Gli 11 lavori esposti appartengono a un progetto fotografico che l'artista porta avanti dalla fine degli anni Novanta. Fotografie di spazi museali che diventano "non luoghi" in quanto non identificabili, perche' all'artista interessa primariamente giungere a composizioni equilibrate, lasciando all'osservatore un implicito desiderio di decifrazione.
Sense out Sens aut
Max Tomasinelli presenta la prima sezione di un progetto
fotografico che porta avanti dalla fine degli anni novanta,
quando strappava ritratti di amici e familiari per
completarne le forme con scritte, segni e disegni. Allora, i
messaggi erano diretti alle persone ritratte, restando
intellegibili e legando fortemente i soggetti al segno.
Gli 11 lavori esposti appartengono alla fase successiva
della ricerca, che inizia nel 2005: la scrittura, intima
confessione che dura solo il tempo dell’esecuzione, si
chiude in se stessa, indecifrabile allo spettatore e
all’autore, che non ne ritrova il senso. Sense out e,
giocando con il dialetto piemontese, "sens aut".
Fotografie di spazi museali, dove la cultura si respira,
dove l’uomo passa, dialoga, riflette, non identificabili e
anche per questo dei "non luoghi". Perché quello che
interessa a Max, che mai perde lo sguardo del fotografo, è
giungere a composizioni equilibrate, che diventino superfici
pure e immobili su cui appoggiare i "graffiti", tracce
invisibili che riaffiorano lentamente, quasi a raccontare
una storia nascosta, criptata. Linee e lettere perdono la
loro forma nella velocità dell’esecuzione, diventano
immagine sull’immagine, lasciando all’osservatore un
implicito desiderio di decifrazione.
Una scrivania abbandonata e un tavolo riunioni deserto al
Ludwig Museum di Colonia sembrano conservare ancora
nell’aria discorsi, discussioni, pensieri.
Testi fluttuanti come tele appese nel vuoto riempiono la
sala deserta del MACBA di Barcellona.
Nella biblioteca della Fundaciò Antoni Tàpies di
Barcellona regna il silenzio, ma le parole sono comunque
lì imprigionate, e vanno a sbattere contro il vetro che
separa lo spettatore, quasi tentassero di farsi sentire.
L’imponente scalone d’ingresso del Metropolitan Museum
of Art di New York, che il grande formato rende ancora
più maestoso, vede un fiume di parole scorrere e ricoprire
le centinaia di figure umane che ogni giorno lo percorrono.
L’unica facciata esterna è quella del Max Ernst Museum
di Bruhl: proprio in omaggio al grande artista è in parte
deformata.
Accanto ai grandi formati compare una serie di quattro
immagini 20x20, caratterizzate da un approccio più
grafico. La scrittura gestuale si deposita su quella
preesistente. Le lettere suggeriscono trame di differente
densità, ma il linguaggio non è svelato.
Il segno di Max, diventa così metafora di una società
assillata dal tempo, abbandonata alla contrazione
linguistica e ai contenuti banali, incapace di comunicare.
Ogni lavoro, elaborato in Photoshop, stampato lambda e
montato su fondo di alluminio, è tirato in tre copie. I
piccoli formati sono tirati in 5 copie.
Note biografiche
Max Tomasinelli è nato nel 1971 a Torino, dove vive e
lavora come fotografo nel campo della pubblicità, della
moda e dell’arte per agenzie pubblicitarie e grandi
aziende. Appassionato di arte contemporanea, segue le principali
fiere e porta avanti un progetto editoriale che lo vede
ritrarre artisti di fama internazionale, fra cui Louise
Bourgeois, Dennis Oppenheim, Vito Acconci, Daniel Buren,
Milton Glaser, Mark Kostabi, Carla Accardi, Carol Rama...
Inaugurazione: giovedi' 19 aprile alle 18.30
Pho-To' 35 Gallery
Via Giuseppe Barbaroux 35 - Torino
Orari: tutti i giorni 16-20, domenica chiuso, apertura fuori orario su appuntamento
Ingresso gratuito