Kivuthi Mbuno e Richard Onyango. I due importanti artisti kenyoti presentano alcune opere su tela. La ragione che ha spinto la galleria a scegliere di organizzare proprio adesso questa mostra e' legata ai tragici eventi che stanno martoriando la giovane democrazia africana.
Richard Onyango e Kivuthi Mbuno sono due artisti provenienti dal Kenya,
tra i più importanti del loro paese. Entrambi godono anche di una grande
fama internazionale: alcuni dei loro lavori fanno parte delle collezioni
Saatchi di Londra, Jean Pigozzi di Ginevra, Parigi e New York.
Attualmente alcune loro opere sono esposte a Torino nell’ambito della
rassegna d’arte africana “Why Africa?” ospitata negli spazi della
Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli. Sono anche due amici di vecchia
data della galleria Franco Riccardo Artivisive. Non più tardi di un anno
e mezzo fa, entrambi hanno partecipato alla rassegna “Africa Nera - Hic
Sunt Leones: Protagonisti dell’Arte Africana” tenutasi nel giugno del
2006 negli antichi spazi di Castel dell’Ovo, nella nostra città. E’
stata una delle più importanti mostre dedicata alla zona sub-sahariana
del continente con la partecipazione di altri 20 artisti provenienti da
altri paesi e fu organizzata dalla Effeerre.
Le ragioni che hanno spinto la galleria a scegliere di organizzare
proprio adesso la doppia personale di Onyango e Mbuno non è casuale. I
tragici eventi che stanno martoriando la giovane democrazia africana
inducono con maggior vigore e forza a sottolineare come aspetti che
riguardano l’arte, la cultura e la stessa libertà d’espressione, siano i
primi ad essere colpiti quando una società entra in uno stato di crisi e
a dominare sono l’intolleranza e la violenza. E’ proprio facendo leva
sul significato concreto che diamo alla funzione dell’arte, dei
linguaggi e delle esperienze culturali ad essa correlate che cerchiamo
di opporci alla barbarie dilagante. Possiamo provare ad assolvere a
questo proposito solo ribadendo con determinazione le ragioni della
nostra attività.
La prima mostra del 2008 per l’appunto, sarà dedicata ai lavori dei due
artisti kenioti che ci sono giunti (per una pura casualità) prima
dell’inizio dei disordini che ora coinvolgono la maggior parte del
territorio del paese africano.
In mostra 20 lavori (10 per artista)
Breve nota biografica degli artisti
Kivuthi Mbuno
Nasce a Mwangini (Kenya), nel 1947. Giovanissimo, trova lavoro come
cuoco nei safari per turisti tra il Kenya e la Tanzania. Il contatto con
la natura dei grandi parchi lo segna profondamente al punto che, nel
1976, si trasferisce a Langata dove si dedica esclusivamente alla
pittura. Inizia così a rappresentare l’eden immaginario che aveva preso
forma durante i lunghi spostamenti nell’entroterra e che lo aveva
completamente assorbito. Lontano dalle immagini di giungle selvagge e
intricate, da corsi d’acqua immensi e impetuosi, Mbuno ci regala un
mondo luminoso eppur aderente all’incessante lotta per la sopravvivenza
che vi avviene quotidianamente, restituendo la natura all’uomo e
viceversa, disegnando spazi immensi in cui ogni elemento ritrova il
proprio equilibrio assecondando il ritmo vitale di animali, uomini e
cose. Anche il tratto dell’artista è in sintonia con il mondo che
rappresenta: cere, inchiostri, matite colorate, evocano atmosfere
leggendarie e fiabesche, sostengono un’idea di primordialità nella quale
si realizza un rapporto di simbiosi degli esseri viventi con la natura,
sola e assoluta divinità che governa il mondo. Nel paradiso di Mbuno il
primato dei ruoli si capovolge rispetto alla realtà. Non a caso l’amore
manipola i contorni della forma umana, che rappresenta in modo grottesco
ma sempre con una certa eleganza, quasi a voler sottolineare la sua
inadeguatezza di fronte al mistero della natura. L’uomo è sì parte
integrante di quell’eden immaginario, così come gli animali che è pronto
a cacciare, ma è lui stesso un animale come tutti gli altri e perde il
discutibile ruolo di centralità che ricopre nel mondo storico, per
partecipare autenticamente al ritmo della vita.
Ha recentemente esposto all’Alliance Francaise (Dar-es-Salam, Tanzania),
al VAC (Ventabren Art Contemporaine a Marsiglia, Francia), alla Fabbrica
Eos (Milano, Italia) e alla Fabbrica Sarenco (Malindi, Kenya)
Bibliografia:
Eric Girard e Sarenco, Kivuthi Mbuno-Silent Hunts, ed Fabbrica Sarenco e
Parise ed., Verona, 2004.
Richard Onyango
Nasce a Kisii, nel distretto di South Nyanza, Kenya, nel 1960. Inizia a
dipingere all’ età di sei anni, e nel 1982 si distingue nell’ambito
della “National Competition” diretta da Richard Leakey come miglior
pittore keniota. Nel 1990 entra a far parte della Malindi Artist’s
Proof, la casa degli artisti fondata da Sarenco, insieme ad Abdallah
Salim, Peter M. Wanjau, Cheff Mwai, David Ochieng e John Nzau. Nella
pittura di Onyango ricorrono due grandi tematiche: il viaggio e
l’opulenta e inquietante Drosie, scenari fissi che producono una
quantità infinita di storie dell’Africa moderna. La narrazione non teme
di assumere gli stereotipi di un’iconografia legata agli status del
nuovo “processo di civilizzazione”. Quale Africa ha da raccontare
Onyango se non quella prodotta dalle sue ossessioni: quella di safari
incessanti e interminabili, quella di miracoli tecnologici ingoiati da
una natura dirompente, quella di donne immense e fameliche...
È, la sua, l’Africa che ricorda bene il passato recente, il tentativo
non riuscito della mano occidentale di domare il continente, di
omologarlo azzerandolo al modello unico degli altri, di rinchiuderlo nel
recinto globale. In quel mondo tutto è ancora possibile; è un gigantesco
muro di gomma su cui rimbalzano la perfezione e il progresso, e la boria
colonizzatrice rotola ridicola sotto i colpi di un umorismo feroce e
dissacrante. Quel mondo partorisce “l’African urban kitsch”, scenari
calcati da auto di grossa cilindrata, da autobus superveloci che
attraversano la savana, ma anche autobus traballanti zeppi di turisti
impegnati a scattare foto agli animali feroci; carcasse viaggianti
finiscono per scontrarsi: tragedie mortali si consumano su treni
deragliati e precipitati nei burroni; aerei esplodono in aria durante il
volo...
È un grande paradosso quello che Onyango racconta nelle sue tele: la
“macchina” deve fare i conti con le strade dell’Africa, con la sua
natura selvaggia e vitale, che alla fine ingoierà l’uomo che l’ha
prodotta. Le energie si testano sulle grandi distanze, il safari è
necessario e incessante, è un’ossessione di cui non può fare a meno.
Come di Drosie, la fidanzata europea, bianco ventre da cui Richard si fa
volentieri risucchiare, opulenta, ricca, traboccante di gioielli e carne
viva. Mole ingombrante, Drosie si muove inaspettatamente leggera su
tacchi a spillo esilissimi, si produce in scatti felini, fa sua la
lezione della “precarietà” e dell’ironia che impartisce l’Africa, che le
impartisce Richard, a sua volta ossessione irrinunciabile, fame che non
si placa mai. Femmina ossessionata e ossessionante, Drosie non è più
europea, non è più americana, ma non è nemmeno africana, e per questo
Richard non smetterà mai di raccontarla.
Bibliografia:
Richard Onyango, The african way of painting, a cura di Aziz (Sarenco),
Adriano Parise Editore, 1992.
Immagine: Kivuthi Mbuno
Inaugurazione: giovedì 7 febbraio 2008 alle ore 18.30
Franco Riccardo Arti Visive
Via Chiatamone 63 - Napoli
Ingresso libero