Il percorso della materia. Dopo aver abbandonato la pittura, l'artista si e' orientato verso opere che lui stesso ha definito "sculture dinamiche". Per procedere in questo suo linguaggio ha utilizzato in particolare l'alluminio, il ferro, il piombo e l'ottone.
Il percorso della materia
"Ogni materia reca il proprio messaggio e la propria storia". Questa frase di Angela Vettese, apparsa in un suo recente testo sull'arte contemporanea è certamente affine ad alcuni aspetti dell'opera di Emilio Pian.
Scorrendo il percorso artistico dell'autore si nota un' iniziale vicinanza alle poetiche informali, che lo porta a creare un peculiare linguaggio espressivo. Dopo dieci anni viene abbandonata la strada della pittura e in parte le ricerche incentrate sul segno ed il colore. Pian ha intuito che il suo essere artista lo avrebbe portato a confrontarsi con la materia. Sono nate delle opere che lui stesso ha definito “sculture dinamiche”, e la bidimensionalità è stata superata, per arrivare a toccare esiti tridimensionali. “Dipinti/scultura” che sporgono in più lati, conferendo una grande valenza allo spazio. Quest'ultimo inteso come concetto astratto, ma anche concreto in un rapporto intrinseco tra fruitore e opera d'arte.
Per procedere in questo suo linguaggio ha utilizzato in particolare l'alluminio, il ferro, il piombo e l'ottone. Materiali non tradizionali, ma particolarmente attinenti alla sua sensibilità di artista contemporaneo, vicino alle istanze del suo tempo. Materiali che un tempo sarebbero stati definito poveri, ma ora sono visti come un vero e proprio medium per esprimere le istanze creative dell'artista. Una materia di derivazione industriale, che porta ad una semplificazione formale delle opere. Al contrario, la trama della ricerca linguistica si fa sempre più articolata. Un esprimere, attraverso i suoi lavori, stati d'animo, emozioni e riflessioni. Trasporre sulla materia i moti più profondi e interiori del pensiero e della coscienza.
Rispetto ai colori caldi delle opere di alcuni anni fa (in cui prevalevano i rossi e i blu dei collages), il salto sembra grande. Ora si nota una superficie artificiale, in cui un “freddo” apparente domina la scena. Ma osservandola con attenzione, questa svolta cromatica è in parte funzionale. Una rivoluzione “copernicana”, che per Pian è un mezzo per raggiungere un fine ultimo: il dialogo con la materia. Un percorso in questa monografia che delinea vari aspetti dell'autore. Dalla suggestiva installazione nel pavimento emergono singoli elementi in ferro come estrapolati, per ottenere una valenza autonoma. Disposti nel suolo - che diventa superficie visiva – creano una composizione, in cui l'unione e la disposizione delle varie opere, crea un “gioco” di forme geometriche composito.
Elementi che in Pian spesso ricordano il suprematismo. Forme base per rappresentare contenuti astratti, come veicoli per l'espressione, per formare una corrispondenza tra idea e percezione. La necessità per l'arte di esprimere la propria autonomia spirituale rispetto la realtà. Creazione come fatto estetico autonomo, svincolato da ogni rappresentazione. Di pregio le cosiddette “griglie” disposte “nelle” pareti, a rimembrare gli spazi cromatici di Mondrian. In alternativa alle superfici colorate, Pian utilizza quadri e rettangoli geometrici che emergono dalla struttura in metallo. Viene creato il medesimo senso dello spazio pieno che si alterna al vuoto. Un continuo riempire e svuotare, sommare e sottrarre, per superare la paura del vuoto stesso.
Procedendo in un percorso ideale, vi sono una serie di opere in alluminio disposte rigorosamente. Un totale equilibrio armonico, certamente immune da ogni travisamento visivo. Una simmetria estetica in questa sequenza di opere, tale da creare una inviolabilità dell'insieme. Queste realizzate con un materiale solo all'apparenza freddo e lontano dalla vitalità umana. L'alluminio - come ama ricordare l'autore – è altresì presente in natura e nell'uomo. InformazioneIl percorso della materia quasi destabilizzante che fa sentire il fruitore certamente più vicino a quelle composizioni. Un equilibrio che a tratti viene intaccato, nel procedere alle opere successive. Talvolta spunta qualche barlume di segno, che insinua il “dubbio” all'interno del rigore precedente. Emerge il tratto pittorico, raro, ma ricco di pregio ed emozionalità. Le composizioni dei grandi “neri” e “bianchi” godono di maggiore libertà, mediante degli elementi compositivi meno definiti e puntuali. Opere costruite con i colori per eccellenza, definiti talvolta “non colori”, tale è il senso di assenza, silenzio e vuoto che sanno esprimere. Ritorna un vago gusto per il collages e l'applicazione di ulteriori materiali per opere che evocano alcuni spunti delle grandi stagioni dell'informale.
Grande rilievo hanno le opere posate a terra, tra l'installazione e la scultura. Il fruitore vi gira intorno, entra in contatto con loro. Per usare le parole di Vassily Kandinsky: “ogni fenomeno può essere vissuto dall'interno e dall'esterno”. Il grande maestro e teorico dell'arte moderna usava un semplice esempio per definire un tale concetto. Una strada può essere osservata stando dietro una finestra. In questo caso ogni rumore viene attutito. Viceversa si può aprire la porta e diventare soggetti attivi. Partecipare a questo pulsare con tutti i sensi. Le opere di Emilio Pian necessitano questo rapporto e raffronto con lo spettatore. Infine i piccoli “piombi”. Una superficie che va scrutata in ogni minimo dettaglio. Ogni venatura della materia ha risvolti ricchi di fascino. Sì, “venatura” è il termine più adatto. Come per gli alberi, e le piante sembra che questi segni siano i testimoni di un'esistenza, in questo caso della materia. Un elemento che prende vita, ha un suo percorso ed una sua storia. Non è solo un mero mezzo esecutivo, ma vero e proprio fine, portatore di istanze ed implicito alle narrazioni dell'autore.
Carlo Sala
E ora i nuovi lavori: possibili idee di future sculture, impregnate di segni istintivi ed energici che rappresentano progetti mentali costruiti su grandi tele bianche. Tele che ricordano il semplice foglio di carta ma che danno a questi progetti tutta l'importanza che un'opera finita assume. La grafite, il segno nero, i pochi colori appena accennati che dialogano con piccole presenze di ferro e piombo - materiali sempre vicini all'animo dell'autore – e i numeri che si rincorrono, perché ogni progetto è scandito da numeri: tutto questo scompare e riemerge dal grigio, nebbia poetica che culla le idee e che non vuole rivelare troppo dell'opera finale, perché è il progetto che ora dobbiamo osservare.
Inaugurazione: 10 marzo 2007
Galleria Polin
vicolo San Pancrazio, 20 - Treviso
Chiuso il lunedi'
Ingresso libero