Lost toys. Opere realizzate tra il 1995 e il 2o02. Sono pupazzi stupidamente affascinati da tutto cio' che e' kitsch, dal trash, dal consumismo sfrenato, dalla pubblicita' volgare, dai piu' beceri luoghi comuni. Nella loro esagerazione sembrano il riflesso deformato della follia che abita il mondo reale.
Lost toys
"Ogni tempo ha i suoi occhi", affermava Oscar Wilde, intendendo dire che ogni epoca ha un suo modo di vedere le cose, di leggerle, di interpretarle. Ma, attenzione: anche il passato non è mai qualcosa di passivo, ma qualcosa in perenne trasformazione: preme sul presente e apre alla continuità del futuro. Così, quei pupazzi intorno ai quali Silvano Tessarollo si industriava fino a qualche anno fa, alternandone i connotati e rendendoli giocosamente caricaturali forse non sono così distanti dagli scenari da "day after" su cui l'artista sta ponendo la sua attenzione oggi. Riguardandoli, in questa mostra, con il loro fare un po' ilare, un po' iroso, sempre indaffarati in faccende paradossali, danno l'idea di essere irreparabilmente colpiti da una oscura patologia che ne appesantisce i tratti, ne gonfia i volumi, ne confonde le sembianze. Sono un trionfo di ambiguità e di umorismo, di ilarità e di inquietudine.
Come i protagonisti dei cartoon da cui provengono (paperi, puffi, topi, ecc.) essi si mostrano eccessivi, irriverenti, sconclusionati, corrotti. Sono creature stupidamente affascinate da tutto ciò che è kitsch, dal trash, dal consumismo sfrenato, dalla pubblicità volgare, dai più beceri luoghi comuni. Nella loro esagerazione sembrano il riflesso deformato della follia che abita il mondo reale, senza per questo diventare immagini dai risvolti politici o sociali. Non pretendono di essere credibili, ma cercano complicità e condivisione. E lo fanno, rivelando il segreto del loro linguaggio: l'impiego cioè di quel materiale morbido e insieme torbido che è la cera, ma una cera che pare ancora non ben rappresa e che dà ai corpi e alle cose la sensazione di un perenne disfacimento, di una eterna decadenza.
Sono tutte opere realizzate nel giro degli anni che vanno dal 1995 al 2002 e che sono sempre state osservate secondo l'ottica delle "identità mutanti", delle contaminazioni tra materia e forma, se non addirittura tra forma e forma. In realtà, riviste dopo i cicli di Umano è il nostro cielo (2004/2005), dei Interni/bagni (2006) o di Dies Irae (2007), dove si susseguono immagini che sembrano letteralmente strappare all'incantesimo del male le figure del suo orrore, in questi "bamboccianti" si intuisce la prima scaturigine di un teatro della vita, in cui gli esseri sono ostaggio di una rovina sempre in agguato: forse è per questo che appaiono incompiuti, imperfetti, invariabilmente in scacco. Portano in loro i sintomi della catastrofe, del disastro che si farà abissale nelle estreme, spoglie, mutilate "giostrine". Così per Tessarollo "gli occhi del nostro tempo" sembrano come immersi in quel "Rumore bianco" di cui parla De Lillo, un brusìo di fondo in cui non distinguiamo più i piccoli e i grandi disastri che ci circondano e in cui le miserie quotidiane s'intrecciano incredibilmente con le minacce universali.
Galleria L'Elefante
via Roggia 52 - Treviso
Orario: dal martedì al sabato 15.30-19.30 o su appuntamento
Ingresso libero