Le fotografie esposte sono state realizzate nel 1984-85 nella fabbrica Moyse. Attento rilevatore dei mutamenti sul territorio alle periferie di Parigi, Faure lavora qui su un ambiente abbandonato su cui la muffa e la casualita' ha avuto il sopravvento. Nelle sue immagini il ruolo di protagonista e' affidato alla qualita' indiziaria del colore.
a cura di Chiara Capodici e Benedetta Cestelli Guidi
s.t. foto libreria galleria presenta, per la prima volta in Italia, le fotografie di Alain Faure. Nato nel 1947 a Parigi, dove tuttora vive, Faure ha iniziato a fotografare nei primi anni ’80. Il paesaggio industrializzato ai margini della città è il protagonista della sua ricerca, senza tuttavia che questa si trasformi in una mera registrazione documentale, grazie alla qualità principale delle sue stampe: il colore.
Le fotografie esposte in occasione della mostra romana sono state realizzate nel 1984-85 come testimonianza dell’incontro e frequentazione della fabbrica Moyse: lavoro su una fabbrica desaffectè. Si tratta di un'ex fabbrica di locomotori ferroviaria, situata nella banlieu parigina, entrata in disuso alla fine degli anni ’60 (desaffectè = spazio entrato in disuso) ma che l’obiettivo di Faure registra con affezione (desaffectè = privo di affezione).
Il titolo di quel reportage, Les Reinsegneiments de la couleur, letteralmente significa 'le informazioni del colore', ma anche la qualità indiziaria del colore, a cui è qui affidato il ruolo di protagonista, organizzatore di calibrate composizioni scandite dall’equilibrio cromatico. I titoli rimandano ad orizzonti metaforici che da un lato appaiono del tutto distaccati da qualsiasi rapporto referenziale con il soggetto fotografato e dall’altro riconducono in maniera ancora più marcata ad un oggetto, una cosa in cui si concretizza il punto d’incontro fra lo sguardo e un dato visivo.
Attento rilevatore dei mutamenti sul territorio alle periferie di Parigi, Faure lavora qui su un ambiente abbandonato su cui la muffa e la casualità ha avuto il sopravvento; dove il vuoto, l’abbandono, il senso dell’assenza sono così forti da trasformarsi in presenza. Eppure, per quanto implicitamente presente, sembra oltrepassata ogni esigenza di documentazione: quello che ha valore e che è sottolineato da quest’apparente casualità è l’incontro con ciò che si ha di fronte, di un apparire che nella sua concretezza fisica ci parla attraverso il colore e che diventa paradigma di uno sguardo sempre in ascolto, sempre pronto a creare nuove risonanze.
Faure inizia a lavorare come fotografo dopo un lungo percorso di riflessione e di pratica militante che lo porta, intorno alla metà degli anni ’70, a scrivere sulla parola ouvrière (officina). E in un certo senso egli si comporta come un operaio specializzato nell’epoca della fotografia a colori, e della fotografia è attento a tutti gli aspetti. È in quest’attenzione e rigore che si può rintracciare la sua peculiare militanza politica, altrimenti espressa in reportage in bianco e nero sulla cittadinanza in sciopero, o nell’attenzione alle trasformazioni del territorio sotto la pressione di massicci investimenti economici (tra cui cui l'area alle porte di Parigi dove sarebbe stata edificata di lì a poco la città fantasma Disneyland Paris), che si declina anche nell’attenzione al supporto ed alla tecnica di stampa delle sue immagini.
Le 12 stampe da diapositiva in cibachrome (un processo caduto in disuso anche a a causa dell’alta tossicità dei solventi per lo sviluppo), realizzate su carta sia lucida che opaca, in tre dimensioni (120x100; 80x60; 40x50), sono caratterizzate da una qualità brillante e rilucente che le potrebbe far includere in una certa estetica propria degli anni ’80, senza tuttavia esserne appesantite; si tratta infatti di una ricognizione sullo scarto, sul dettaglio deteriorato, in cui l’astrazione delle forme si accompagna ad una tensione dinamica del riquadro.
Al colore acceso e brillante è affidato il compito di restituire dettagli della ex fabbrica: la porta socchiusa da cui filtra la luce accecante, le ombre riportate sul muro scrostato, il lavandino celeste sullo sfondo rosso scuro del muro. Sono dettagli indiziari di un quotidiano in disuso riattivato dalla forza del colore, in composizioni rigorose e calibrate sull’accordo tonale dei particolari che concorrono a formare l’immagine.
S.t. Foto Libreria Galleria
via degli Ombrellari, 25 - Roma
Orario: dal martedì al sabato 10.30-20.00 dom 11-18
Ingresso libero