Gocce Sante. In mostra un ampio ciclo di opere inedite di medio formato e di inchiostri su carta in cui si manifesta la gestualita' che ha determinato la genesi dei lavori. "Le sue gocce sono talvolta spettrali simulacri concavi, quasi dei calchi del vuoto, di passate, liquide, convessita'."
a cura di Massimo Riposati e Mario Iannelli
Un ampio ciclo di opere inedite di grande formato dal titolo Gocce Sante, forma il corpo centrale dell'insieme di dipinti recenti che Perrone espone a Palazzo Venezia fino al 23 dicembre 2007.La Galleria pH7 ne prosegue la documentazione attraverso l’esposizione delle opere di medio formato e di inchiostri su carta di alto valore gestuale che ne preparano la genesi, il racconto.
Il sogno della forma, in queste opere di Pietro Perrone, è la lotta tra la forma e il suo annientamento, del tempo contro il divenire di un’ecologia spezzata, dell’ombra che sale contro l’orizzonte in una sembianza aurorale. Il testo, nel catalogo della mostra edito da Carte Segrete, è di Andrea Romoli Barberini.
A proposito del ciclo Gocce Sante di Pietro Perrone di Andrea Romoli Barberini
"Laudato sì, mì Signore, per sor Aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta".
Cantico delle Creature, Francesco d’Assisi
Frammenti di remote esistenze fossilizzate nel bianco, quasi cristallizzate nell’attesa di una possibile resurrezione, di un evento miracoloso che le irrori e le riporti alla vita. Così si presentano, ad una prima osservazione, le forme che abitano il ciclo Gocce Sante di Pietro Perrone, ultimo nato in ordine di tempo.
In questi lavori di formati imponenti, che sembrano rinviare a suggestive ipotesi di paesaggio, l’arida sterilità presente, del qui e ora dell’opera – elevata a simbolo della contemporaneità - riesce comunque a evocare la lussureggiante vitalità, la bellezza di tempi lontani al pari della fastosa maestosità che può restituire una grandiosa e antica rovina architettonica.
Il senso di secchezza, di aridità e per certi versi di assenza di vita, dominante nei lavori di questo ciclo, è la conseguenza di un esasperato quanto ricercato processo di riduzione, votato alla più assoluta sobrietà, operato su forma e colore per sgombrare il campo da ogni accattivante frivolezza.
Tutto, però, può tornare a vivere, a rianimarsi nel colore che, talvolta, bagna e accende misurate porzioni di cielo, di terra, d’acqua. Il colore è la nostalgia, ma a vincere è sempre il silenzio, ventoso e asciutto, del bianco, pur nelle sue infinite varietà.
Perrone si spinge ancora oltre: la sua pittura, consapevole dell’ambiguità che gli è propria, non intende dare risposte, piuttosto cerca di formulare quesiti, alimentare dubbi che sottendono sottili ammonimenti.
E’ come se, con l’opera, l’artista invitasse, o forse sfidasse l’osservatore a carpire la verità del messaggio pittorico; verità che è sempre relativa perché vive nell’ambiguità dell’arte.
Così Perrone arriva al paradosso, tutto pittorico, di fossilizzare l’acqua: le sue gocce sono talvolta spettrali simulacri concavi, quasi dei calchi del vuoto, di passate, liquide, convessità in grado però di sedurre, di ingannare, di alimentare la speranza di una possibilità che è quella di riportare la vita in quei luoghi ideali, senza orizzonte, aridi, starei per dire anemici; siti suggestivi e vagamente inquietanti che forse mai torneranno a godere della luce e della policroma vivacità di un tempo.
In queste opere, il colore, quando c’è, è quasi sempre accessorio. E’ come un velo, un filtro cromatico applicato all’opera con la maliziosa volontà di sedurre e mostrare una bellezza perduta, un po’ come quelle ricostruzioni virtuali di antiche città erose dal tempo e ingoiate dall’oblio.
I giochi chiaroscurali, ottenuti con un trattamento dei supporti che Perrone doma e modella a suo piacimento, sconfinando nella scultura a rilievo, creano una smisurata quantità di toni d’ombra che sono già colore. Giochi, o per meglio dire effetti, sofisticatissimi, in grado di “neutralizzare” la civetteria delle cromie che quasi clandestinamente risiedono qua e là, interrompendo e contrastando l’autorità prepotente del bianco.
Le linee solcate a rilievo sui supporti, talvolta tracciano il confine delle campiture cromatiche, altre volte si intersecano ad esse, riportando alla mente e anzi evidenziando la fedeltà a quella poetica della discontinuità, della frattura iniziata dall’artista sin dalla fine degli anni Ottanta e mai più abbandonata.
Qui, è come se il precedente ciclo dei muri si fosse aperto come un sipario, o dissolto come un blocco di ghiaccio restituendo allo sguardo, insieme alla visione dello spazio infinito, forme di vita elementare. Solo così e ora può comparire un repertorio di elementi vegetali, fiori, fortemente stilizzati, si direbbe a tutta prima. Ma poi, ancora la malizia dell’artista fa sì che questi strani arbusti riescano ad evocare mani e braccia protese dalla terra al cielo come in una disperata preghiera. E quella particolare gradevolezza calligrafica di certi segni, quasi memori di ritmi art nouveau, spesa con parsimonia, non smentisce l’ormai nota e connotante ruvidità dell’artista, ma piuttosto sembra porsi come una sorta di effetto indesiderato, memoria di criminali ornamenti.
Il fare con le mani, il tracciar solchi, che in queste opere è, come detto, azione scultorea e pittorica ad un tempo, assume qui una centralità pressoché assoluta. I segni prendono forme variabili, hanno in qualche caso la sofisticata eleganza del graffito elementare, primordiale che l’artista realizza non già per restituire alle forme un’ipotesi di racconto ma per dare forma visibile al suo personale e sacrale rapporto con il tempo, lo spazio, la terra, l’acqua, l’aria.
Ed è proprio qui, in questa virtuosa intenzione di senso, che torna con più maturo e consapevole vigore quella prossimità, professata in passato da Perrone, col messaggio di Beuys, con il suo modo di connotare l’arte di una cifra ascetica, da predicatore laico del nostro tempo.
Catalogo Edizioni Carte Segrete
Testo di Andrea Romoli Barberini
Inaugurazione: mercoledì 12 dicembre 2007, dalle ore 18
pH7 Art Gallery
via della Scrofa, 46 Roma
Orari: Mart- Ven. dalle 15 alle 20, Sab. dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 20
Ingresso libero