La Cuba d'Oro
Roma
via della Pelliccia, 10
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Mini>Maxi
dal 3/12/2007 al 19/12/2007
martedi - sabato 17-20

Segnalato da

Carmelo Marchese




 
calendario eventi  :: 




3/12/2007

Mini>Maxi

La Cuba d'Oro, Roma

Da una parte, opere consapevolmente minime come alternativa a un'arte aggressiva e ingombrante. Dall'altra, una collettiva di lavori di grande formato, a cura di Lamberto Pignotti.


comunicato stampa

A cura di Lamberto Pignotti

«Si va diffondendo l’idea che per essere grandi artisti si debbano fare opere grandi, opere cioè di grandi dimensioni. E’ un’idea ingannevole, alimentata anche per scopi speculativi, che mira tra l’altro non tanto ad accrescere il valore di un certo artista quanto a far gonfiare un certo titolo in borsa. L’idea tende a suggerire infatti che le opere grandi abbiano come destinazione i grandi musei.
L’insofferenza a questo stato di cose è assai diffusa, ma non trova sempre luoghi, modi e canali adatti a convogliarla in una reazione di segno opposto, consapevole e fattiva»
.
Muovendo da tale presupposto LA CUBA D’ORO, sensibile alle varie espressioni d’arte e di ricerca, ha realizzato l’idea di Lamberto Pignotti con la presente mostra alla quale sono stati invitati artisti disposti a condividere una simile impostazione e che hanno inviato una loro opera rispondente al titolo della mostra stessa, titolo che esclude con decisione l’idea consolatoria del “piccolo è bello”.

Espongono
Paolo Albani, Bruno Aller, Fernando Andolcetti, Antonio Baglivo, Vittore Baroni, Carla Bertola, Tomaso Binga, Mario Bizzarri, Julien Blaine, Annalù Boeretto, Anna Boschi, Antonino Bove, Erica Briani, Donata Buccioli, Marzia Calì, Carla Cantatore, Irene Catalfamo, Grazia Cianetti, Marina Cianetti, Cosimo Cimino, Mario Commone, Vitaldo Conte, Carlo Marcello Conti, Eleonora Del Brocco, Chiara Diamantini, Adriano Di Giacomo, Stefania Di Lino, Marcello Diotallevi, Gilberto Di Stazio, Gabriella Di Trani, Edith Dzieduszycka, Marisa Facchinetti, Laura Facchini, Franco Falasca, Vittorio Fava, Arcangelo Favata, Fernanda Fedi, Gio Ferri, Rosanna Fioravanti, Melo Franchina, Antonio Freiles, Chiara Gallo, Giovanna Gandini, Delio Gennai, Laura Giambarresi, Nella Giambarresi, Gino Gini, Lillo Giuliana, Salvatore Giunta, Elisabetta Gut, Hafiza, Oronzo Liuzzi, Ruggero Maggi, Malipiero, Carmelo Marchese, Fabio Marchese, Lucia Marcucci, Franco Marrocco, Stelio M. Martini, Gisella Meo, Giorgio Moio, Elisa Montessori, Angela Noya, Maurizio Osti, Lina Passalacqua, Gloria Persiani, Lamberto Pignotti, Maria Elisabetta Piu, Gabriella Porpora, Giustina Prestento, Elvi Ratti, Maria Luisa Ricciuti, Simona Sarti, Paolo Scirpa, Eugenia Serafini, Grazia Sernia, Franca Sonnino, Franco Spena, William Xerra, Mariannita Zanzucchi, Franco Ziliotto.

MINI>MAXI, ovverosia PICCOLO E’ GRANDE

MINI>MAXI, “minimo” superiore a “massimo”, “piccolo” maggiore di “grande”: un bizzarro gioco del linguaggio, un paradossale ribaltamento della percezione estetica, una sollecitazione a immaginare e a guardare – criticamente, artisticamente … - con altro occhio?

L’occhio è certamente un organo della vista, ma è anche un organo della cultura. Se non proprio di oggi, è assai recente la consapevolezza che l’occhio, lungi dall’essere un mero registratore di ciò che gli si para davanti, sia in realtà un selettore che ordina e valuta i dati che gli affluiscono dal mondo circostante. L’occhio insomma, più che guardare, “legge”. Per fare un esempio – “fantascientifico” e a un tempo “terra-terra” – l’eventuale extragalattico che arrivasse sul nostro pianeta, munito di occhi ma non di cultura terrestre, sbircerebbe le nostre cose e avrebbe su per giù le stesse sensazioni di chi guarda dei geroglifici senza conoscerne il codice.

In un libro famoso quanto stimolante, dal titolo Il linguaggio della visione, Gyorgy Kepes scriveva che “la comunicazione ottica è uno dei mezzi potenzialmente più validi sia per riconciliare l’uomo con la sua conoscenza che per riplasmarlo in un essere integrato. Il linguaggio delle immagini è in grado di diffondere il sapere più efficacemente di ogni altro mezzo di comunicazione. Permette all’uomo, di esprimere e riferire le sue esperienze in una forma oggettiva.

La comunicazione visiva è universale e internazionale”. L’uomo di oggi non solo vede, ma legge e valuta il mondo circostante con un occhio che rimanda continuamente a un’enciclopedia, a una banca dati, a un archivio organizzato culturalmente dalla memoria.

Ma in simile “enciclopedia”, “banca dati”, “archivio culturale”, rientrano, quando dalle immagini visive si passa alle immagini delle arti visive, anche voci ricorrenti come “musei”, “gallerie”, “riviste”, “mostre”, “cataloghi”, “critica”, “mercato”… Già, la critica, il mercato … Anche se non è certo questa la sede più adatta per insistere sul condizionamento della produzione artistica da parte del mercato, fatto che è palese a sufficienza, almeno di sfuggita non si può fare a meno di richiamare all’ordine una certa critica che appare un po’ troppo disinvoltamente coinvolta nella mediazione fra l’arte e, appunto, il mercato. Siffatta mediazione può allora farsi complice di una progressiva trasfigurazione dell’autonomia dell’occhio condizionandolo in senso eteronomo e al limite mercantile.

Al rapporto tra Produzione artistica e mercato, Francesco Poli, fin dal titolo del suo libro, ha dedicato inequivocabili parole sulla effettiva funzione mediatrice dei musei, alcuni dei quali, a partire da quelli americani, si presentano come vere e proprie aziende di propaganda e di promozione nei riguardi dei valori artistici, nuovi o già consacrati: “Essendo la maggior parte dei musei finanziati da fondazioni, industrie, gruppi o singoli magnati, l’efficienza è la parola d’ordine dei conservatori dei musei, veri e propri manager di tipo moderno”.

Alla tematica del museo possono essere connessi anche interrogativi del genere: trattandosi usualmente di “megastrutture” pubbliche, chi sceglie, e quindi “compra”, in nome del pubblico? Quali sono i criteri espositivi, e quindi “comunicativi”, con cui si esibiscono le opere? Posto che il museo moderno non va più considerato un mero “contenitore” ma soprattutto una fonte di informazione e cultura, che “linguaggio” deve usare a tal fine?

Un altro momento della mediazione fra arte e pubblico è rappresentato dall’informazione, la quale costituisce il primo livello del rapporto fra i due elementi. Dipende innanzi tutto dallo spazio che si assegna alle espressioni estetiche, ma anche dal modo con cui se ne parla. In linea di massima se ne può tracciare un quadro tutt’altro che roseo: pagine di giornale scompaiono, colonne si accorciano, rubriche si rattrappiscono, …

L’arte viene poi non di rado trattata con un gergo da adepti che risulta un vero e proprio cifrario: invece di allargare il gioco al pubblico si preferisce ostinarsi in un ping-pong fra recensori e critici.
A questo punto il discorso dovrebbe andare a parare sul gioco delle parti e su quale gioco viene fatto. Perché non ricorrere in proposito a Ludwig Wittgenstein che di giochi linguistici ed estetici, ma non solo, se ne intendeva? “Se non avessi appreso le regole non sarei in grado di dare un giudizio estetico”, osserva in una delle sue Lezioni. Ma “in che cosa consiste la valutazione? ... Non solo è difficile descrivere in che cosa consista la valutazione , ma è impossibile: per descrivere in che cosa consiste, dovremmo descrivere tutto il contesto ambientale”. E ancora: “Le parole che chiamiamo espressioni di giudizio estetico hanno un ruolo molto complicato, ma ben definito, in ciò che chiamiamo la cultura di un periodo. Per descrivere il loro uso o per descrivere ciò che intendi per un gusto colto, devi descrivere una cultura. Nelle diverse età si gioca un gioco del tutto diverso… Ciò che appartiene a un gioco linguistico è un’intera cultura”.

Rimettendo a fuoco l’assunto da cui abbiamo preso le mosse, come viene percepita nelle diverse epoche, relativamente alla produzione artistica, l’idea del “grande” rapportata a quella del “piccolo”? Vi sono periodi in cui queste due dimensioni non vengono percepite come contrapposte, e soprattutto non si dà per scontato che l’idea del “grande” prevarichi e connoti la superiorità dell’idea del “piccolo”. E’ a tal riguardo che Leonardo è portato a osservare come una montagna possa essere piccola e una perla grossa, ma erano tempi appunto in cui non ci si sognava aprioristicamente di sottovalutare una bibbia miniata nei confronti di una pala d’altare.

Sarebbe meglio insomma, come consigliava Pierre Francastel, di essere meno svagati riguardo alle dimensioni nel campo delle arti visive, magari mettendo sullo stesso piano, come fanno certi frettolosi storici dell’arte, un libro d’ore e una cappella affrescata, opere che evidentemente prevedono di attuare e di trasmettere un diverso rapporto di fruizione.

Detto questo non si può non convenire che l’idea del “grande” una certa sua attendibile preminenza se la è conquistata anche meritatamente durante l’arco di svariati secoli ed è legata agli attributi, oltre che della vistosità, a quelli della progettualità, della sistematicità, della realizzazione, della compiutezza … Viceversa l’idea del “piccolo” è solitamente associata agli attributi dell’improvvisazione, dell’abbozzo, dello sporadico, del frammento, dell’incompiuto … Il “grande” tende a suggerire la premeditazione, l’adesione a un codice sostanzialmente riconosciuto, il “piccolo” rappresenta piuttosto l’improvvisazione, l’insofferenza alle regole.
La modernità, la concezione delle avanguardie, portando avanti una tendenza del romanticismo, reagisce all’idea del “grande” come metro della compiutezza e della realizzazione, mirando a legare il “piccolo” al lampo di genio, alla pennellata svelta degli impressionisti, alle tavole parolibere, al collage cubista, al “ready made” dadà, al “cadavere exquis” surrealista, alla poesia visiva e concreta, al concettualismo, alla mail art, all’arte povera, al libro oggetto, al “reperto” e alla foto della performance …

Quella che potrebbe essere definita la rivalutazione del “piccolo” rispetto al “grande”non ha avuto solo una connotazione estetica. Parallelamente si è sviluppata anche una assai generale propensione ideologica – in senso ampio – a pensare che l’arte – quella sua “nuova frontiera” spostata sempre più avanti – avesse più probabilità di incidere sulla società (percepita come mondo ordinato, sistematico, equilibrato, armonico …) affidandosi a modalità incisive, ad azioni rapide, a strutture poco ingombranti, a rapidi capovolgimenti di fronte, a guerriglie semiologiche, a messaggi imprevedibili.

Tale processo appare più marcato nei periodi in cui l’arte non mira all’integrazione – o almeno non vi mira apertamente sui tempi brevi – ma all’opposizione, alla contrapposizione, alla provocazione, al dissenso. In casi del genere l’operare estetico viene mentalmente visualizzato come rivalsa limitata, come contromossa tattica, nei confronti del sistema: non si immaginano guerre su ampi fronti, bensì operazioni di guerriglieri, commandos e guastatori …

Muoviamo ora dalla reale complessità di un simile contesto, qui succintamente tratteggiato, ma anche dalla apparente semplicità di uno di quei giochi estetici e linguistici a cui ci invita Wittgenstein, quando – e non scherzava affatto – dice: “Classifico le opere d’arte in questo modo: per alcune guardo in su, per altre guardo in giù. Questo metodo di classificazione potrebbe essere interessante”. Raccogliendo allora l’invito e proseguendo di conseguenza: perché non riclassificare le opere d’arte a partire dai centimetri, anziché dai metri? Si potrebbe in tal modo riscoprire, sì, l’acqua calda, ma ritrovare quel sentimento salutare di chi mira a liberarsi di un’idea ingannevole.

Ed è proprio questo il sentimento che ha dato il via a questa mostra con un messaggio e un invito rivolto sia agli artisti, sia a quanti si mettono di fronte a un’opera in modo partecipe e attivo, e che al termine di questo discorso è opportuno e anzi necessario riportare. «Si va diffondendo l’idea che per essere grandi artisti si debbano fare opere grandi, opere cioè di grandi dimensioni. E’ un’idea ingannevole, alimentata anche per scopi speculativi, che mira tra l’altro non tanto ad accrescere il valore di un certo artista quanto a far gonfiare un certo titolo in borsa. L’idea tende a suggerire infatti che le opere grandi abbiano come destinazione i grandi musei. L’insofferenza a questo stato di cose è assai diffusa, ma non trova sempre luoghi, modi e canali adatti a convogliarla in una reazione di segno opposto, consapevole e fattiva.

Muovendo da tale presupposto LA CUBA D’ORO, sensibile alle varie espressioni d’arte e di ricerca, ha realizzato l’idea di Lamberto Pignotti con la presente mostra alla quale sono stati invitati artisti disposti a condividere una simile impostazione e che hanno inviato una loro opera rispondente al titolo della mostra stessa, titolo che esclude con decisione l’idea consolatoria del “piccolo è bello”.»
Risolutamente, e non proprio paradossalmente, sarà bene infatti predisporsi per la mostra a convincersi che “piccolo è grande”. Chi ha occhi, dunque, guardi.
Lamberto Pignotti

Immagine: Julien Blaine

Inaugurazione: martedì 4 dicembre 2007, ore 18

La Cuba d'Oro
Via della Pelliccia 10 - Roma
Orario, dal martedì al sabato: 17 - 20
Ingresso libero

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