Galleria Blanchaert
Milano
piazza Sant'Ambrogio, 4
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Michele Ciacciofera
dal 15/1/2008 al 25/1/2008
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Segnalato da

Rosalba Ando'




 
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15/1/2008

Michele Ciacciofera

Galleria Blanchaert, Milano

Luoghi dell'assenza: prigionieri e deserti. Personale di pittura. L'artista indaga sul concetto di prigionia inteso come assenza, vuoto, attesa.


comunicato stampa

Michele Ciacciofera indaga sul concetto di prigionia inteso come assenza, vuoto, attesa, solitudine, mancanza, attrazione e sofferenza. Prigionia è qualsiasi “luogo” fisico e mentale e qualunque cosa possa limitare e condizionare l’uomo, e l’artista guardando ai prigionieri, interpreta quella forma di abbrutimento da parte dell’uomo che fa violenza ad un altro uomo fatto “prigioniero” a cui viene tolta la dignità e che vive, serrato nella propria solitudine, il peso di tanta ingiustizia.

I deserti sono luoghi dell’anima e contenitori di solitudine e di memorie. Strati e sovrapposizioni di polveri come cancellazione di antiche civiltà costituiscono la drammatica risultante di un passato che connoterà anche la civiltà del presente. Il deserto rappresenta uno dei massimi “luoghi di prigionia” dove l’agire umano ha concentrato la sua idea e la sua attuazione di distruzione: un deserto fisico e spirituale.

La nostra è stata definita un’epoca di estremismi. “Viviamo infatti sotto la minaccia continua di due prospettive egualmente spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità ininterrotta e un terrore inconcepibile” come sostiene Susan Sontag nell’ Immagine del disastro.

Oggi una certa forma di anestesia si riscontra nelle persone più assuefatte a immagini crudeli a causa della proliferazione di queste attraverso i mass-media. Il problema consiste nel non riuscire a separare la normalità dall’anormalità. Un modo questo per esorcizzare le nostre paure, oppure l’incapacità dell’uomo di fronteggiare situazioni di grande difficoltà, come fossimo oramai abituati e immersi nel tempo del disastro?
La gamma del dolore è vasta, sia che si tratti di una sofferenza non inflitta da qualcun’altro, sia che riguardi atti intenzionali verso un altro individuo.

Nei casi di genocidio o situazioni di terrore si mette in risalto una esperienza estrema non solo per la vittima ma anche per il carnefice. Quasi in una relazione simbiotica, vincitori e vinti esistono l’uno in virtù dell’altro, vittime e carnefici si confondono in una babele indistinta dei corpi, annullando le dinamiche di potere e sudditanza.

Colpire il debole, l’indifeso o il morente è un atto di estrema tortura, giuridicamente illegittima e moralmente riprovevole, in cui si ricrea volontariamente l’immagine dell’inferno sulla Terra.
Che si sia persecutori o che si sia vittime, nell’abisso della corruzione interiore si tradisce e si perde la propria dignità residua e i propri sentimenti, che non lasciano alcuna via di fuga misconoscendo singolarità che chiedono rispetto.

Nell’iter artistico di Michele Ciacciofera non affiora mai la messa in scena di atti estremi, seppur denunciati, poiché egli si muove su un registro pittorico e psicologico dove il soggetto rappresentato ci scuote dentro e ci attraversa.

I soggetti trattati rivelano una piena padronanza che, per mezzo di pennellate veloci dai colori accesi e contrastanti o pacati e bilanciati, restituiscono sintesi formale e profondità psicologica.
In un tempo caratterizzato dalla superficie e dalla superficialità, risulta abbastanza inusuale la profondità intesa come valore, così come il riflettere sul ruolo politico dell’arte dell’oggi. Se è vero che l’arte è uno strumento di presa di coscienza essa può incidere sullo stato delle cose, poiché il linguaggio stesso è politico.

L’artista usa un linguaggio che mette in scena il problema sociale e politico: di una memoria dei fatti cruenti occultata, e di pennellate e segni che sembrano cancellare e allo stesso tempo far riaffiorare l’elaborazione di un trauma collettivo.
Ornella Fazzina

Galleria Blanchaert
Piazza Sant'Ambrogio, 4 - Milano
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