anni le sue opere investono i piu' svariati supporti: muri, porte, pannelli d’affisione, indicatori stradali, la carta e la tela sotto vetro, sulle scale, sui treni, sulle navi, sotto forma di bandiere sui tetti di Parigi, di gilets per i custodi dei musei, ecc. Buren fa parlare di se' e scatena polemiche nel 1971 alla V Esposizione Internazionale del Solomon Guggenheim Museum a New York e nel 1972 alla celebre Documenta V organizzata da Harald Szeemann.
Negli anni ’80, i cambiamenti politici gli permettono di occupare gli spazi pubblici in modo meno fuggevole e comincia a realizzare delle opere
permanenti, delle quali la prima e forse la piu' celebre e' Les Deux Plateaux (1985-1986) al Palais-Royale. Nel 1986 si aggiudica il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per il miglior padiglione. Molto presto l’interesse di Buren si focalizza sull’ascendente dell’architettura (particolarmente quella museale) sull’arte. Egli comincia a sviluppare un lavoro piu' tridimensionale e una concezione dell’opera che non e' piu' oggetto ma modulazione dello spazio. Del 1975 e' la prima Cabane Eclate'e che costituisce una vera svolta, accentuando l’interdipendenza tra l’opera e il luogo che la accoglie attraverso giochi sapienti di costruzione e decostruzione: l’opera stessa diventa il suo proprio sito oltre che il luogo del movimento e della deambulazione. Le proposte piu' recenti si presentano come dispositivi architettonici sempre piu' complessi, che intrattengono costantemente un dialogo con l’architettura esistente. Tali proposte si manifestano in una vera e propria alterazione dello spazio, una moltiplicazione di giochi sui materiali (legno, vinile, materie plastiche, reticolati) e in una esplosione del colore. Dopo l’inizio degli anni ’90 il colore non e' piu' solamente applicato ai muri, ma letteralmente “installato nello spazio" sotto forma di filtri, lastre di vetro o plexiglas colorati. L’impressione di esplosione dell’opera, accentuato dall’utilizzo di specchi, incita lo spettatore ad uno spostamento non piu' solamente dello sguardo ma del corpo intero.
Inaugurazione: sabato 20 maggio 2006dalle ore 18 alle 24
Galleria Continua
via del castello 11 - San Gimignano
Orari: dal martedi' al sabato 14/19