Scripted and Scored. Il fine dell'artista e' di interrompere l'isolamento dell'opera d'arte, spesso relegata in uno spazio avulso dal contesto, e di abolire qualsiasi categorizzazione che incaselli il lavoro in un genere specifico. Da qui nascono alcune sculture in cui un oggetto tridimensionale trova il suo alter ego nella sua trasposizione grafica.
Scripted and Scored
La ricerca artistica di Evan Holloway è da sempre incentrata sul tema dell’interattività dell’opera con una serie di fattori esterni. Sostenitore di un’arte che rifugge la staticità e l’immobilità del “feticcio”, l’artista californiano scandaglia ogni relazione possibile dell’oggetto con ciò che è aldilà di esso o al suo opposto.
Il fine è quello di interrompere l’isolamento dell’opera d’arte, spesso relegata in uno spazio avulso dal contesto, e di abolire qualsiasi categorizzazione che incaselli il lavoro in un genere specifico. Da qui nascono alcune sculture in cui un oggetto tridimensionale trova il suo alter ego nella sua trasposizione grafica, a voler suggerire una lettura multidirezionale. Oppure una serie di griglie metalliche la cui texture induce lo spettatore ad una visione discontinua e, di conseguenza, ad una riflessione sui processi visivi.
La fruizione partecipativa da parte dell’osservatore rappresenta il completamento dell’opera. Il suo significato quindi non è un valore dato, un assioma, ma è semplicemente una qualità attribuita e determinata da infinite variabili.
Per la personale presentata in galleria Holloway pone, questa volta, l’accento sul binomio causa/effetto, determinato dall’interazione tra una serie di input e di output.
Il titolo stesso “Scripted and Scored” ne riassume il concetto. Non esistono più illimitate variabili, il tutto è matematicamente programmato e ordinato. La fruizione dell’opera non è lasciata ad un’individuale e multiforme lettura ma è scientificamente pilotata. L’interattività però non è mai negata, ma unicamente sottratta alla contingenza: è racchiusa nell’opera stessa.
Due dei lavori in mostra, “Music Videos” e “Counting Robot”, rappresentano perfettamente quest’idea. Nel primo, alcune banalissime azioni - riprese da una telecamera di sorveglianza - come lanciare un dado, salire e scendere le scale, scoprire una carta da gioco, sono correlate ad un effetto acustico. Questo insieme di suoni determina a sua volta un’ulteriore traccia sonora, ispirata a metodi di composizione musicale del XX secolo: da Cage a Schoenberg, da Crumb ai minimalisti.
Nel secondo, invece, un cilindro ricoperto di rame è collegato attraverso dei cavi elettrici ad alcuni neon posti su una cornice di legno dalla struttura simile ad un led digitale. La rotazione del rullo provoca l’accensione e lo spegnimento delle luci, la cui combinazione dà vita ad una sequenza numerica.
Ciò che entrambi i lavori vogliono sottolineare è il valore imprescindibile che i codici e l’ordine assumono in relazione al nostro comportamento sociale.
Per cui ad una determinata azione corrisponde una specifica reazione, in un processo rigorosamente disciplinato. E’ come nel gioco, dove il punteggio finale è strettamente connesso ad un corpus di regole, e il valore di una mossa è numericamente prestabilito.
Il numero quindi è inteso da Holloway come elemento razionale, ma anche simbolico e rituale. Pensiero espresso nelle “Numerical Sculptures”: filiformi numeri metallici da cui si diramano piccole teste di terracotta, sorta di maschere atemporali legate ad una memoria atavica. Una fusione di valori estetici, scientifici e antropologici che sintetizza emblematicamente la cifra dell’artista.
Inaugurazione 28 settembre 2007
Galleria Raucci/Santamaria
Corso Amedeo di Savoia 190 - Napoli
Orario: dal martedì al venerdì 11.00-13.30/14.30-18.30
Ingresso libero