Figure luminescenti. La teoria degli spettri. A cura di Clement Cheroux. La mostra s'inserisce nell'ambito del Festival di Fotografia di Roma.
Figure luminescenti
A cura di Clement Cheroux
La teoria degli spettri secondo Paolo Gioli
Nadar racconta che Balzac rifiutava di farsi fotografare e aveva imbastito, per scusarsene, una curiosa «teoria degli spettri». Considerando che niente nasceva da niente, riteneva infatti che l’operazione di Daguerre non potesse farsi senza che un pò della sostanza del modello fosse prima prelevata e poi, in seguito, trasferita sulla lastra sensibile. A forza di mettersi in posa si correva il rischio di farsi sfogliare e cioè di perdere sostanza. C’è un pò di questa teoria degli spettri nella ultima serie di fotografie di Paolo Gioli. I frammenti di sculture che fotografa sono, essi stessi, l’ultima traccia spettrale di esseri, di dèi o di figure allegoriche dimenticate. La loro immagine viene fissata nella camera ottica sopra una superficie sensibile che non è costituita, come di solito, da sali d’argento ma da materiale fosforescente.
Una volta portato ad un grado sufficiente di incandescenza esso lascia trasparire una strana immagine che nella sua evanescenza non può non ricordare le descrizioni delle apparizioni di spettri delle sedute spiritiche del XIX secolo. Attraverso un contatto per riflesso, questa immagine luminescente viene in seguito trasferita su un foglio Cibachrome o su pellicola polaroid. A differenza della teoria di Balzac, in questo caso gli oggetti non hanno perduto la loro sostanza con l’operazione fotografica. I pezzi di scultura fotografati da Gioli appaiono al contrario rivitalizzati, ravvivati, come improvvisamente dotati di una luce residua. E tuttavia non c’è qui alcunché di occulto. Se di spettri si può parlare, non sono però altro che spettri di luce. Quanto al mezzo, il solo che interessi davvero a Gioli, è il mezzo fotografico. Perchè quel che questa serie di «trasferti» di spettri mette in evidenza è il viaggio della luce: il modo in cui essa si riflette, in cui si trasmette e in cui, alla fine, viene catturata. Non è l’anima di questi frammenti d’antichità che Gioli ha tentato di fissare quanto piuttosto il loro divenire immagine.
Clément Chéroux
Paolo Gioli nasce a Sarzano (Rovigo) nel ‘42. Nel ‘60 frequenta la scuola libera del nudo presso l’Accademia di Belle Arti a Venezia dove per qualche anno si stabilisce e lavora. Nel ‘67 parte per New York, dove resterà a lavorare per un anno ottenendo anche una borsa di studio della John Cabot Fund. Conosce il New American Cinema e -in pittura- la Scuola di New York ed entra in contatto con i galleristi Leo Castelli e Martha Jackson. Costretto ad interrompere l’esperienza americana e a rientrare in Italia per problemi collegati al visto di soggiorno Gioli, nel ‘70, si stabilisce a Roma dove entra in rapporto con la Cooperativa Cinema Indipendente che orbita intorno al Filmstudio e cui fanno capo un po’ tutti gli autori di cinema sperimentale italiano.
E’ tra Rovigo e Roma che produce i primi film che sviluppa da solo usando la cinecamera come un laboratorio, sulla scia dei Lumière. A Roma approfondisce anche il suo interesse per la fotografia di cui indaga specialmente le origini. Nel 76 si trasferisce a Milano dove, oltre al cinema, si dedica con continuità alla fotografia. Troverà nel polaroid -che egli chiama umido incunabolo della storia moderna- un sorprendente mezzo per allargare ulteriormente la sua ricerca sulla fotografia istantanea, travasandone la materia su supporti diversi dalla pellicola come la carta e la tela e apparentandola così alle arti belle. Agli inizi degli anni ’80 torna nella sua terra in Polesine. Oggi vive e lavora a Lendinara.
Inaugurazione 3 aprile 2007
Museo di Roma Palazzo Braschi
Piazza San Pantaleo, 10 - Roma
Orario: Mar – dom, 9.00 – 19.00
Biglietti: Intero euro 9, ridotto euro 7