Enzo Cacciola, Paolo Cotani, Pino Pinelli e Gianfranco Zappettini. Artisti che sono legati da una storia comune: tutti appartengono a quella corrente artistica che dagli anni '70 in poi si e' sviluppata nelle singole individualita' con un discorso metalinguistico, parlando della pittura con la pittura. A cura di Giorgio Bonomi.
4 protaginisti: Enzo Cacciola, Paolo Cotani, Pino Pinelli e Gianfranco Zappettini
a cura di Giorgio Bonomi
Un quartetto di artisti che sono legati da una storia comune: tutti appartengono a quella corrente artistica, la Pittura analitica, che dagli anni ’70 in poi si è sviluppata nelle singole individualità, ognuna con un suo percorso, ma non dimentica di quel passato. Questi quattro protagonisti della Pittura analitica si ritrovano insieme ora con lavori recenti, tappa ulteriore di itinerari oramai frequenti, fatti in solitudine o in compagnia.
Non è difficile cogliere le differenze tra costoro ma anche la loro unitarietà, la quale, in generale, può essere una totalità di parti tutte simili e quindi “indistinta”, cioè inutile sul piano conoscitivo, oppure una complessità derivata da una composizione unitaria di diversità. Il nostro è quest’ultimo caso: tutti e quattro gli artisti si presentano con un discorso metalinguistico, infatti parlano della pittura con la pittura. Affievolita, in seguito, la necessità di un discorso analitico e operazionistico – riprendere la pittura a partire dai suoi elementi minimi (segno, colore, superficie, supporto, ecc.) e dalle riflessioni sulle operazioni necessarie per realizzarla (pennellata, energia, lavoro, ecc.) – oggi questi artisti, con un personale discorso che subito qui appresso vedremo, possono unirsi in un’unità complessa, legata appunto dalla volontà di esprimere attraverso la pittura innanzi tutto le modalità tese a difendere e diffondere le ragioni della pittura; poi, in seconda istanza, dietro la razionalità possiamo trovare gli elementi emotivi, talvolta anche lirici, che solo la pittura, nelle sue forme personalissime, riesce a creare.
Orbene, veniamo alle singole personalità. Cacciola e Pinelli esprimono una forza centrifuga, una volontà di “rottura” del quadro. Il primo, dopo la scissione e l’“allontanamento” di due parti dell’opera, costruite in modo “autonomo”, ricerca, preso da una sorta di forza centripeta, il “ritorno” all’unità.
I suoi lavori sono costituiti da due “pezzi” uniti saldamente (quasi per un timore di ritrovarsi la “lacerazione”, la “ferita”, direbbe Derrida) con bulloni di ferro ben in vista, a marcare la stretta riunione delle due entità monocromatiche (il monocromo, ancorché non “assoluto”, è caratteristica di tutti i pittori analitici) e materiche, essendo Cacciola sempre attento allo “spessore” del colore, ricercato, appunto, in tutto il suo peso, non a caso nelle giunzioni “cola”, con un’operazione densa di concettualismo, un colore altro, resinoso, che diviene dialetticamente centro di unità e limite di divisione.
In Pinelli, invece, la rottura è senza ritorno e resta rigorosa “disseminazione”: i pezzi, i frammenti, risultati dalla rottura del quadro, quindi di una forma, divenuti titolari di una nuova forma, trovano la stasi e l’equilibrio delle tensioni (anche qui abbiamo una “lotta” tra la forza centrifuga e quella centripeta, tra attrazione e repulsione, con un magnetismo di forte intensità) solo sulla parete che, così, assume le funzioni del supporto. In più questi “pezzi”, queste “schegge” (usiamo tali termini per il loro significato concettuale, perché in realtà, nel corso degli anni, abbiamo figure geometriche più o meno definite, frattali, croci, ecc.) testimoniano il loro volere essere “entità di colore”, nel senso che in Pinelli il colore si “concretizza”, diviene una materia concreta, dotata di un suo fondamento ontologico. Si ha una “massa” densa di colore che viene “temperata” dalla sensualità della “pelle” dell’opera, una sorta di colore vellutato, assai piacevole al tatto, oltre che alla vista.
Zappettini e Cotani sembrano, invece, servirsi delle potenzialità della forza centripeta, cioè la loro pittura li porta all’interno del quadro, con un’intensità profonda e “corposa” (di colore).
Cotani, negli anni giovanili, aveva assunto a principio il “nascondimento”, cioè la tela e il telaio venivano celati con delle bende elastiche che “stringevano” il quadro, nascondendo qualcosa di ineffabile: la tela bianca? Il colore? La pittura stessa? Quasi si trattasse di “pittura ferita” da fasciarsi con le bende, le quali però erano “dipinte” – ovviamente in maniera monocroma – appunto perché elemento di “cura”. Dopo vari passaggi, Cotani ritrova il “nascondimento”: dipinge sopra fotografie attaccate sulla tela, con una riacquisizione del ruolo della pittura di fronte all’orgiastico uso della fotografia da parte di tanti artisti che hanno voluto sentirsi alla moda, ribadendo quindi la forza della pittura nei confronti della fotografia. Più recentemente l’artista vuole dare alla sua pittura – che si costruisce sempre attraverso un “togliere e aggiungere”, nel senso di un continuo “ricoprire” – una capacità sontuosa o, meglio, araldica, da cui l’uso del colore oro, senza ridondanze e senza eccessi, soltanto con la sua capacità immediata di suggestione aristocratica.
Zappettini, negli anni d’oro dell’Analiticità, che si presentava aristocratica ed elitaria nei confronti dell’Arte povera e della successiva Transavanguardia, eseguiva dei quadri rigorosamente bianchi, con un colore bianco “solitario”, non unico ma plurale, ottenuto con ripetizioni differenti e successive (con il rullo come gli imbianchini, perché anche la pittura è “lavoro”).
Poi si è confrontato con il blu: colore intensissimo per le emozioni che provoca, per i riferimenti simbolici e spirituali che contiene. A questo, appunto in una acquisita volontà simbolica, aggiunge una stesura del colore per “linee” orizzontali e verticali che, assieme ad elementi che creano spessore, costruisce, con la trama e l’ordito ottenuti, un “tessuto” misterico e coinvolgente. Talvolta “impreziosisce” la tela, ma senza intenti di sfarzo o di rappresentazione, con piccoli elementi di argento o di oro, oppure di colore rosso, una sorta di pixel su uno schermo che vuole essere immagine del mondo (naturalmente del pensiero e dell’anima, non della realtà fisica). Se il blu tende, nelle sue costruzioni, via via alla rarefazione, non è escluso che in questo “processo” (percorso) l’artista ritrovi la rarefazione assoluta, cioè un nuovo bianco, senza gli aspetti ideologici di trent’anni fa, ma con l’intensità emotiva e lirica e la “sacralità” di oggi. Giorgio Bonomi
Inaugurazione sabato 24 marzo alle ore 18:00
Galleria 911
via del Torretto 48 – La Spezia
Orario apertura della Galleria: dal lunedì al sabato dalle ore 10.00 alle 12,00 dalle 16,30 alle 19,30