I tempi e i luoghi. L'artista, nipote di Giovanni Papini è autore dei bozzetti utilizzati per alcune famose copertine vallecchiane tra cui quella di Gog e de Il libro Nero.
I tempi e i luoghi
La mostra e' curata da Antonio Natali e raccoglie 45 opere (di cui 6 tele
-mt 2x1,5) e 39 olio e carboncino su carta cm 70 x 90.
Giovanni Paszkowski, nipote di Giovanni Papini è autore dei bozzetti
utilizzati per alcune famose copertine vallecchiane tra cui quella di Gog e
de Il libro Nero.
Giovanni Paszkowski è nato a Firenze dove risiede e lavora.
Ha vissuto a lungo anche a Roma e a Milano, città in cui ha svolto
l'attività di grafico in campo editoriale e pubblicitario.
Ha esposto in Palazzo Strozzi a Firenze nel Gabinetto Viesseux e in
numerose altre Gallerie italiane.
Il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi conserva 8 sue opere.
Le sue mostra sono state presentate da Massimo Carrà , Michele Dzieduszycki,
Raffaele La Capria, Raffaele Monti, Antonio Natali, Tommaso Paloscia, Mauro
Pratesi.
di Antonio Natali
Ho riletto- per rinnovata curiosità , più che per scrupolo critico, quanto
fino a oggi è stato scritto sulla pittura di Giovanni Paszkowski. E mi sono
accorto che per solito in queste esegesi s'indulge a riflessioni sulla
solitudine esistenziale ch'esprimerebbero le ampie ribalte da lui
effigiate, con quei simulacri di persone per lo più senza volto. Giudizio
che m'è capitato di contestare, se non addirittura di rovesciare,
presentando, nel 1997, una decina d'opere di Giovanni alla 'Stamperia della
Bezuga': 'Di contro a pur sempre plausibili letture dei quadri di
Paszkowski, che intravedono solitudini umane nei deserti urbani ch'egli
pare evocare, di contro alla congettura critica d'una melanconica, e
financo angosciata, riflessione dell'artista sull'odierna condizione umana,
avvilita da una civiltà arida che accerchia e preme una natura che si
dibatte, sento piuttosto nei grandi fogli di lui correre una vena
d'affascinato stupore per la complessità dell'esistenza; sento la meraviglia
d'un connubio apparentemente impossibile, dove alla fine l'intervento
dell'uomo- seppure invadente e perfino irriguardoso- riesce rassicurante;
avverto l'incanto del tempo che scorre e del tramutarsi delle cose".
Non ho cambiato avviso. E però devo aggiungere un pensiero ch'è
maturato nella mia cadenzata frequentazione di Giovanni e che forse mi
aiuta a sciogliere quel po' d'incertezza che io stesso covavo, pur nella
convinta mia opinione d'una sua sostanziale solarità . Credo- conoscendo
meglio Giovanni- che le sue visioni possano davvero essere trascorse da
quell''inquietudine sottile, di cui peraltro parlavo in chiusa alla
presentazione del '97, e che nasce appunto dalla percezione della
solitudine. Ma non penso si tratti di quel disagio cui in fondo la vita
condanna ognuno. La distinzione potrebbe alla fine risultare un po'
sofistica; tuttavia devo dire che son portato piuttosto a legare quel
sentimento di solitudine direttamente a Giovanni; non già in quanto uomo,
però, bensà per come egli è. Non dunque un malessere dello spirito, ma uno
stato peculiare di lui.
Chi lo conosce bene sa quanto sia colto, quanto poetico sia il suo
mondo, quanta intelligenza di testa e di cuore (come recita il salmo)
regoli le sue relazioni con gli altri e con la natura, ma soprattutto
quanta eleganza (austera, e tuttavia aperta) impronti la sua indole. Con
doti siffatte è assai difficile sospettare che sia Giovanni a sentire
estranei gli altri e li tenga per conseguenza distanti, isolandosi. Mi pare
semmai che coi tempi che corrono, coi miti vigenti e con la cultura
attualmente in auge, un uomo come Giovanni si trovi ineluttabilmente
emarginato, se non spaesato. E non mi meraviglierebbe punto- proprio per i
rapporti generosi che intrattiene con chiunque gli s'accosti- se il suo
appartarsi fosse assolutamente inconsapevole. E se poi la cosa stesse così,
si spiegherebbe anche meglio la sua risposta a chi, per la prolusione al
catalogo d'una sua mostra del 1995, gli chiedeva il senso di 'quei paesaggi
Ö chiusi dentro inquadrature implacabili, attraversati da figure
dall'identità confusa". Giovanni disse di non saperlo; di non poter
distinguere se in lui fosse 'più forte il sentimento di disagio, di
estraneità , o il piacere estetico di vedere": ipotesi, questa,
freudianamente messa per ultima.
Ed è per l'appunto l'ipotesi per la quale
decisamente io propendo: il 'piacere estetico di vedere' è il sentimento
più forte che lui prova al cospetto del mondo; magari accompagnato da quel
'disagio' e da quell'estraneità che, non già l'universale condizione umana
gl'impone, bensì- come s'è anticipato- la sua disposizione etica e
ideologica; la quale è- purtroppo per noi- fuori tempo; fuori del tempo,
cioè, che c'è toccato di vivere.
Tempo segnato da parole e immagini abusate; divenute ormai il
comune codice espressivo grazie alla pigrizia inculcata nelle menti
dall'invadenza martellante di mezzi di comunicazione sempre più volgari e
però sempre piùmalignamente capaci di convincere. D'altronde solo l'assenza
d'una volontà di giudicare riesce a darmi conto, per esempio, dell'alto
riguardo concesso a personaggi che in altre stagioni nessuno avrebbe preso
in considerazione, se non per marcarne sdegnosamente le distanze. E invece
ora i più ne subiscono il fascino; o fanno le viste di subirlo. E il numero
degli adulatori s'accresce a dispetto d'eventi che il più delle volte
suonano ingiuriosi. La ragione s'è assopita davanti ai freddi bagliori
televisivi; e il gregge ognora s'ingrossa, con capimandria che fino a ieri
ossequiavano altri padroni. Ecco, in un contesto consimile, uno come
Giovanni è per forza spiazzato; per non dire- giustappunto- solo.
Non si prenda, questo modesto ragionamento, per un'indagine
introspettiva di lui; che sarebbe una fin troppo spicciola analisi
psicologica. Si usi semmai quest'idea (che d'altro canto credo possa essere
condivisa da molti fra quelli che lo conoscono) per ridimensionare la
valenza filosofica che s'è voluta attribuire ai suoi spazi larghi e deserti
sulle tele, a quelle architetture incombenti sul verde rigoglioso di parchi
cittadini, a quelle presenze umane in transito per piazze assolate o in
risalita su scale di metropolitane: ridimensionare la valenza filosofica
per gustare appieno i sensi del poeta; che, in disparte, guarda il mondo,
pascolianamente incantato dai suoi tempi; per solito lunghi: coi mari
aperti e i cieli vasti, coi venti che frusciano sulle piante, coi palazzi
alti sugli orizzonti di città senza folla.
Giovanni seguita a figurarsi gli edifici, i parchi, le vie,
gl'interni, conforme a un'ideologia che ameremmo fosse quella prescelta a
regolare i nostri spazi. Le sue città hanno riferimenti precisi: sia europei
che d'oltreoceano. Città desunte da modelli reali; e però immerse in un'aura
sospesa come fossero, invece, ideali. Non troppo distanti, nello spirito,
dalle metafisiche visioni delle celebri tavole umanistiche d'Urbino,
Berlino e Baltimora. Appaiono- anche nelle sue scene- prospettive lucide,
che moderni selciati ribadiscono; grattacieli che s'alzano secondo
scansioni armoniche, ancorchÈ non in tutto simmetriche; pareti messe di
sguincio a mo' di monumentali feritoie, da cui si traguardano gli alberi di
parchi lussureggianti; labirinti di bosso concepiti col rigore perspicuo
d'un matematico; lunghi orizzonti marini che l'esile fusto d'una palma-
dritta, come fosse l'albero d'un Battesimo pierfrancescano- spartisce a
metà ; slarghi urbani che, alla stregua della scenografica Flagellazione di
Piero, s'aprono a un respiro dilatato per via di sperticate fughe
dell'ammattonato, scandito in profondità dalla presenza d'uomini e
d'architetture; e infine (perchÈ invenzioni recenti) sale di musei d'arte
del Novecento, dove l'estro del pittore trova agio d'esprimersi non solo
nella costruzione d'ambienti (che piace immaginarsi calati nel verde d'un
grande parco fiorentino), ma anche nella scelta delle opere esposte:
esplicita confessione di predilezioni formali.
Ecco allora, sul fondo d'una parete, un uomo in piedi, silenzioso e
immobile, davanti a un allampanato bronzo di Giacometti (del quale è
perfino superfluo rammentare l'iniziale ascendente su Giovanni). Altrove,
fra pannelli divisorÓ, un'altra figura, parimenti statica, guarda una tela
a noi celata, che però s'indovina (come quelle in vista) di Marino Marini.
Straordinaria capacità evocativa, quella di Giovanni; che nel suo riproporre
in scala maggiore un celebre ëstiacciato' dell'artefice pistoiese, riesce a
sommuovere l'animo con sentimenti financo discordi: da un lato l'astratta
partizione dei locali, immersi in un'atmosfera ferma e silente, dall'altro
la salda e nel contempo vibratile pittura della scena effigiata da Marino.
In un'ambivalenza che finirà per non sembrare casuale; giacchÈ anche in
altre storie di ëgallerie' la sospensione degli affetti, germinata dal
clima assorto delle sale museali, contrasterà con la poetica vigorosa e
appassionata talora di grandi dipinti gestuali (fra De Kooning e Kline),
talaltra di lunghe tele d'accesa cromia. Poetiche che a qualcuno parranno
lontane dall'espressione di Giovanni, e che invece hanno concorso alla sua
matura disposizione culturale.
I suoi musei potrebbero ben essere usciti dall'atelier Herzog & de
Meuron, e i lavori che vi sono esposti potrebbero essere assimilati proprio
a quelli esibiti nelle fascinose stanze della moderna Tate (anche se là è
un criterio astruso- e sovente banale- a regolare l'ordinamento delle
opere; meglio sarebbe dire la loro giustapposizione). Una volta però che si
sia alluso alle raccolte contemporanee inglesi, trovo non si possa fare a
meno di tornare davanti al Bigger Splash di Hokney; e riguardarne
l'elegante padiglione profilato contro un cielo terso, che, alla stregua
d'un sipario inamidato, cala sul fondo; e soffermarsi con lo sguardo sulle
palme drizzate nell'aria sospesa, a mo' d'allungati cauli dal pennacchio
striminzito di rami corti; e osservare finalmente la sedia vuota; e i
cristallizzati schizzi di schiuma sulla piscina: unici indizi d'una
presenza misteriosa, a noi preclusa. Visione raccolta e trasognata, che a
me tuttora pare quanto di più vicino possa sussistere alla sensibilità di
Giovanni Paszkowski.
45 opere di cui
6 tele mt 2 x 1,5
39 olio e carboncino su carta cm 70x90
Orario: 10-13/16-19 (festivo 10-13)
chiusa lunedì
Ingresso libero
Accademia delle Arti del Disegno,
Firenze, via Ricasoli 68