Le sue opere fotografiche si articolano in serie che piu' che affrontare lo stesso tema hanno il medesimo soggetto: gli ambienti del carcere. L'immagine non offre ne' riscatto ne' testimonianza. A cura di Pier Luigi Tazzi.
Diario dal carcere
a cura di Pier Luigi Tazzi
Alessandro Mencarelli parte da quel che gli sta intorno, che segna la sua vita soprattutto professionale, che fa a sfondo alla sua esistenza. La macchina fotografica è lo strumento attraverso il quale elabora il proprio dettato poetico, come il pennello per il pittore o la sgorbia per lo scultore, in un modo molto tradizionale di concepire l’opera d’arte. Ma trovandosi questo strumento fra le mani, ed essendosi impratichito ad usarlo, lo usa anche per creare delle storie in forma di una prosa fluente e piana, e questo è carattere più insolito.
Le sue opere fotografiche si articolano in serie che non tanto affrontano lo stesso tema quanto proprio il medesimo soggetto: gli ambienti del carcere dove aspetta i suoi clienti – Attese -, dal 2001, i suoi clienti stessi – Colloqui -, dal 2001, il rifugio temporaneo di uno di loro – Hotel Clandestine -, dal 2004, paesaggi familiari – Memories -, dal 2004, i gesti rituali di una cultura diversa dalla nostra, ma di quelle che sempre di più si fanno presenti nel nostro territorio, e a cui appartiene la maggior parte della sua clientela – La luce del Buddha -, 2005, un’aula scolastica – Fotoricordo -, 2005, una nuova strada di periferia a cui è stato dato il nome di uno degli eroi eponimi dell’antica sinistra italiana, quello di Ho Chi Minh – Diario dal carcere -, 2006, l’evocazione delle atmosfere del film di Andrej Tarkovskij Stalker usando come modello un russo ancora una volta suo cliente – Nostalghia, 2006.
In Attese e Colloqui lo sguardo penetra nell’altrove e resta solo, incapsulato nella propria unità di funzione, la funzione del vedere. Qui il senso claustrofobico viene ribadito dalla stessa realizzazione fotografica, ed è forse questo il lato più inquietante dell’atto fotografico di Mencarelli, poiché l’immagine non offre né riscatto né testimonianza: l’azione creativa torna su stessa e non produce alcuna salvifica metamorfosi. Le cose restano come e quello che sono, l’atto creativo, o artistico, non le redime, anzi in esse sprofonda, vi si inabissa. Quel che si ottiene alla fine è una icona nella propria nudità segnica.
Per superare questa impasse occorrerà allora uscir fuori, spostarsi nella precarietà di Hotel Clandestine, ripescare dal fondo delle Memories, quelle immagini dell’”aperto”, che ora appaiono come residui fantasmagorici di un mondo più immaginato che vissuto tanto ne appare nostalgicamente lontano il ricordo. Oppure ricreare il rituale, del tutto privato, de La luce del Buddha, inventarsi un reportage in periferia che alla fine non è che un Diario dal carcere, rifarsi un film e scambiare il titolo, Nostalghia. A quel punto allora intervengono altri attori - ambienti, paesaggi, personaggi - che nella loro sostanza, che la costruzione dell’immagine non altera, apportano quella densità piena della vita che dovrebbe spezzare il cerchio claustrofobico della solitudine, se non colmarne il pozzo.
E non sono più icone, sono racconti, aiutati da riferimenti letterari e cinematografici, espliciti o criptici, così come, ma non di più, da un’abilità acquisita di impaginato. E tutto allora assume il senso di una passeggiata nei dintorni, quando l’assillo del presente ha come una pausa e le cose ci parlano senza essere interrogate. [Bonjour Monsieur Courbet. Buonasera Avvocato.] Pier Luigi Tazzi
Inaugurazione: 16 febbraio 2007, ore 21
Dryphoto arte contemporanea
via Pugliesi, 23 - Prato
Ingresso libero